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ANTONIO SCIALPI: La mia città aperta

Pubblicato da: Categoria: POLITICA

20
LUG
2012

 

Come le sale di Palazzo ducale finora chiuse si offrono nuovamente ai martinesi, così una città finora ferma ricomincia a risalire la china. Ma il lavoro è ancora lungo: per farlo è necessario riscoprire la lentezza
 
  
«L’arte è la forma più alta della speranza.»
(Gerhard Richter)
 
“Con la cultuva non si mangia” ebbe a dire poco tempo fa un certo commercialista erremosciato che è stato, ahinoi, Ministro dell’Economia in Italia per molti, troppi anni. Naturalmente la citazione più alta, quella sotto il titolo, è quella che merita di essere ricordata, ma è importante anche riportare simili scempiaggini, come quella di Tremonti, come memento per il futuro: non possiamo più affidare il futuro dell’Italia a questi individui, specie se di marca padana, che non credono nella cultura e nell’arte come nell’industria e nella finanza.
Immaginate un’Italia grigia, senza più verde e dove il mare è stato saturato di liquami ferrosi; immaginate un’Italia dove i monumenti e i beni archeologici, uno dopo l’altro, siano stati sbriciolati per far spazio ad anonimi edifici ad uso e consumo di società finanziarie; immaginate un’Italia dove gli unici a pubblicare libri siano calciatori e vallette dai nomi altamente bancabili e dove la Cultura sia distaccata totalmente dalla Natura (l’Arte è la riproposizione della Natura). Immaginate, insomma, un’Italia dove ogni cosa, ogni azione sia votata al semplice profitto finanziario. Io dico che, in questa distopia, finiremmo tutti depressi nel giro di una generazione e che l’italianità si estinguerebbe nel corso della generazione successiva. Perché è scritto nella Storia dell’Umanità che una Civiltà muore nel momento in cui ne vengono recise le radici. E se siamo noi stessi a recidere le radici e a permettere ad altre culture di sostituire la nostra, consentitemi di dire che oltre che dannoso sarebbe anche da autentici stupidi…
Fortunatamente, tra chi amministra, tra tanti fichi secchi, un po’ di cultura la si può ancora trovare. E a Martina Franca abbiamo il professor Antonio Scialpi, 61 anni, docente di Storia e Filosofia. Insegna queste materie da più di trentacinque anni e ha all’attivo molti saggi. Sul piano politico, ha fatto per ventisette anni il consigliere comunale, dal 1980 al 2007, e per sei mesi, tra l’87 e l’88, ha ricoperto anche il ruolo di vice sindaco. Ha rivestito anche la carica di consigliere provinciale e assessore provinciale all’Ambiente.
In ambito politico, ha cominciato come indipendente di sinistra nel 1980, quindi, nell’83, ha aderito al PCI di Berlinguer e ha seguito l’evoluzione del Partito Comunista con il PDS e i DS fino a contribuire alla creazione del PD, pur non avendone la tessera. Oggi è tornato a essere un libero indipendente. Uno spirito libero!
 
Cominciamo con questo primo mese di amministrazione e parliamo di queste prime iniziative culturali che avete apportato. Sappiamo che avete voluto la riapertura di alcune sale importanti a Palazzo Ducale.
«Sostanzialmente non si può ancora fare un resoconto di questo primo mese e dire se ci sia stato un cambiamento o meno, perché tali cambiamenti culturali sono di lunghissima durata. Martina è una città impegnata su questo piano; ha una società civile con un tessuto associativo molto ricco e forte che la caratterizza. Ci sono cantieri culturali davvero importanti, dal Festival della Valle d’Itria all’Umanesimo della Pietra alla Ghironda, sono tutte associazioni che hanno un grandissimo pregio: quello di aver mantenuto costante nel tempo il proprio impegno. Ma sono davvero decine e decine e bisognerebbe procedere con un censimento per valorizzare ognuna di esse.
Io mi occupo anche di beni culturali e, riguardo alla riapertura di quelle sale di cui sopra, la Regione Puglia ha finanziato un progetto, “Città Aperte” per tutte le città d’arte e io e l’assessore al Turismo Pasquale Lasorsa abbiamo reso possibile l’apertura di queste sale, dopo debito restauro, dalle nove del mattino alle ventitré, grazie anche alla disponibilità di giovani professionisti laureati che per pochi euro ci hanno reso questo servizio interessantissimo, ovvero esporre le bellezze delle sale nobili del Palazzo. L’iniziativa sta riscontrando un grandissimo successo, soprattutto da parte di stranieri che provengono da ogni parte del mondo. E anche dagli stessi cittadini di Martina, che non conoscevano tali tesori.
Per il resto, è ancora presto: prima dobbiamo approvare il bilancio. In emergenza, comunque, sempre con l’assessore Lasorsa, abbiamo organizzato un coordinamento di tutte le iniziative che riguardano il turismo nelle sue varie forme: spirituale, sportivo, artistico…».
 
Dunque, deduciamo che secondo Lei a Martina Franca debba assolutamente andare a braccetto con il turismo.
«Col turismo, sì, ma soprattutto con l’economia. Fare cultura deve significare fare anche economia, e viceversa. Economia deriva dal greco ecòs, “casa”, e in ogni buona casa deve esserci la biblioteca, la musica e l’arte. E questa città è una casa, che ha una valenza economica, ma anche culturale. Oggi la ripresa economica può avvenire anche attraverso gli investimenti culturali, e questo l’ha capito, ad esempio, Giuseppe Laterza, che a Matera ha rilanciato questo forte abbinamento tra economia e cultura. Noi puntiamo moltissimo, come amministrazione, a rafforzare questo binomio, perché senza di esso si rischia la mera mondanità degli eventi: le iniziative fini a se stesse, insomma».
 
Una forma di cultura di tipo snobista…
«No, non direi snobista. Lo snobismo non c’è, ma aumentare il raggio degli eventi rafforzerebbe anche l’impatto economico e il fattore lavoro. Fare cultura nel vero senso delle parole significa valorizzare ogni risorsa che abbiamo, e non si tratta solo dei giacimenti culturali che possediamo in abbondanza, qui a Martina, ma parlo anche delle possibilità di sviluppo. E’ un territorio bello e ben conservato e un territorio così è l’ideale per gli investimenti».
 
L’evento del Festival è uno dei più importanti, in Puglia. C’è però chi ritiene sia una manifestazione piuttosto chiusa. Lei che ne pensa di tale affermazione?
«Il Festival esiste da trentotto anni e io ricordo che già nel ’75, quando partì, questa fu una delle critiche che gli fu mossa contro. Ascoltando però il giornalista Federico Rampini, corrispondente da New York per Repubblica, con cui io ho avuto il piacere di dialogare lunedì, capisco che non è una critica giusta. Rampini ha detto che la differenza tra noi, in Italia, e gli Stati Uniti è che noi abbiamo città festivaliere che in America se le scordano! E detto da un giornalista italiano che vive in America… beh, credo che lascerò ai lettori il giudizio in base a ciò che ha affermato Rampini.
E’ il collegamento con la città che va rafforzato. Per esempio, quest’anno abbiamo dato principio a una serie di piccoli eventi musicali gratuiti per i cittadini e per il turisti. I concerti del Sorbetto, i concerti dell’Ora Sesta, i concerti Fuori Orario che si terranno in piccoli luoghi culturalmente e artisticamente significativi».
 
Una delocalizzazione per valorizzare ogni angolo di Martina, insomma…
«Esatto. Una delocalizzazione per valorizzare le chiese storicamente significative della città, come quella di San Francesco di Paola, o quella delle Agostiniane. In breve, abbiamo un’idea rivalutativa sia della storia dell’arte che dell’arte musicale. E’ come dire: arte su arte, arte storicamente testimoniata e arte che si produce nel XXI secolo. Questa dicotomia sarà pienamente tangibile durante i concerti notturni. Noi abbiamo voluto calcare facendo anche un’illustrazione storica in collaborazione con degli storici che hanno realizzato delle schede che saranno distribuite poco prima dei concerti. Tutto questo sarà fruibile dal 19 luglio».
 
Professore, la crisi economica, e quindi materiale, potrebbe aiutare gli italiani (e non solo) a riscoprire il valore umanistico e spirituale dell’esistenza? Intendo: la crisi della ricerca frenetica dell’avere risveglierà in noi l’interesse per la ricerca dell’essere? E come sfruttare, se ci sarà, questa “rivoluzione”?
«Ma la nostra città si presta moltissimo a questo! Non a caso, tantissime comunità religiose scelgono la Valle d’Itria come luogo di grande spiritualità perché il clima e il silenzio della campagna e dei centri storici agevola il senso della “lentezza”, di cui abbiamo bisogno per ripensare alla nostra esistenza.
Martina Franca, da questo punto di vista, potrebbe essere oggetto desiderabile per investimenti, ma bisogna dare l’esempio evitando bruttezze, anche perché fare cultura significa tutelare le bellezze naturali vittime di cementificazioni selvagge e i danni apportati negli ultimi anni sono stati enormi. Fare cultura, oggi, significa evitare questi abomini, invertire la rotta e fare le cose belle, in collegamento a quanto avvenuto nei secoli scorsi».
 
Ma a chi affidarsi per fare questo?
«Ci affideremo anzitutto alle prossime generazioni: chi vorrà investire nel territorio dovrà avvertire il clima positivo che solo i giovani potranno creare con l’impegno proprio. Avere una città pulita e ordinata, desiderabile e impegnata culturalmente inviterà anche chi vorrà investire a tenere le betoniere ferme e a favorire la bellezza del territorio».
 
Da settembre, quando riprenderanno anche le lezioni, come si muoverà l’amministrazione, sempre in tema di eventi e cultura?
«Abbiamo approvato una decina di eventi, collaborando con altre organizzazioni. Con Spiagge d’Autore, per esempio, porteremo a Martina alcuni autori di alto livello. Lunedì abbiamo avuto la partecipazione di Rampini, che è stato un grande successo, e avremo con noi De Luca il 3 settembre.
Il nostro fiore all’occhiello, in questo momento, credo che sia la delibera con cui il 12 agosto è stato resto festa civile di Martina. Si chiamerà Martina Angioina, servirà a celebrare la fondazione angioina, appunto, della città e l’intera giornata sarà dedicata alla ricerca storica con convegni, come la mostra numismatica che terremo quest’anno. Allo stesso tempo, renderemo più bella la vita dei cittadini con la Notte Angioina, tra l’11 e il 12 agosto, che si terrà nell’atrio di Palazzo Ducale alla presenza di scrittori martinesi di gran fama, come Mario Desiati e Antonio Semerari. Avremo una serie di eventi musicali di vario genere e la Ghironda, come annunciato recentemente da Rai3, tornerà a Martina! 
Naturalmente opereremo una destagionalizzazione: a settembre ci sarà una riapertura delle corti e dei cortili; a ottobre e novembre, avendo come epicentro la festa di San Martino, ci saranno altri eventi, così da tenere vivo l’interesse sulla città, pur relativamente con le risorse a disposizione.»
 
Il fine sarà, dunque, far recuperare ai martinesi la consapevolezza di essere martinesi e di appartenere a una storia non da poco…
«Certo, certo. Mantenere vivo l’interesse sulla città, valorizzando anche le scuole, luoghi non solo di formazione ma anche di educazione culturale. Valorizzare la scuola significa anche spendere bene i soldi.»
 
E magari si potrebbe affiancare alla storia istituzionale che si fa a scuola anche un corso di storia locale.  
«Sì, e in parte questo già si fa. Per i settecento anni dalla fondazione a Martina lo si è fatto, ma dobbiamo continuare su questa linea. Bisogna coltivare la memoria storica della città, perché una città che vuole ripartire deve sapere quali sono le sue radici, smarrite in questo momento di crisi della globalizzazione. Fare cultura significa produrre idee, e dalle idee nasce l’economia.»
 


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