Il 7 gennaio di quest’anno, poco più di due mesi fa quindi, sedicenti militanti dell’ISIS hanno compiuto uno dei più efferati attentati terroristici contro la “civiltà” occidentale, nel tentativo di destabilizzare uno dei pilastri su cui si regge: la libertà di stampa e di opinione. Sull’onda emozionale del tragico evento, il mondo “libero” si è mobilitato in oceaniche manifestazioni di sdegno e di solidarietà per le vittime della strage, ma anche per rivendicare il sacrosanto diritto di esprimere liberamente, e senza condizionamenti, le proprie idee. Qualche giorno fa Domenico Dolce e Stefano Gabbana, penso sia pleonastico spiegare chi siano, hanno espresso in un’intervista, concessa al settimanale Panorama, la loro personale opinione sul significato di famiglia ed attraverso essa quale sia la forma più naturale di procreare. È sotto gli occhi di tutti il vespaio di reazioni, per lo più scomposte ed irrazionali, e la crocefissione mediatica a cui sono stati sottoposti soprattutto dagli esponenti di quella sinistra radical chic che da anni ci ammorba con gli odori nauseabondi di quello che chiamano politically correct. Usando le debite tare, e valutando correttamente il sacrificio di vite umane, mi sono chiesto: che differenza, dal punto di vista culturale, esiste tra la fatwa lanciata da un Imam fondamentalista che ha portato alla strage di Charlie Hebdo e la fatwa lanciata dall’Imam laico Elton John volta a boicottare il marchio D&G? Dal punto di vista concettuale non ci sono differenze perché entrambe sono tentativi di neutralizzare con la forza, la prima quella delle armi la seconda quella del ricatto, il diritto di ogni essere umano ad esprimere liberamente le proprie opinioni. I soliti noti che oggi si scagliano contro Dolce e Gabbana, rei di aver definito innaturale la procreazione in vitro, sono gli stessi che si sono scagliati a suo tempo contro le coltivazioni di OGM (Organismi Geneticamente Modificati), e sono sempre gli stessi che hanno gridato all’orrore per la clonazione degli animali. Allora che si mettano d’accordo con il loro stesso cervello, se mai ne hanno uno funzionante, su cosa è naturale e ciò che non è. Dal mio punto di vista tutto ciò che è frutto di esperimenti da laboratorio è innaturale e significa, semplicemente, che non è presente in natura, senza che questo rappresenti necessariamente un giudizio morale. Se da quando esiste la specie umana sul pianeta la procreazione avviene attraverso l’unione fisica e spirituale tra un uomo e una donna significa semplicemente che la “natura” ha codificato le sue regole e, a giudizio della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne che abitano la Terra, queste regole non dovrebbero essere sovvertite “artificialmente”. La voglia di paternità, o di maternità, sono di per sè la forma più estrema di “egoismo” perché soddisfa il nostro “io” senza curarsi del fatto che un essere umano voglia o meno essere messo al mondo. Decidiamo noi per lui, ma è lo scotto che paghiamo da sempre alla sopravvivenza della specie. Non scarichiamo però sulle spalle dei nascituri un ulteriore fardello costringendoli a vivere in una famiglia “non naturale”. Invito a non scambiare questa mia sollecitazione per omofobia perché, parimenti, potrei accusare gli omosessuali di “eterofobia” e farmi promotore dell’istituzione della “Giornata dell’orgoglio eterosessuale”. Amen!