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Il mandante del suo omicidio l'amante della mamma

Pubblicato da: Categoria: CRONACA

16
MAR
2015

Questa mattina i Carabinieri del Comando Provinciale di Taranto e della Sezione Anticrimine del ROS di Lecce hanno eseguito un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Lecce, Giovanni Gallo, con la quale è stata applicata la custodia cautelare in carcere a Giovanni Di Napoli, ritenuto mandante del triplice omicidio commesso il 17 marzo 2014 sulla strada statale 106 in agro di Palagiano.

Nell’agguato persero la vita il 42enne palagianese Cosimo Orlando (che si trovava in regime di semilibertà e stava rientrando al carcere), la sua convivente 30enne Carla Maria Rosaria Fornari e uno dei figlioletti di quest’ultima, il piccolo Domenico Petruzzelli di soli due anni e mezzo, tutti colpiti da proiettili di pistola cal. 9x21.

Secondo la ricostruzione dei Carabinieri della sezione Investigazioni Scientifiche del Reparto Operativo di Taranto, erano stati esplosi non meno di tredici colpi dei quali: tre avevano colpito Cosimo Orlando, otto Carla Fornari  e due il piccolo Domenico.

I colpi erano stati esplosi da uno degli occupanti di un’autovettura che si era affiancata alla Chevrolet Spark alla cui guida era la donna e a bordo della quale erano Orlando, seduto sul sedile anteriore con in braccio il piccolo Domenico, e sul sedile posteriore gli altri due figli della Fornari, di sei e otto anni.

La determinazione con la quale era stata condotta l’azione omicida risultava dal numero dei colpi sparati e della loro esplosione contro entrambi della Chevrolet, anche dopo il suo impatto contro il guardrail.

Per la gravità dell’episodio, quattro giorni dopo si tenne a Taranto una seduta del Comitato Nazionale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica presieduta dal Ministro dell’Interno.

Le indagine immediatamente avviate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Lecce di concreto con la Procura di Taranto, consentivano ai Carabinieri di Taranto di recuperare dapprima in un area campestre in località Chiatona di Massafra, a poche centinaia di  metri dalla statale 106 e a circa 3,5 km dal luogo dell’eccidio, una pistola Beretta modello 98 FS cal. 9x21 con matricola abrasa - che i Carabinieri del RIS di Roma avevano poi accertato essere quell’usata per sparare – un fucile semiautomatico Benelli modello 80 Special cal. 12 con canne mozzate e matricola abrasa e relativo munizionamento, e poi, nella pineta di Chiatona, a pochi metri dalle armi, un’autovettura Opel Astra, incendiata, rubata pochi giorni prima a Taranto.

I successivi approfondimenti investigativi si articolavano nella ricerca, nell’acquisizione e nell’esame di un imponente numero di immagini riprese dai sistemi di videosorveglianza installati nell’abitato di Palagiano e lungo l’interno itinerario percorso dalle vittime a partire dalla loro uscita da casa e fino al luogo dell’agguato; nell’analisi dei flussi telefonici e delle celle di telefonia impegnate nelle ore e nei luoghi d’interesse; nella raccolta di testimonianze di persone a conoscenza di circostanze utili per lo sviluppo delle indagini (sempre di difficile acquisizione per l’assenza di collaborazione da parte della gente); nell'attivazione di intercettazioni di comunicazione debitamente autorizzate dal Giudice per le indagini preliminari.

Tali indagini consentivano di concentrare l'attenzione investigativa quale mandante dell'omicidio sul sessantaduenne Giovanni Di Napoli, già elemento di spicco del clan Putignano di Palagiano, cui era appartenuto anche Cosimo Orlando.

E’ emerso, infatti, che quest'ultimo, ammesso al regime di semilibertà nel novembre 2013, dopo un lungo periodo di detenzione in esecuzione della sua condanna per un duplice omicidio commesso nel 1998 (Lacava-Scarciello) avrebbe manifestato atteggiamenti di ostentato risentimento e insofferenza verso Giovanni Di Napoli, nei cui confronti aveva tenuto condotte violente e atteggiamenti intimidatori, tra cui ripetuti danneggiamenti dell'autovettura BMW 730 di Di Napoli (commessi anche alla presenza di Carla Fornari che partecipava all'ultimo attimo di danneggiamento, il giorno prima di essere uccisa), ripetute minacce di morte e comportamenti vessatori di ogni genere, culminati in un episodio verificatosi alla presenza di più persone in un bar di Palagiano, dove Orlando aveva platealmente preso a schiaffi Di Napoli, chiamandolo "infame" (da qui il nome dell'operazione di cui si tratta) con evidente riferimento a condotte che Di Napoli - già in posizione di vertice del clan mafioso del quale entrambi avevano fatto parte (ed entrambi erano stati arrestati nel 1995 nell'operazione "Diana" del Reparto Operativo dei Carabinieri di Taranto) - aveva tenuto violando le regole dell'associazione.

Di Napoli avrebbe omesso di sostenere  economicamente Orlando durante la sua detenzione in carcere a seguito della sua menzionata  condanna per duplice omicidio (il cui movente era legato a dinamiche criminali del territorio), così disattendendo le aspettative di Orlando che, secondo le "regole" del clan avrebbe avuto diritto a ricevere un contributo economico da Di Napoli che era in posizione a lui sovraordinata.

Dal contesto investigativo emergeva altresì la determinazione nella eliminazione  anche di Carla Fornari, raggiunta da un gragnola di colpi, in quanto se fosse sopravvissuta avrebbe potuto fornire indicazioni utili per la identificazione degli autori dell'agguato: possibilità tutt'altro che remota in quanto già nel processo per l'omicidio del marito Domenico Petruzzelli (ucciso a Palagiano nel 2011 insieme con Domenico Attorre) Carla Fornari aveva reso dichiarazioni alla Corte di Assise di Taranto in virtù delle quali gli autori di quell'omicidio erano stati condannati all'ergastolo (è in corso il processo di appello ).

Inoltre, sempre secondo gli inquirenti, la donna aveva una relazione con Di Napoli. I Carabinieri del Ros hanno contato 2.500 telefonate tra i due solo negli ultimi mesi. Infine la donna pare fosse stata l’amante di Di Napoli quando era ancora minorenne. 

A Giovanni Di Napoli sono state contestate gli aggravanti della premeditazione e del metodo mafioso, per essersi avvalso, stante la sua notoria appartenenza ad associazione di tipo mafioso, delle condizioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale, in specie di quelle di assoggettamento e di omertà del contesto ambientale e sociale, nel commettere un omicidio in zona di influenza di associazioni di tipo mafioso, con modalità plateali ed esemplari.

La sussistenza del metodo mafioso a comportato che le indagini sono state svolte dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Lecce ai cui i magistrati sono attribuite le funzioni di pubblico ministero per le vicende commesse con modalità mafiose o finalità di agevolazione mafiosa.

L'attività di indagine delegata ai Carabinieri si è giovata anche della costante compartecipazione degli investigatori della Polizia di Stato, in un clima di leale collaborazione non nuovo in terra salentina.

 



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