“Guarda la terra di Canaan, dice il Signore, che io darò in possesso ai figli d’Israele…. questa è la terra che io giurai ad Abramo, ad Isacco e a Giacobbe dicendo ‘io la darò alla tua progenie’” (Antico Testamento, Deuteronomio). Queste parole, che Dio rivolse a Mosè morente sulle alture del monte Nebo, dovremmo tenerle sempre presenti per comprendere ciò che accade dal 1948 nella tormentata regione palestinese e che così gravi ripercussioni hanno avuto e hanno per il mondo intero. Gli ebrei, che quanto a integralismo e fondamentalismo religioso non sono secondi a nessuno, hanno sempre misurato la loro storia millenaria sui dettami del Libro dei Libri che è la parola di Dio. Una visione più laica delle vicende ebraiche ci dovrebbe portare a riflettere che, sebbene la Bibbia sia la parola di Dio, è pur sempre stata scritta dagli uomini e che questi uomini erano ebrei. È umano che sia stata scritta “pro domo” loro. La conseguenza di questo fondamentalismo religioso la misuriamo, per ultima in senso cronologico, con la tragedia a cui stiamo assistendo, impotenti, in questi giorni e che si sta consumando nella striscia di Gaza. Di tutto posso essere accusato ma non certamente di avere simpatie filo arabe o, se preferite, sentimenti anti ebraici ma non posso esimermi di ragionare in termini di raffronti storici. Nel 64 a.c. Gneo Pompeo Magno istituì la provincia romana di Siria che comprendeva i territori di Siria, Giordania, Israele, Libano e Palestina. In seguito il territorio fu ridisegnato con la creazione della provincia di Siria Palestina. In sostanza una forza di occupazione conculcava le libertà di autodeterminazione delle popolazioni autoctone. Essendo gli ebrei storicamente una popolazione ribelle, questa situazione determinò una escalation di quelle che oggi chiameremmo “azioni terroristiche” contro le forze di occupazione, fino alla reazione radicale di Roma che, con l’imperatore Tito, portò alla distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio, che non avrebbe mai più essere ricostruito, e all’obbligo della diaspora degli ebrei dalle loro terre. Un destino crudele se ci pensate ma, fatte le debite proporzioni, non posso non rilevare le drammatiche similitudini con quanto è accaduto 19 secoli dopo. Nel 1948, a poche ore dallo scadere del protettorato britannico, gli ebrei proclamarono la nascita dello stato d’Israele nelle terre abitate in grande maggioranza da arabi e che unilateralmente le Nazioni Unite, con la complicità delle potenze che avevano vinto il conflitto mondiale, avevano loro assegnate a partire dal 1947. Per il senso di colpa determinato dal dramma dell’olocausto e senza cercare seriamente una soluzione condivisa con le popolazioni arabe, gli europei e gli USA crearono di fatto i presupposti per ciò che conosciamo oggi con il termine “intifada”. Il pugno di ferro dei governi israeliani nei confronti della popolazione araba, sempre maggioranza nel paese, la dissennata politica di colonizzazione di territori arabi, la creazione di veri e propri campi di concentramento, come testimonia la striscia di Gaza, non potevano oggettivamente essere accettati supinamente dai palestinesi e dai paesi arabi confinanti. Lo scontro tra i due integralismi religiosi ha fatto il resto con la deflagrazione incontrollata della violenza. Come se ne esce? Temo che la situazione sia già al punto di non ritorno perché incancrenita da decenni di muro contro muro. La sola possibilità d’uscita potrebbe essere l’accettazione da parte di tutte le componenti in causa, di due territori e due stati autonomi ed indipendenti, uno ebraico ed uno palestinese. Certo è che la condizione imprescindibile rimane una: gli statuti delle organizzazioni per la liberazione della Palestina, vedi Hamas, e le costituzioni di alcuni stati arabi cancellino ogni riferimento esplicito e implicito alla distruzione dello stato di Israele. Impossibile? Forse, ma è l’unica strada percorribile.