O come OTRANTO. La parte centrale di uno dei più pregevoli cicli musivi del Medioevo, il suggestivo mosaico della Cattedrale di Otranto, ispirerà l’installazione di 35 metri di altezza che accoglierà i visitatori di tutto il mondo nel Padiglione Italia per l’EXPO di Milano da maggio a ottobre 2015.
Giorgio Caproni, definì Otranto “terra delle passioni e dei più genuini sentimenti dell’intera umanità nostra”. La rubrica, dopo la pausa estiva, riparte proponendovi l’incipit di tre romanzi che hanno posto al centro della narrazione proprio Otranto. Si è lettori sempre: dinanzi a libri di pietra, è il caso del Mosaico, come dinanzi a libri cartacei o digitali. La lettura è ricerca e raccolta di segni e simboli, un guardare le superfici per andare oltre, con l’occhio destro come con quello sinistro.”Il castello di Otranto”, primo romanzo gotico della letteratura, “L’ora di tutti”, un coro metastorico e antirealistico che dà voce ai martiri di Otranto del 1480, attraverso indimenticabili personaggi come Colangelo, Idrusa, il capitano Zurlo, “Otranto”e la storia di Helena, giovane restauratrice olandese, alle prese con la decifrazione del celebre mosaico, potranno essere un ponte da attraversare, e passando da Otranto, “porta d’Oriente”, accedere al mondo con occhi nuovi.
IL CASTELLO DI OTRANTO di HORACE WALPOLE
“MANFREDI, prencipe di Otranto, aveva un figlio, ed una figlia. Questa nominavasi Matilda, era nella età di anni diciotto, e di maravigliosa bellezza dotata. Il giovine, chiamato Corrado, già pervenuto al quintodecimo anno, dimostrava grossolano ingegno e complessione malsana, ma contuttociò venia parzialmente amato dal padre, il quale non dette mai alcun segno d'affetto a Matilda. Manfredi avea destinata al suo figlio in isposa Isabella, figliuola del marchese di Vicenza, la quale, già rimessa nelle mani del prencipe dai tutori della medesima, ritrovavasi in Otranto, a fine di celebrare le nozze, tostochè la salute cagionevole di Corrado lo concedesse. L'impazienza di Manfredi per far la ceremonia nuziale fu osservata dalla famiglia sua e dai vicini. Quei di casa, fu osservata dalla famiglia sua e dai vicini. Quei di casa, a dir vero, temendo la rigida natura di esso, non ardivano manifestar le loro differenti opinioni intorno al voler egli precipitar cotanto gl'indugj. Ippolita, di lui consorte, sopramabile gentildonna, si fece diverse volte animo a rappresentargli il pericolo di ammogliare l'unico figlio in così fresca età, atteso tantopiù il di lui infermiccio stato di salute; ma egli, invece di darle su di ciò analoga risposta, rivolgea destramente il discorso sulla di lei sterilità, per avergli partorito un solo erede. I vassalli ed i sudditi eran meno cauti in ragionare, ed attribuivano la premura di sollecitar questo maritaggio al timore che aveva il prencipe di veder adempita un'antica profezia la qual dicevasi stata fatta, cioè: "che la presente famiglia sarebbe decaduta dalla signoria e castello di Otranto, quando il vero proprietario fosse divenuto talmente grosso da non poter esservi contenuto." Egli era assai malagevole il distrigare il senso di questa profezia, ed ancor più difficile il capire ciò che avesse da fare col matrimonio di cui trattavasi; contuttociò, malgrado l'oscurità di tale arcano, il popolo vi prestava un'intiera credenza.”
L’ORA DI TUTTI di MARIA CORTI
“Per una traccia di sentiero, segnata da innumerevoli piedi nudi fra le erbe e le canne della valle dell’Idro, le donne scendono all’alba a Otranto con ceste piene di cicoria e di caciotte; hanno grandi occhi neri, capelli lucidi, aggrovigliati, andatura fiera. Mentre le piante dei piedi si espandono, illese, sul sentiero, esse guardano con la pupilla fissa in direzione del mare, uno sguardo asciutto, ereditato da generazioni di otrantini vissuti in attesa dello scirocco e della tramontana, per regolare su di essi pensieri e faccende. Arrivate alle mura della città, depositano cicoria e caciotte ai piedi della torre di Alfonso d’Aragona, e d’un tratto si mettono a urlare; come invasate da un improvviso oracolo, si scuotono dentro le nere vesti e gridano in faccia al passante: “Cicorie fresche, cicorie rizze!”
A questo punto, se c’è un forestiero presente, rimane inchiodato sul lastrico, all’ombra della torre, guardando gli occhi nero-viola delle donne, la pelle bruna, domandandosi perplesso: “Sangue greco? o arabo?” “Sangue otrantino,” gli risponde la vecchia nenia che le donne cantano ai lattanti per addormentarli, “sangue otrantino,/saporito come menta e petrusino,/sangue forte e fino,/contro il turco malandrino.”
OTRANTO di ROBERTO COTRONEO
“Avrei detto che ormai conoscevo quell’ora meridiana in cui i dèmoni scelgono di rivelarsi. Quando i raggi del sole piombano dallo zenit, quasi fosse una pioggia di sfolgori, e tutt’intorno questo cielo saturo di blu, come soltanto a Otranto riesci a vedere, ché da altre parti sembra sbiadito. E in questo cielo blu, in questo sole che annerisce le ombre, avrei detto che si poteva camminare per queste strade tortuose, a gradini e salite, e che i turchi potessero tornare, e tagliare le teste. E’ come se quel rosone della facciata, sedici raggi a trafori gotici per una Cattedrale che più volte mi è parsa inafferrabile, a quest’ora faccia scendere un sipario d’ombra, fino a renderlo un cerchio, una macchia scura in contrasto a queste pietre bianche che abbagliano i visitatori. Avrei detto che talvolta quel cielo saturo di blu, nonostante la luce di questo sole, donava all’orizzonte una consistenza limacciosa e densa. E quel mare, che sta intorno a questa città di mura, si presenta tra queste vie, in questa piazzetta, con un sommesso eco di onde che si infrangono sui bastioni. E non immagini che le onde possano infrangersi anche in un momento come questo: senza un alito di vento. Omero racconta che Ulisse navigava con un vento propizio ma poi come d’incanto il vento cessò, sembrava che un dio assopisse le onde, e fu allora che trovò le Sirene.”