La macchina procedeva sull’autostrada “a velocità di crociera”, come diceva nostro padre, e ciò voleva dire a quella velocità minima consentita per non essere considerata intralcio alla circolazione.
A diciannove anni compiuti era già abbastanza imbarazzante per me essere stato coinvolto in quella vacanza con la famiglia, come se fossi ancora un ragazzino delle elementari. Senza contare il rischio che correvo se gli amici fossero venuti a saperlo: sarei passato per inguaribile mammone.
«Ma perché dobbiamo andarci?»Chiesi, forse per la decima volta.
«Te l’ho già detto.»Sospirò mia madre, abbassando il finestrino per fare entrare un po’ d’aria nell’abitacolo e girandosi verso di me e mia sorella.
«Andiamo a trovare la nonna. Lo facciamo ogni anno per la festa del santo patrono del paese. Possibile che tu debba sempre fare tante storie?»
«Ma non ne posso più. È un posto noioso. Non c’è niente da fare: non ci sono locali, non c’è un cinema… Non c’è niente.»Le risposi, ma lei aggiunse:
«Si tratta solo di pochi giorni. Potrai sopravvivere una settimana senza andare al cinema o senza frequentare i tuoi amici.»
Non distogliendo lo sguardo dalla strada, mio padre intervenne:«È un belpaesino e ci siamo sempre trovati bene, e poi una settimana passa in fretta.»
Marisa, mia sorella, sbuffò nervosamente, ma nostro padre non si dette per vinto, e proseguì con il suo tono da insegnante scolastico:«Ha un centro storico molto bello e la natura è ancora incontaminata. Si possono fare delle bellissime passeggiate nei dintorni. Ci servirà per rilassarci.»
Marisa sbuffò ancora, incrociò le braccia sul petto, si girò verso il finestrino e si mise ostentatamente a fissare il paesaggio che lentamente stava scivolando davanti ai nostri occhi. Dopo un po’, sentendo che in macchina non stava volando una mosca, nostra madre, si girò ancora verso di noi e riprese:
«Sentite, lo so che vi secca. Siete grandi e vorreste restarea casa con i vostri amici. Ma lo sapete, la nonna ci tiene. Ha ottantasei anni, non sta bene e ha espresso il desiderio di vederci. Di vedervi, soprattutto.»
La mamma tornò a guardare davanti a sé, mamia sorella non modificò di una sola virgola il suo atteggiamento, e nemmeno io ero entusiasta di quella visita obbligata. I miei amici, per festeggiare il diploma avevano organizzato un viaggio in Grecia, ed erano partiti da una settimana. “Non sai cosa ti perdi…” continuavano a messaggiarmi.
L’avevo sognato per mesi quel viaggio all’estero.Il primo da adulto, con gli amici, senza i genitori, e invece dove stavo andando? In un paesino da niente, né mare né montagna, un migliaio di abitanti in tutto e quasi tutti vecchi. La nonna non era stata bene ultimamente e la mamma ci teneva molto che andassimo tutti e quattro a trovarla, ed era una sorta di tradizione familiare andarci in occasione della festa del santo patrono del paese.
Era il solito ricatto affettivo, ma che altro potevo fare? Non me la sentivo proprio di deludere la nonna Isadora. Le volevo molto bene, e per anni aveva vissuto con noi in città, ed era una seccatura che avesse voluto “ritirarsi”, come diceva lei, e tornare a vivere nel suo paese, nella sua vecchia casa, invece di restare ancora con noi in città. Ad un dato momento ci disse che non sopportava più di restare in città,le strade affollate, il traffico, i rumori e la confusione. E soprattutto non riuscire a sopportare quel senso di solitudine che le dava la città. “Voi uscite presto e tornate tardi e io rimango sempre sola. In paese ci si conosce tutti, ci si parla, ci si scambia il saluto quando ci si incontra, ci si aiuta a vicenda,e si sa tutto di tutti.
Quando arrivammo in paese trovammo la nonna Isadora sulla porta di casa che ci stava aspettando. Non era cambiata per nulla dall’anno precedente.
«Ciao mamma. Come stai bene!»Esclamò mia madre, avvolgendola in un forte abbraccio.
«E perché dovrei stare male?»Le rispose la nonna, strizzandomi l’occhiolino.
I malumori di mia sorella,che proseguirono ininterrotti per tutto il viaggio, svanirono d’incanto appena vide la nonna e cominciò a comportarsi come da piccola, sempre desiderosa di coccole, e la nonna non si fece pregare.
«E tu sei stato promosso, vero?»Mi chiese, come se non lo sapesse. Era stata in contatto con mia madre per tutto il periodo degli esami.
«Bravo. Vedrai che ho un bel regalo per te.»
Quella promessa ebbe un effetto benefico sul mio umore. I regali della nonna non erano mai cosucce banali, erano sempre qualcosa per cui valeva la pena mettersi in viaggio.
Poco dopo, in casa, non rimase traccia di malinconia e appena finito di pranzare, mia sorella uscì alla ricerca delle amicheconosciute l’anno prima.
«Grazie di essere venuto, Tommaso. Capisco che è stata una sofferenza per te non andare in Grecia con i tuoi amici. Ma hai fatto un grande piacere alla tua nonna. Questo lo sai vero?»
Mi disse, mentre mi allungava la tazzina del caffè. Io annuii con un cenno del capo e poi mi alzai.«Penso che andrò a fare una passeggiata anch’io.»Dissi.
Come avevo previsto nelle vie del paese non c’era quasi nessuno, solo qualche anziano, ma giunto in piazza trovai dei gruppetti di giovani, figli e nipoti di ex paesani che erano tornati per trascorrere le vacanze con i loro cari.
Continuando a camminare, vidi mia sorella che stava passeggiando con alcune ragazze della sua età. Lei fece finta di non vedermi e io feci altrettanto. Le quattordicenni mi sembravano delle lattanti, soprattutto se erano amiche di mia sorella.
Stavo entrando in un bar per prendermi un gelato, quando mi sentii salutare da un ragazzo e poi chiedermi:«Ciao Tommaso. Quando sei tornato?»
Era Sergio, un ragazzo che avevo conosciuto qualche anno prima.
«Come ti va?» Aggiunse: «Ti hanno bocciato?»
Io risi, e poi risposi:«Macché. È andata alla grande: sessanta sessantesimi.»
Sergio mi presentò l’amico che stava con lui e poi facemmo una passeggiata assieme. In centro notai diverse ragazze esubito incrociai lo sguardo di una biondina che si teneva un po’ in disparte dal resto delle sue amiche.
«Quella si da un sacco di arie.»Mi disse Sergio, mentre ci stavamo avvicinando. Il padre è un industriale e ha un sacco di soldi e viene qui perché è affezionato al suo paese, ma lei vorrebbe essere da tutt’altra parte. Al mare.»
«È carina.»Commentai, mentre non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.»
«Si, e anche la sua amica non è male.»Osservò Sergio, riferendosi alla ragazza che le stava accanto. Io le lanciai uno sguardo distratto. Era una morettina carina, con i capelli lunghi e grandi occhi neri, ma tornai subito a guardare la biondina. Era la migliore, decisamente uno spettacolo, ben oltre la “carina”, che le avevo attribuitoprima. Capelli lunghi che scuoteva con frequenza, evidentemente consapevole dell’effetto che facevano, occhi azzurri, alta e la pelle abbronzata. Senza pensarci, mi diressi verso di loro.
«Oh, ma dove vai?»Mi chiese Sergio.
«Vado a presentarmi e a fare la sua conoscenza.»Gli risposi.
Ero piuttosto sicuro di me. Non avevo mai avuto problemi con le ragazze e sapevo di avere un bell’aspetto e di riuscire anche simpatico.
«Salve.»Esordii. Facendo girare lo sguardo di tutte le ragazze del gruppo su di me.
«Mi presento. Io sono Tommaso.» Aggiunsi, cercando di evitare di fissare la biondina. E per darmi un certo tono mi rivolsi prima all’amica che le stava vicino, la moretta.
«Tu come ti chiami?»«Cinzia.»
Poi feci la stessa domanda alle altre ragazze e solo alla fine mi girai verso quella che mi interessava davvero e chiesi: «E tu?»«Francesca.»Rispose, sollevando alto il mento.
Era davvero bellissima e feci fatica a distogliere lo sguardo da lei eriportarlo sulle altre, che intanto si stavano avviando.
«Ah, loro sono Sergio e Ruggero.»
Dissi, avviandomi anch’io e indicando gli amici alle mie spalle. Dopo qualche minuto eravamo tutti nella villa comunale intenti a leggere il programma della festa del patrono che doveva tenersi il giorno seguente. In mattinata sarebbe stata celebrata una messa solenne, poi una lunga processione lungo le vie del paese e in serata degustazioni in piazza; esibizioni di artisti di strada, bancarelle e poi il gran finale con grigliata e fuochi d’artificio. Ogni anno era un po’ la stessa cosa, ma questa volta ero contento di esserci.
Mentre si parlava e si rideva, io continuavo a lanciare occhiate alla biondina, ma lei non mostrava nessun interesse nei miei confronti. Si limitava ad ascoltare le chiacchere degli altri e a elargire ogni tanto un sorrisetto supponente. La sua amica Cinzia,invece,era la più affabile di tuttee parlare con lei risultava piacevole. Prendemmo un gelato tutti assieme e poi ci salutammo con la promessa di rivederci durante la festa.
Il giorno dopo, per andare a messa e seguire la processione,venni svegliato molto prestoda mia madre e quando la statua del santo ci passò davanti mia sorella mi fece abbassare la testa verso di lei e mi sussurrò:«Se riesci a toccare la veste del santo, lo sai, forse ti farà la grazia e l’anno prossimo riuscirai finalmente a farti un viaggio da solo.»Io le tirai un pizzicotto e lei me lo restituì.
Arrivata la sera usci con la speranza di incontrare la biondina. Era il momento della sagra e della grigliata e in piazza ci doveva essere sicuramente anche lei. C’era, ma non mi riusciva mai di trovarla da sola. Stava sempre con le sue amiche e circondata da ragazzi.Dopo un po’ incontrai i miei genitori assieme alla nonna, e per un po’ mi unii a loro.
«Ma perché non te ne vai con quelli della tua età Tommaso, invece di startene qui con i vecchi come noi.»Mi buttò lì la nonna, dandomi anche un colpetto di ventaglio chiuso sulla spalla.
«Sta con noi perché la ragazza che le piace non se lo fila per niente.» Le rispose, al posto mia mia sorella.«Se è così, insisti. Fatti avanti, che aspetti? Alle ragazze piace essere corteggiate.»
Replicò la nonna, mentre con il ventaglio mi spingeva in avanti.
Le sue parole mi fecero ridere, ma mi destarono anche dal mio torpore. Giusto, che cosa stavo aspettando? Cosa poteva volere di più una ragazza, se non essere corteggiata.
Scarabocchiai un biglietto, lo infilai in tasca equando dettero il via ai fuochi d’artificio scivolai dietro a Francesca che, assieme con l’immancabile Cinzia e altri ragazzi, stava ammirando lo spettacolo pirotecnico. Tutti erano col naso all’insù a guardare le straordinarie corolle multicolori che esplodevano in cielo, così, prima di cambiare idea, scattai in avanti e infilai furtivamente il biglietto nella borsa di Francesca. Dopodiché mi allontanai in tutta fretta.
Le avevo scritto che volevo incontrarla da sola, che volevo parlarlee che il giorno dopo l’avrei attesa nella villa comunale.
Quella notte dormii poco. Pensavo di aver fatto una sciocchezza. Mi sarei coperto di ridicolo se lo avesse raccontato alle amiche.Ma intanto pensavo anche che se fosse venuta, sarebbe stato il segno che aveva una punta di interesse per me.
L’appuntamento era per le undici, e quando arrivai non c’era nessuno. Il parco era fitto e fresco e lei non era ancora arrivata. Controllai l’orologio: non era in ritardo, ero io ad essere arrivato troppo presto. Mi sedetti sulla panchina che le avevo indicato nel biglietto e attesi. Dopo una decina di minuti sentii uno scalpiccio, dei passi che si avvicinano. Mi alzai con il cuore che mi batteva forte e mi protesi in avanti per guardare oltre le siepi, ma non era lei, era Cinzia che stava arrivando.
La cosa peggiore che potesse succedere: Francesca aveva mandato l’amica a darmi il benservito. Pensai.
Cinzia avanzò verso di me con un mezzo sorriso sulle labbra e l’espressione ansiosa. La guardai e ricordo di aver pensato che era proprio bella. Avevo la gola secca e non riuscivo a parlare, così salutò lei per prima.
«Ciao.» Mi disse. «Aspetti da tanto?»
«No.» Risposi. E non sapendo che altro aggiungere, confuso, affondai le mani nelle tasche dei jeans.A quel punto Cinzia estrasse dalla borsa il foglietto spiegazzato e io lo riconobbi.
«Mi… Mi hai sorpresa. Credevo ti piacesse Francesca…»
Per un istante rimasiimbambolato dallo stupore e poi capii. La sera prima avevo commesso un madornale errore: avevo infilato il biglietto nella borsa di Cinzia e non in quella di Francesca. In effetti sul biglietto non avevo scritto il suo nome e così, quando Cinzia l’aveva trovato, credette fosse diretto a lei. Stavo per chiarire l’equivoco, ma poi, guardando i suoi occhi pensai di nuovo a quanto fossebella.
«Io…» Balbettai. «Scusa. Penserai che sono uno stupido…»
«No. Perché? Mi ha fatto piacere. Solo che non so cosa dire. E’ la prima volta che un ragazzo mi manda un messaggio scritto su carta.»
«È’ che volevo parlarti, ma avevi sempre troppa gente intorno, troppa confusione e allora ho pensato di…»
Avevo quasi dimenticato che non era a lei che volevo dire quelle parole, ma aggiunsi:
«Ti va di fare due passi?»Cinzia sorrise e sulle guance le comparvero due fossette maliziose e io me ne innamorai. Le presi la mano e mentre non riuscivo a distogliere lo sguardo da lei, cominciammo a camminare.
E ancora adesso, che siamo sposati e abbiamo due figli, ogni volta che ripenso a quella lontana settimana trascorsa nel paese della nonna, non posso fare a meno di essere contento di quell’errore commesso.