MENU

DORIANA CALEANDRO: SONO COME DORIAN GRAY

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

16
MAR
2012

 

Il suo primo quadro la ritrae nuda e senza volto, per farle ricordare, quando sarà ormai anziana, come era il suo corpo senza rughe. La pittrice stattese ci racconta la sua arte tra tele e cavalletti
 
La sua prima mostra si è da poco conclusa e nella Biblioteca civica di Statte si sente ancora nell’aria il fermento di quei tre giorni durante i quali ventuno quadri davano sfoggio di sé, tra tulle e mimose, in tutto il loro splendore. La festa della donna è stata una data importante per Doriana Caleandro, trentaseienne artista stattese, che della pittura ha fatto la sua ragion d’essere, la passione che l’ha fatta risorgere dopo un periodo buio e che le ha dato l’opportunità di reinventarsi e di riscrivere il copione della sua vita.
 
Doriana, da quanto tempo dipingi?
«Dipingo da pochissimo, ma in realtà l’arte e il disegno hanno sempre fatto parte di me. Già da piccola mi divertivo a osservare i volti delle persone e a tratteggiare nella mia mente le linee dei loro visi, la forma delle sopracciglia, il volume dei capelli. La mia passione è diventata lavoro soltanto pochi mesi fa. Lo scorso luglio sono rimasta disoccupata e ho attraversato un periodo molto buio. Per me, che lavoravo dall’età di quattordici anni, era impensabile non dovermi più recare sul posto di lavoro, non avere più delle mansioni, dei compiti, uno stipendio. Il lavoro ti scandisce la giornata e in un primo momento quella mancanza forzata è stata pesante da sopportare. Ma dopo pochi giorni ho capito che dovevo darmi uno scossone, dovevo rimboccarmi le maniche e reinventarmi.»
 
Ed ecco che l’arte è venuta in tuo soccorso.
«Ho sempre amato dipingere nel mio tempo libero, così mi son detta che potevo farlo a tempo pieno, perché no. Inizialmente volevo solo impiegare il tempo e guadagnare qualcosa per acquistare i materiali. Ho cominciato anzitutto a lavorare gratuitamente per amici e parenti, facendo dei ritratti alle mie nipoti e dei quadri per le loro case. Cercavo di farmi conoscere e quello mi sembrava il metodo più indicato. In men che non si dica ho cominciato a ricevere delle richieste e a dipingere su commissione. Ricordo che uno dei primi lavori è stato per un tarantino che si è trasferito al Nord, il quale voleva portare con sé un ricordo della sua adorata città, commissionandomi un dipinto del ponte girevole. Si era sparsa ormai la voce, e da lì non sono stata ferma un attimo.»
 
Insomma, in pochissimi mesi hai realizzato tantissimi quadri. Come te lo spieghi?
«Ne ho realizzati una cinquantina, sì. La motivazione principale di una richiesta così ingente è che sempre più persone desiderano avere un quadro personalizzato, secondo il loro gusto: un quadro studiato appositamente per le loro case. Sono stanchi di quei dipinti tutti uguali, da adattare al resto dell’arredamento.»
 
Nei giorni scorsi hai tenuto la tua prima esposizione, in occasione della Festa della donna.
«Esatto. È stato un evento organizzato dalla Biblioteca Civica di Statte, la quale mi ha permesso di esporre le mie opere. Il tema era “Ritratto di donna”, proprio per la celebrazione dell’8 marzo, e dunque sono stati esposti ventuno quadri che ritraevano prevalentemente volti femminili, da Marylin Monroe a mia nonna. La particolarità dell’evento è che non si è trattato esclusivamente di una mostra pittorica, bensì di una unione fra immagini e parole: a ogni quadro, infatti, sono state affiancate le poesie di due giovani autrici stattesi, Annamaria Bruno e Vita Franchini, due donne di grande valore e di una profonda sensibilità. È stata una serata meravigliosa.»
 
Che tu hai dedicato a qualcuno in particolare…
«A mio figlio Gabriele (di otto anni, ndr). È il mio primo critico e il primo sostenitore. Lui mi stupisce sempre per il suo occhio attento e per la precisione dei suoi giudizi. Quando termino un quadro, lui si avvicina, lo guarda e mi dice cosa va bene e cosa devo modificare. È persino in grado di trovare le differenze stilistiche tra le mie opere. È eccezionale, davvero.»
 
Cosa pensa della sua mamma pittrice?
«Dopo ogni quadro, mi dice sempre: “Mamma, sono orgoglioso di te”. E quella è la mia soddisfazione più grande e il traguardo più importante che potessi raggiungere.»
 
Anche la mostra deve essere stata una grande soddisfazione. Cosa hai provato nel vedere i tuoi quadri esposti?
«Loro sono i miei figli. Quando li ho messi tutti insieme per preparare l’inaugurazione ho provato una forte emozione. Guardavo le mie creature e mi sembrava come se si fosse riunita tutta la famiglia. Hai presente un pranzo di Natale? Ecco, così.»
 
Circa la metà delle tue opere è costituita da ritratti di donna. L’elemento femminile è molto presente nei tuoi quadri, come mai?
«Beh, io sono da sempre una sostenitrice del più debole, e nella società odierna io trovo che la donna sia il punto debole, quello da proteggere e preservare. E poi mi riesce molto facile tratteggiare i lineamenti femminili: un occhio qui, una ciocca di capelli là…»
 
Uno dei soggetti maggiormente ritratto è proprio Marylin. Sei particolarmente legata a questa figura?
«No, semplicemente è la più richiesta. Ho capito che se vuoi vendere devi essere commerciale; anche per l’arte c’è la necessità di seguire delle mode, motivo per il quale spesso vado nei negozi per osservare quali sono i colori di tendenza. Adesso per esempio si sta usando molto il nero e il rosso glitterato. Vedi, ci sono alcuni artisti che definire eccezionali sarebbe riduttivo, i quali però dipingono seguendo una loro tecnica particolare, uno stile ricercato, molto moderno o al contrario estremamente classico. La gente osserva quei quadri, ne resta incantata, ne è affascinata, ma non li vorrebbe in casa, perché non riuscirebbe ad abbinarli agli altri arredi. I miei quadri, invece, vanno a coprire esattamente il gusto del compratore, perché dipingo ciò che mi viene richiesto.»
 
Ecco, parlando di stile, il tuo quale sarebbe?
«Il mio, appunto (ride). La verità è che non seguo le tecniche standard  e non appartengo ad alcuna corrente artistica. Una volta mi iscrissi a un corso di pittura: frequentai tre lezioni e poi andai via.»
 
Come mai?
«Non avevo intenzione di seguire le indicazioni che mi venivano date. Per disegnare un volto, gli insegnanti mi dicevano di tratteggiare prima le linee e poi riempire l’interno. Ma io trovo più facile fare l’esatto opposto. Riempio la tela del colore di cui voglio fare il volto, poi ci disegno le linee e all’interno lavoro esclusivamente con i chiaroscuri. Mi riesce più naturale fare in questo modo.»
 
Cosa rappresenta l’arte per te?
«L’arte è passione. È pari a un orgasmo. Quando dipingo mi trovo in uno spazio senza tempo, in un non-luogo. Il mio attuale laboratorio è un piccolo sottoscala, ma io potrei essere ovunque perché tanto intorno a me non esiste nulla in quel momento. Solo io e la mia tela. Non mi accorgo di nulla. Poi magari guardo l’orario e mi rendo conto che devo preparare il pranzo alla mia famiglia, e allora torno alla normalità.»
 
Qual è stato il primo quadro che hai dipinto?
«È stato “Nudo di donna” e l’ho realizzato quando ancora lavoravo. Ritrae me, il mio corpo ma non ha volto. Sono io, ma potrebbe essere chiunque.»
 
Da cosa nasce la scelta di ritrarti nuda?
«Beh, io ho l’abitudine di immaginarmi sempre da anziana, di proiettarmi nel futuro e di pensare a quando ero più giovane. A un tratto ho sentito l’esigenza di immortalare il mio corpo così come è ora, giovane e senza rughe, di fermare in qualche modo il tempo, in maniera tale che quando sarò vecchia, guarderò quel dipinto e mi ricorderò di come sono adesso. Quando ho raccontato questa storia ad Annamaria, una delle poetesse, lei mi ha paragonato a Dorian Gray.»
 
Paragone quanto mai azzeccato, direi. È quello il quadro a cui sei più legata?
«Solitamente il mio preferito è sempre l’ultimo, quindi al momento si tratta di un volto di donna con una rosa scarlatta al centro. Ma li amo tutti, indistintamente.»
 
In così poco tempo hai fatto talmente tanto. Si può dire che hai bruciato ogni tappa. Qual è il tuo prossimo obiettivo?
«Il prossimo è continuare con le mostre per farmi conoscere anche al di fuori del nostro territorio. Il sogno più grande, invece, è quello di avere finalmente una mia bottega artigianale, un laboratorio con tanto di vetrina che si affaccia sulla strada. Sarebbe il massimo.»
 
Tu, Doriana, hai dato un messaggio estremamente positivo: nonostante la perdita del lavoro sei riuscita, come una Fenice, a risorgere dalle tue ceneri senza lasciarti abbattere dagli aspetti negativi. Quella della disoccupazione, come hai potuto constatare sulla tua pelle, è un fenomeno diffusissimo che si sta espandendo sempre di più e che lascia i giovani impietriti dinanzi a una situazione tragica, che non lascia intravedere alcun futuro. Cosa consiglieresti a chi non riesce a trovare un lavoro stabile?
«Di affidarsi alle proprie passioni. Ognuno di noi ne ha una, basta solo scovarla e abbandonarsi a essa, indipendentemente da un guadagno o uno stipendio. La passione è una carica di vita, ti fa stare bene, e quando stai bene con te stesso allora puoi fare qualsiasi cosa. Poi, se si riesce a trasformare anche la passione in denaro, sarebbe il massimo, no?»
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor