Era il 13 novembre 1979 e un giovane eurodeputato ambientalista e pacifista, già uno dei principali leader della rivoluzione sessantottina, stava per pronunciare il suo discorso. L’aula del massimo consesso europeo era semivuota e quei pochi che c’erano non erano certo in febbre per l’attesa. In effetti Mario Capanna, questo era il suo nome, si portava dietro quella certa aura di studente ribelle e ignorante che invece di gettare sangue e sudore sui libri si era dato con i suoi compagni a quella rivoluzione di cui ancora nel bene e nel male si avvertono le conseguenze. Ebbene, quel gran genio del Capanna che fa? Con uno schiaffo morale ai conservatori italiani, inglesi e tedeschi (quelli occidentali, al di qua del Muro) inizia il suo discorso dicendo che siccome con i suoi interventi precedenti non era riuscito a toccare né il cuore né la mente dei presidenti del Parlamento, del gruppo democristiano e di quello liberale, e dato che le restrizioni alla libertà parlamentare che questi ultimi volevano introdurre non si erano viste nemmeno nell’antica Roma, allora lui aveva pensato bene di rivolgersi a loro in quella lingua grazie a cui, già duemila anni prima, si era diffuso il diritto in Europa: con una punta di ironia, anzi uno sperone, aggiunse che così avrebbe permesso anche ai traduttore di riposarsi. E comincia: "Amplissimi collegae, quid re vera significant regulae costitutionisque emendationes, quas Nord, vir ex amplissimis, proposuit?”, e continua per tutto il tempo in latino. In latino! E Capanna (a suo tempo espulso dalla Cattolica proprio per il suo impegno nelle lotte studentesche) quel discorso l’aveva scritto lui stesso, mica facendo copia incolla da internet.
Parafrasando Venditti, ci vorrebbe un Capanna per poter dimenticare tutte le parole vuote, le pagine colme di scemenze, le sale congressi risuonanti di concetti insipidi e roboanti a cui ci costringono i politici e che servono a mascherare un’inconsistenza, un’impreparazione e una superficialità che nessun maquillage mediatico può coprire. Ciò a cui si assiste in questi giorni, fra referendum, pre campagne elettorali, congressi, auto candidature e azzuffamenti vari è quanto di peggio la politica possa offrire. Le varie poltrone vacanti fino a prossima elezione vengono viste come terre di conquista da comprare con le perline: l’importante è arrivare, occupare e sbracarsi.
Quello che noi cittadini dobbiamo imparare a pretendere e premiare con il nostro voto è un rappresentante che ne sappia più di noi, che sia capace più di noi di amministrare e che soprattutto non abbia alcun interesse personale nel governare, altrimenti è molto probabile che ci sia l’assalto alle poltrone da parte di individui che starebbero meglio in una corte dei miracoli che non nelle stanze dei bottoni: se chiunque può diventare parlamentare, perché non io, diranno in cuor loro questi campioni della politica caciarona e folcloristica, lupi feroci quando c’è da difendere i loro interessi, bovini indifferenti quando si tratta del benessere comune.
Comunque, capisco che sia cominciato il periodo pre natalizio, quindi immagino che i miei lettori vogliano l’happy end. Eccolo qua: Mario Capanna si è laureato ugualmente all’Università Statale e dopo aver ricoperto le cariche di consigliere regionale della Lombardia e comunale di Milano, parlamentare europeo e deputato nazionale per due legislature, ora è presidente della Fondazione Diritti Genetici, scrittore, giornalista e, udite udite, coltivatore diretto e apicoltore. Lui sì che è un dritto.