Ci si erano messi i cittadini, sia bloccando le ruspe, sia con i ricorsi al Tar e alla Corte di giustizia europea. Ora tocca alla Procura: sono stati sequestrati gli alberi d’ulivo sui quali pende l’ordinanza di abbattimento del commissario straordinario per l’emergenza xylella, Giuseppe Silletti. La procura di Lecce indaga e tramite i suoi periti dimostra che diversi tipi di xylella sono presenti già da molto tempo prima rispetto al 2013, anno in cui è stata comunicata la sua presenza alla Ue da parte dell’Istituto fitosanitario regionale, e che non c’è relazione diretta tra il batterio e il disseccamento («Abbiamo fatto delle analisi su ulivi sani, cioè senza sintomi di disseccamento, e c’era xylella; abbiamo fatto le stesse analisi su ulivi con gravi sintomi di disseccamento e la xylella non c’era»). Insomma, una figuraccia internazionale, sia del Ministero delle politiche agricole, sia della Regione Puglia, sia della comunità scientifica italiana: «La Ue – ha spiegato il capo della procura di Lecce Cataldo Motta - non impone di sradicare gli alberi e anzi l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha precisato che sradicare gli alberi non serve per eradicare il batterio, eppure è stata una scelta della Regione Puglia, quella di sradicare gli ulivi per bloccare l’avanzamento della presunta infezione da xylella».
Le ipotesi di reato snocciolate, quindi, non sono delle più lievi: diffusione di fitopatologia, falso ideologico, violazioni colpose delle disposizioni ambientali, deturpamento di bellezze naturali, turbativa violenta del possesso di cose immobili, senza contare, ma quello lo aggiungiamo noi, dell’indebita percezione di finanziamenti ministeriali ed europei da parte di coloro che già stanno usufruendo di ingenti fondi pubblici per l’emergenza e la calamità naturale. Eppure.
Non è la prima volta che in Italia i ricercatori salgono sul bando degli accusati: è già accaduto nella vicenda giudiziaria seguita al terremoto dell'Aquila, con sette ricercatori sul banco degli accusati (sei dei quali assolti dalla Cassazione). In questo caso i ricercatori sospettati di avere avuto un ruolo nella diffusione del batterio sono nove, anche se, al di là delle indagini della Procura, vi sono dei responsabili politici: l’allora presidente della regione Puglia Nichi Vendola, l’ex assessore Fabrizio Nardoni, il ministro Martina, il senatore Dario Stefàno, l’ex presidente della Commissione agricoltura Paolo De Castro. Se non davanti al delirio di onnipotenza della magistratura italiana, allora siamo di fronte a uno scempio di cui si dovrà dare di conto ai pugliesi.