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Parole che contano

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

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LUG
2013
La nostra rubrica questa settimana propone tre letture (o ri-letture) che ci permetteranno di incontrare tre personaggi-chiave attraverso i quali entrare nel visionario mondo della finzione letteraria. Testi che sarà possibile leggere nel formato che ci è più congeniale: cartaceo o digitale, scaricabili gratuitamente sul sito www.liberliber.it. Intanto salutiamo i nostri lettori. A ritrovarci a settembre.
 
DON CHISCIOTTE
Umberto Eco a proposito della discussa questione  se siano preferibili i libri cartacei a quelli digitali, pur dichiarando di appartenere a coloro che un romanzo o un poema preferiscono leggerselo su un volume cartaceo, conclude: “Se le generazioni future arriveranno ad avere un buon rapporto (psicologico e fisico) con l’e-book, il potere del Don Chisciotte non cambierà.” (“Sulla letteratura”- pg.8). Perché Eco cita proprio quest’opera? Perché si tratta del nostro primo romanzo contemporaneo, un romanzo che nasce quando la grande virtù dei cavalieri antichi è resa ridicola, assurda, sorpassata dallo spirito mercantile dei nuovi tempi, dal pragmatismo della nuova e numerosa classe emergente che rifiuta ogni idealismo. Don Chisciotte, questo straordinario personaggio letterario, non solo vive le sue avventure, le sue lotte contro i mulini a vento, ma le racconta in modo che ci siano contraddizioni con i fatti che gli sono accaduti, facendo risaltare quell’ingrediente della letteratura che è la fantasia. In questo capolavoro di colpo ci accorgiamo di alcune sottigliezze della narrazione che ci spiazzano completamente rispetto al mondo in cui credevamo di trovarci. Quando Don Chisciotte esce dalla grotta di Montesinos e racconta ciò che gli è successo e ciò che ha visto, è impossibile sapere se è davvero accaduto o se ha inventato tutto o se l’ha inventato parzialmente. Ed è proprio da questa tensione, che il racconto di Cervantes riesce ad alimentare nel lettore, che nasce la grandezza di un’opera che non smetterà mai di incantarci.
MADAME BOVARY
I romanzi ci portano alla verità segreta che ci hanno promesso attraverso piccoli dettagli e avvenimenti della vita quotidiana simili e al tempo stesso diversi dalla nostra esperienza. In un angolo della nostra mente sappiamo che quei dettagli, quelle sensazioni provengono dalla vita stessa, dal fatto di essere  stati vissuti da chi quei personaggi li ha creati. E’ questo il significato preciso delle parole attribuite a Gustave Flaubert e così spesso citate: “Madame Bovary sono io”. Flaubert non era una donna, non si sposò mai, la sua vita non somigliava affatto a quella della sua eroina. Tuttavia seppe vivere e testimoniare alla perfezione le sue esperienze sensoriali: l’infelicità, il desiderio di una vita brillante, la meschinità della vita provinciale nella Francia del XIX secolo, l’amara differenza fra i sogni e la realtà dei ceti medi. Flaubert espresse il suo punto di vista attraverso quello di Emma, e lo fece in modo straordinario. La precisione, la chiarezza dei dettagli compiono in noi il miracolo di vivere una scena nella nostra immaginazione e sono queste le qualità per le quali ammiriamo uno scrittore/scrittrice, a cui riconosciamo il talento, il dono di esprimere le sensazioni come se le avesse sperimentate, di riuscire a persuadere il lettore di avere vissuto cose che invece ha solo immaginato. E’ questa illusione il potere di un romanziere.
 
PINOCCHIO
 
Che cos’è un “personaggio”? E’ un’invenzione nata dall’immaginazione di un romanziere, proprio come Pinocchio, nato da un pezzo di legno lavorato dall’immaginazione di Mastro Geppetto e dalla sua abilità artigianale. Ad essere precisi Pinocchio è un burattino, non propriamente un personaggio. E’ un burattino che lungo tutta la storia narrata da Carlo Collodi si sforza di diventare uomo. Un’impresa! Quante ne combinerà. E magari dopo aver letto l’ultima pagina, quella che ce lo consegna uomo, ci chiederemo se saprà restare tale o tornerà ad essere un burattino di legno. Per Raffaele La Capria, uno scrittore fra i più significativi del secondo Novecento, ospitato a Martina Franca due anni fa circa in un Teatro Verdi che non traboccava  di pubblico, Pinocchio è “l’unico vero personaggio della letteratura italiana”, quello che “meglio rappresenta la nostra indole”. Pinocchio non è capace di crescere né di giudicarsi. E a tal proposito, nella sua raccolta di saggi, “False partenze/Letteratura e salti mortali Il sentimento della letteratura”(Oscar Mondadori) così argomenta mirabilmente La Capria: “Non c’è in fondo ad ognuno di noi un Pinocchietto irresponsabile che non vuol maturare e non sa giudicarsi?...Lo vediamo tutti i giorni. Nel disordine della nostra vita pubblica, nel nostro scarso senso civico, nella nostra “cattiva educazione”. Quella tendenza ad anteporre sempre quello che ci conviene, il proprio “particulare”, al bene comune, è appunto la nostra immaturità. E  poi c’è anche un’immaturità politica, che si accompagna all’altra: quella per cui siamo sempre talmente schierati da una parte da non riuscire mai a comprendere le ragioni, e perfino l’esistenza, dell’altra parte”. (pag. 233).
 
Una breve nota a piè pagina, in taglio basso su questa pagina che vuole offrire, fare dono gratuito di una passione, la lettura, che per chi vi scrive nasce dal bisogno di vivere  con intensità e convinzione l’umana commedia, senza presunzione alcuna di possedere le risposte (ammesso che ve ne siano) alle infinite domande che la vita ogni giorno pone a ciascuno di noi. L’ascolto di Roberto Saviano ha sollecitato tante discussioni, ha acceso anche “scontri verbali” di segno opposto, alimentando quella “fiera delle parole” che festival, presentazioni, eventi scatenano e amplificano, nascondendo, offuscando l’essenza ultima di ciò che invece dovremmo imparare a cogliere. E non è stato casuale che Roberto Saviano abbia concluso il suo intervento citando i versi di due poeti: Danilo Dolci e Wislawa Szymborska (rispettivamente: “ciascuno cresce solo se sognato” e “ascolta come mi batte forte il tuo cuore”). Due grandi personalità letterarie e umane che si sono impegnate, con i mezzi che avevano a disposizione e, soprattutto con spirito critico, a reagire al nichilismo e alla triste retorica del negativo. Non il superficiale “pensare positivo” ma l’invito a considerare shakespearianamente le ragioni della vita (tragica e pur sempre comica) e il fatto che il male – certamente esistente – è la parte e non il tutto.Saper penetrare nella parte più affettiva e individuale, i sogni e il cuore dell’altro, è ciò che ciascuno di noi dovrebbe imparare a fare per progettare una nuova edizione del mondo.
 
 


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