MENU

Parole che contano

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

4
OTT
2013
Questa settimana è dedicata a letture che non recano l’etichetta: “da consumarsi preferibilmente entro…”. Si tratta di tre saggi: il primo di recente uscita offre una nuova visione del mondo;  il secondo nasce dall’urgenza di rendere la poesia fermento che trasforma la vita individuale e collettiva e il terzo, non recentissimo (2009), ci permette di avere maggiore consapevolezza degli accadimenti politici degli ultimi giorni.
 
ANTIFRAGILE
Nel Prologo, l’autore Nassim Nicholas Taleb, cogliendo quello che è l’umore collettivo del nostro tempo: la paura dei cambiamenti, della fragilità, delle incertezze, individua nell’antifragilità  la qualità che ci permette di trarre vantaggio da ciò che è oscuro, volatile, invisibile, inspiegabile. “L’antifragilità – spiega Taleb – va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli shock e rimane identico a se stesso; l’antifragile migliora”. Infatti è proprio l’antifragilità alla base della cultura, delle idee, delle rivoluzioni, delle innovazioni, del successo culturale ed economico di una nazione.  L’antifragile quindi ama il caos, gli imprevisti, le conseguenze  inattese. Ma sopra ad ogni cosa l’antifragile ama il tempo e il pensiero non lineare. Non abbiamo bisogno di sapere che la situazione del mondo è disastrosa, che a dominare la storia e la società sono i Cigni neri, ossia gli imprevisti, siamo consapevoli che le razionalizzazioni sono fatte sempre a posteriori. Quello che succede nel tempo presente non lo si conosce mai, “pertanto – conclude l’autore – possiamo passare direttamente alle questioni pratiche…La regola di questo libro è: faccio quello che dico…E’ tempo di rinvigorire il concetto filosofico poco noto di impegno doxastico, una serie di convinzioni che vanno oltre le chiacchiere e alla quali siamo abbastanza legati da correre dei rischi personali. “
Il libro è strutturato su tre livelli: il primo letterario e filosofico, il secondo è quello delle appendici con grafici e argomentazioni più tecniche, infine il terzo livello comprende materiale di supporto, con spiegazioni più elaborate tutte in forma di saggi. 
La tesi sostenuta da Taleb è che tutto ciò che conta può essere classificato nella triade comprendente il fragile che vuole la tranquillità, l’antifragile che cresce grazie al disordine e il robusto a cui non importa nulla. 
 
 
POESIA COME ESPERIENZA
Filippo La Porta, critico militante, con “Poesia come esperienza – una formazione nei versi” (Fazi Editore) ci offre un’antologia nella quale dialoga con i versi dei poeti che ha amato, da Dante a Zanzotto, da Keats a Szymborska,  denunciando il rischio di ridurre la tradizione letteraria “ad un parco a tema” , mentre invece essa è “un deposito inesauribile di interpretazioni intorno al nostro destino”. 
“In un mondo dove è sempre più difficile avere esperienze – scrive – ogni cosa è predigerita da altri, manipolabile o reversibile a piacimento, la poesia costituisce un’esperienza reale. E lo è per tre ragioni: perché accade nel presente, perché non si fa mai possedere del tutto, perché non lascia che il nulla sia l’ultima parola…” L’unica risposta al male è la poesia, in essa il dolore si scioglie perché i versi dei poeti rigenerano il mondo e l’esistenza, permettendo al genere umano di immaginare l’eterno pur nella consapevolezza della sua finitezza. Le pagine di Filippo La Porta, che prendono in considerazione 25 poeti italiani e 15 stranieri, sono di straordinaria leggibilità, utilissime per gli insegnanti di Lettere, ma anche per gli studenti e le studentesse che vogliono fare esperienza letteraria. Sappiamo che la poesia non circola, i suoi libri restano invenduti, c’è diffidenza e pregiudizio intorno ad essa. Lo stesso La Porta nell’introduzione confessa: “…una quindicina di anni fa, al momento di aprire le casse piene di libri allineate in soggiorno, presi una decisione perentoria: mettere tutti i volumi di poesia negli scaffali più alti, e semi-inaccessibili della nuova libreria. Perché? Perché in fondo li sfogliavo e li leggevo raramente…Dal punto di vista critico il romanzo italiano contemporaneo mi attraeva più della poesia…che richiede sempre un’ecologia mentale preliminare, una condizione di ritrovata solitudine, un’operazione anche laboriosa, impegnativa, simile ad un esercizio spirituale: e cioè riuscire a fare vuoto dentro di sé, creare un silenzio entro cui la parola poetica possa liberamente risuonare. Se non ero capace di questa ecologia minima, significava che la poesia non la meritavo…Non avrei mai immaginato che appena qualche anno dopo gli stessi libri li avrei portati giù in basso.”
 
 
IL CORPO DEL CAPO
L’input a segnalare nella nostra rubrica “Il corpo del capo” di Marco Belpoliti (Le Fenici rosse- 2009) ci è venuto dall’intervento di qualche giorno a firma dello stesso Belpoliti apparso sulla rivista on line Doppiozero nel quale l’autore analizza in modo capillare la gestualità e l’espressione di Silvio Berlusconi nel corso del videomessaggio del 18 settembre scorso. Oltre ad invitarvi a leggere questo intervento, (www.doppiozero.com), abbiamo pensato di rilanciare il saggio pubblicato nel 2009, preziosissimo per capire perché il creatore della televisione commerciale ama tanto le fotografie e ricorre alle immagini fisse per descrivere la propria persona. Il saggio di Belpoliti descrive il modo in cui il Cavaliere ha usato, sia come imprenditore sia ai fini della sua strategia politica, il proprio corpo, e questo attraverso le foto ufficiali e non. Dai trapianti di capelli alla bandana, dal ritocco fotografico alla chirurgia estetica, il corpo di Berlusconi è diventato la metafora vivente della nostra stessa idea di corpo, della sua durata nel tempo, del suo valore e del suo sfruttamento economico. Nell’epoca in cui ciascuno ha diritto al suo quarto d’ora di celebrità, Silvio Berlusconi risulta essere il più warholiano dei politici. Infatti scrive Belpoliti nelle pagine conclusive: “Tra Warhol e Berlusconi c’è qualcosa di comune…Come Warhol egli ha introdotto il nulla nel cuore dell’immagine.”  E in effetti ad osservare le immagini del magnate di Arcore l’aspetto che emerge è il vuoto,  l’indifferente in cui niente si afferma, l’intimità dalla quale Berlusconi rifugge. “La sua intimità – scrive Belpoliti – è ancora quella del simulacro, della finzione più vera del vero… La  politica dell’immagine di Silvio Berlusconi finisce per rivelare qualcosa di intimo: l’insondabile intimità con la morte. Prima o poi, il tempo della verità di sé arriva per tutti, governati e governanti, umili e potenti, gregari e capi.”
 
“Grandissime e importantissime osservazioni si possono fare intorno alle facoltà le più energiche, attive e feconde, che paiono innate, e in effetti non sono prodotte (gli altri dicono sviluppate) se non dalle letture, e dagli studi, e dalle circostanze diverse…” -  GIACOMO LEOPARDI dallo “Zibaldone” – nr. 1742
 
 
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor