Purtroppo non sono riuscita a leggerlo in tempo, ho solo pochi stralci da condividere, insieme a un'ottima recensione scritta su "La Repubblica" da Michele Serra. Si chiama "Al giardino non l'ho ancora detto", ed è un libro scritto da una donna colta e appassionata di giardinaggio, Pia Pera. Toscana, traduttrice dall'inglese e dal russo, ha intitolato il suo libro con i versi di Emily Dickinson, che come lei aveva cesellato con cura materna il suo microcosmo verde: "Non devono saperlo le colline / dove ho tanto vagabondato / nè va detto alle foreste amanti / il giorno che me ne andrò". Pia soffre di Sla, una malattia insidiosa e canaglia che poco a poco spegne il corpo lasciando il cervello lucido e consapevole del lento incedere del male. Il suo cruccio più grande è non poter prestare più le cure al suo amato giardino, metafora degli altri e del mondo: “La poesia suggerisce che verrà un giorno in cui il giardiniere non terrà fede all’appuntamento consueto. Il giardino questo non lo sa. Di colpo cesserà ogni cura. C’era un disegno che verrà presto cancellato. Mi ha colpito il ribaltamento della prospettiva della morte: la preoccupazione per gli esseri, animati e non, che abbiamo tratto in inganno abituandoli alla nostra presenza. Senza avvertirli dell’inevitabile defaillance”.
Se prima Pia si prendeva cura del giardino, adesso deve prendersi cura di se stessa. Quel tempo che prima impiegava potando e zappando, ora non c'è più. Lei stessa è diventata il giardino.
“Forse non è poi così terribile che le forze lentamente scemino. Andarsene bisogna pure in qualche modo. Chi come me vive in solitudine fatica a rendersi conto che arriva il momento di cedere il passo, che la vita è fatta di fasi e non si resta identici fino alla fine”.
Se prima era lei a difendere il suo giardino dalla natura stessa e dal divenire indocile, ora rimane la domanda: come faranno le mie rose? come faranno gli altri? "Non sono più qualcuno che dispone e amministra. Mi trovo io stessa in balia".
Cosa rimane oltre alla coscienza del deperimento e della morte che si avvicina? Amici, fiori e la consapevolezza che la vita è proprio come un giardino: lo si vorrebbe sempre perfetto, pronto e docile a essere governato, ma la verità è che bisognerebbe imparare talvolta ad accettarlo nel suo farsi e disfarsi.
“Morte per soffocamento. Mi è impossibile pensare alla gola che si chiude, ai polmoni che non riescono a riempirsi di ossigeno, come al nulla. Il nulla non dovrebbe poter serrare d’angoscia. Dovrebbe essere innocuo, il nulla”.
Addio Filomena, ora sei libera di obbedire al tuo nome, tu che amavi tanto il canto. E i tuoi fiori, non temere, sbocceranno ogni volta che li penserai.