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Il razzismo "soft" dei benpensanti e la presunzione eurocentrica

Pubblicato da: Categoria: EDITORIALI

14
MAR
2019
Il razzismo, quale forma di discriminazione mossa su base razziale, risulta totalmente infondato dal punto di vista scientifico, poiché la genetica odierna ha ormai dimostrato l’inesistenza delle cosiddette razze umane. Infatti, nel corso di svariate ricerche è stato scoperto che le differenze genetiche tra due persone appartenenti alla stessa etnia risultano maggiori di quelle che intercorrono tra due etnie considerate nel loro insieme. Quindi, non esistono razze, ma solo individui. E ognuno di essi fa storia a sé in quanto portatore di una sua unicità biologica ed esistenziale.
Quest’evidenza scientifica non toglie che alcuni tutt’oggi siano portati ad associare (erroneamente) certi tratti somatici a certe caratteristiche di personalità. Si tratta ‒ è ovvio ‒ di pregiudizi assai grossolani, fondati per lo più sull’ignoranza della materia e sull’erronea presunzione che le differenze socioeconomiche tra i popoli siano determinate non da fattori storici ma da differenze biologiche.
C’è da dire che questo tipo di razzismo è così marcatamente sbagliato che dalle nostre parti nessuna persona di buon senso si sognerebbe oggigiorno di sostenerne le tesi. Si può dire che, tra le persone sane e assennate (ce ne fossero di più!), il razzismo è sostanzialmente morto. Ma, estinta la discriminazione su base razziale, compare, tra alcuni benpensanti, la discriminazione su base culturale. Quante volte avete sentito frasi del tipo: «quelli sono dei barbari», «le loro usanze sono antiquate» etc.? Queste espressioni, pur non facendo necessariamente riferimento a differenze razziali, sottendono di certo la convinzione che esistano culture umane inferiori e superiori.
Il problema è che ogni grande cultura suppone di detenere il primato dell’umana civiltà. Ed è curioso notare come ogni grande cultura, credendo di essere depositaria del vero, si faccia sovente carico di una missione civilizzatrice: se la nostra parte animale ci spinge a diffondere i nostri geni, la nostra parte umana ci spinge a diffondere le nostre convinzioni. Poco cambia. Un tempo si pensava (erroneamente) che i nostri geni fossero i migliori, oggi si è portati a pensare la stessa cosa delle nostre convinzioni, del nostro modo di intendere l’esistenza e di viverla. Così siamo tendenzialmente portati a vedere maggiormente le negatività altrui, mentre le nostre (e ce ne sono!) ci passano spesso inosservate per via dell’effetto normalizzante dell’abitudine. E, per vederle (o per vederle meglio), dovremmo provare a osservarci da un’altra prospettiva, adottare il cosiddetto “sguardo dello straniero” di montesqueviana memoria. Tale prospettiva ci permetterebbe di uscire dai localismi per guardare il genere umano come un'unica realtà culturale, erede di un grande patrimonio comune a noi tutti… Ma, che non sia anche questo universalismo un’altra forma di presunzione eurocentrica?


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