Preferisce l’acrilico, perché “ha fretta” e si definisce un “estemporaneo”. Un artista a cui piace sperimentare ma che rimane fedele ai suoi due grandi amori
Francesco Passaro è un giovane artista pugliese originario di Francavilla Fontana. L’ho incontrato a un reading presso lo studio d’arte “Ai quattro venti” e il suo quadro esposto durante l’evento, insieme alla sua notevole capacità interpretativa, mi hanno piacevolmente sorpresa…
Francesco, l’arte è parte essenziale della tua vita. Ti sei accostato prima alla pittura o alla recitazione?
«Penso che sia stato quasi in contemporanea. In casa ho sempre respirato il clima dell’arte. Mio padre che era più grande di me di cinquant’anni, è stato pittore e scultore. Amava scolpire il marmo. Rammento le tele di juta, gli stucchi, tutto il materiale primario… Vedevo nascere le sue tele dal nulla! E porto ancora impresso nei ricordi l’odore dei colori che venivano preparati nel vecchio studio artigianalmente. L’incontro con il teatro è avvenuto invece con la scuola. Una maestra bravissima, la signora Vincenza D’ambrosio, mi ha iniziato alla recitazione. Nel periodo delle scuole medie poi, grazie al professor Cosimo D’Amone - noto scrittore francavillese - ho avuto modo di conoscere il teatro classico. L’opera che mi ha lasciato un certo marchio anche se non vi ho partecipato è stata “La giara”. Ci sono rimasto malissimo per non aver potuto prendere parte alla rappresentazione e a distanza di vent’anni gliel’ho pure confessato! Un altro incontro decisivo è stato quello col compianto professor Macone che all’epoca del fatto insegnava matematica alla scuola media “Virgilio” di Francavilla. Insieme a lui ho scritto per la prima volta un testo teatrale, una commedia in dialetto napoletano».
Come scopri queste tue passioni? Eri consapevole da sempre di questa tua sensibilità artistica, o c’è stato un momento esistenziale che ti ha portato a esternare attraverso l’arte ciò che avevi dentro e che non eri ancora riuscito a esprimere?
«Mi sento un po’ come una pentola a pressione. Sono molto pigro, oltre che un disordinato cronico. Fino a dieci anni fa ho dipinto, letto, e basta. E’ stato grazie all’incoraggiamento di mia moglie e di diversi miei colleghi di lavoro che sapevano di questa mia passione se ho trovato il coraggio necessario a portare le mie opere fuori dalle mura domestiche, soprattutto per una personale ricerca che mi mancava. Sono un autodidatta e quello che faccio lo faccio senza alcun insegnamento di base. Ho avuto l’occasione di frequentare un corso di pittura e di conoscere il maestro Gennaro Solferino, uno dei più grandi esponenti dell’iper-realismo, quel movimento che si è sviluppato subito dopo la pop-art verso la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta. Caratteristica di questa corrente è rendere l’immagine quasi “tridimensionale”. Per il teatro invece ho ripreso l’anno scorso a maggio dopo vent’anni. Ho recitato al teatro “Verdi” di Brindisi in occasione del festeggiamento dei 150 anni dell’unità d’Italia con l’opera “Uno dei mille” del professor Catalano messa in scena con la sua regia e con la compagnia Teatrale "Le pietre". La prima volta che esponevo alla Galleria di Arti Internazionali a Mottola mi è stato assegnato un premio come artista emergente. Il quadro non figurativo si intitolava “Interruzione di un pensiero” e rappresentava il Dna che si attorciglia, con una spatolata ocra gettata al centro. Il Dna raffigurava il pensiero che è sempre continuo nel cervello, ma in questo caso risultava invece interrotto nel mezzo, appunto dalla spatolata».
Molti tuoi quadri ritraggono nudi femminili. La donna è spesso protagonista delle tue tele…
«Le donne sono le mie muse ispiratrici. Non riesco ad immaginare una vita senza la mia donna accanto. E comunque non riesco a pensare a un mondo senza donne. Il nudo femminile è un insieme di note messe una affianco all’altra sino a comporre una sinfonia. Non è un piacere effimero. Ma un’esortazione a vivere le emozioni a 360°. E’ come ascoltare una melodia poter vedere l’armonia di un corpo femminile. Mi dispiace non riuscire a esprimerlo con la scultura».
Quali tecniche prediligi e perché?
«Preferisco l’acrilico perché ho fretta. Sono “estemporaneo”. Penso che gli artisti siano trasmettitori di emozioni. Io non mi ritengo un artista, ma credo che comunque nel mio piccolo riesco a emozionare gli altri. Una vita intera non basta per fare tutto ciò che vorrei e non avendo a disposizione tanto tempo avverto il bisogno di realizzare subito quanto mi sta passando per la testa in quel momento, e prediligo dunque questa tecnica dell’istante… Tra l’altro non avrei la pazienza necessaria ad esempio a far asciugare l’olio. Da qualche anno a questa parte poi sto sperimentando altre tecniche artistiche, utilizzo molto i pastelli e i colori a cera».
Dopo tante collettive hai già messo in cantiere una personale? Scelto il tema di una mostra tutta tua?
«L’anno prossimo dovrebbe essere l’anno in cui tirerò fuori i quadri per selezionarli per una mostra personale. Non ho in mente un tema ma un titolo “Estemporanemaente io” . Questi lavori sono estemporanei e li selezionerò insieme a un carissimo amico che sta in Olanda ma è tarantino, Roberto Caradonna, uno dei più grandi pittori europei. E’ stato anche grazie a lui se ho iniziato ad esporre i quadri. E’ una persona per la quale nutro una stima immensa. Mi disse: “Ho due amori: la pittura e mia moglie”. E lo capisco».
Ricordo un quadro che avevi realizzato con l’aiuto di tuo figlio. Gli hai trasmesso la passione per l’arte?
«Il quadro è il secondo di questa nostra collaborazione che ho esposto. Quando Paolo aveva cinque anni –oggi ne ha tredici- ne realizzammo un altro che è stato esposto prima. Si intitola “Capelli”. Gli dissi: “Immagina di metterti fra i capelli della mamma, immagina quello che riusciresti a vedere e disegnalo”. Raffigura i capelli lunghi di una donna, ed è stato molto apprezzato dalla critica».
E gli impegni teatrali? Svelaci i tuoi prossimi appuntamenti con la recitazione…
«Ho in cantiere un lavoro - per il quale a settembre dovrei cominciare il casting - che ho messo nel congelatore a causa di un ciclo di studi che ho da poco terminato. Ultimamente ho lavorato con Alfredo Vasco, attore e regista (uno dei più grandi registi e attori shakespeariani) apprezzatissimo in Sicilia. Abbiamo messo in scena l’opera della professoressa Maria Fontana Corvino che parlava dei fatti accaduti dalla fondazione di Francavilla Fontana sino ai giorni nostri».
Attualmente l’approccio all’arte non è più “elitario” e un numero crescente di persone decide di confrontarsi con questo universo inesplorato. Credi sia un punto di forza dei tempi moderni? O si rischia di penalizzare in un certo qual senso la qualità riscoprendoci tutti artisti?
«Ritengo che l’arte come la cultura sia un ottimo motore di crescita. Stiamo vivendo un periodo di forte recessione economica e stiamo riscoprendo che l’uomo di per sé, tolto il denaro, non ha nulla. Gli artisti portano idee, portano rinnovamento. Arrivati a un certo punto dove si gratta anche il secchio si deve risalire per forza! Occorre cambiare modo di pensare. Bisogna crescere per forza di cose».
Sogni nel cassetto?
«Viaggiare. Mi sento cittadino del mondo. Non ho una meta precisa in mente. Viaggiare per me significa crescere, conoscere, e d’altronde il potere sta nel sapere…»