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Dal ricatto al riscatto/Siderurgico, riproviamoci

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

16
GEN
2015
Con 50 anni di storia alle spalle e dopo 20 anni di gestione privata, si torna a nuova nazionalizzazione. Ma chi pagherà il conto? Giuliano Pavone ne parla nel suo“Venditori di fumo – Quello che gli italiani devono sapere sull’Ilva e su Taranto”
 
 
Nel Natale appena trascorso, agli abitanti di Taranto e provincia il Governo Renzi, ha fatto un “grande” regalo: proprio il 24 dicembre 2014 infatti è stato varato l’ennesimo Decreto salva ILVA.
Il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi ha illustrato, alla presenza dei rappresentanti nazionali di Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil e Ugl Met e del Commissario dell’Ilva, Piero Gnudi, le linee principali del decreto sull'Ilva varato dal Consiglio dei Ministri, che partirà formalmente il 14 gennaio 2015.
Il Gruppo siderurgico di Taranto si avvia di fatto verso una nuova “nazionalizzazione” la cui durata, si stima, sarà di 24/36 mesi.
Con 50 anni di storia alle spalle e dopo 20 anni di gestione privata, dopo i fatti dell’estate 2012, dopo due AIA disattese ed “aggiustate” in corsa, almeno altri 4 decreti “Salva Ilva”, l’emergenza ambientale più grave d’Europa, il processo “Ambiente Svenduto” (tutt’ora in corso), i vertici dell’azienda arrestati o sotto processo, gli avvisi di garanzia al gotha politico di Comune, Provincia di Taranto e Regione Puglia, l’arresto del ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, dopo tutto questo, sembra proprio che saremo di nuovo noi cittadini a pagare i  “conti”  economici, ambientali e di salute che il Gruppo Riva ci ha lasciato in eredità.
Ne abbiamo parlato con il giornalista e scrittore Giulio Pavone, tarantino ma trapiantato a Milano, autore del recentissimo “Venditori di Fumo – Quello che gli italiani devono sapere sull’Ilva e su Taranto” (2014, Barney Edizioni), che proprio durante le festività natalizie è stato impegnato in un serratissimo tour di presentazione del libro proprio in Puglia.
 
Il suo libro “Venditori di Fumo – Quello che gli italiani devono sapere sull’Ilva e su Taranto” inizia parlando della prima industrializzazione di Taranto, quella relativa all’Arsenale della Marina Militare, sfatando, tra gli altri, il mito che vuole Taranto povera ed arretrata al tempo in cui si andava costruendo il IV Siderurgico. Perché questa scelta?
«Perché spesso dimentichiamo questa prima industrializzazione, che invece credo abbia forgiato Taranto (da un punto di vista demografico, urbanistico e culturale) molto più della successiva era siderurgica. Taranto negli anni ‘50 era povera (come tutta l’Italia, del resto), ma non perché agricola e arretrata, come dicevano i filmati propagandistici dell’epoca (visibili su Youtube), bensì perché il primo grande investimento dell’industria di Stato a Taranto aveva concluso la sua parabola. E’ come se, perso il primo giro di roulette (l’Arsenale), lo Stato abbia deciso di puntare sullo stesso numero ma aumentando la posta (un nuovo stabilimento pubblico, ancora più grande)». 
 
In più parti del libro lei denuncia il fatto di come gli abitanti di Taranto siano sempre stati “considerati” cittadini di Serie B, sia dallo Stato che dalle Istituzioni Politiche locali. In pratica, lei afferma che i diritti minimi di una democrazia, come ad esempio il diritto alla salute, sono stati negati ai tarantini. È davvero così?
«Credo che la situazione attuale ne sia una chiara testimonianza. Ovviamente Taranto non è l’unico disastro ambientale in atto in Italia, ma credo sia quello più grave e quello che dura da più tempo. Un esempio lampante dei “due pesi e due misure” è la chiusura dell’area a caldo dell’Ilva di Genova-Cornigliano, avvenuta negli anni 2000 e salutata con entusiasmo dalle varie istituzioni. Contestualmente, la produzione a caldo a Taranto fu aumentata per ovviare alla chiusura di Genova, senza alcuna protesta. Evidentemente la vita dei tarantini valeva (e vale) meno di quella dei genovesi».  
 
Il fatto che a Taranto la “Questione Ilva” sia stata portata allo scoperto dalla Magistratura e non dagli organi politici o dallo Stato rappresenta secondo lei un fallimento di natura locale, o piuttosto è un fallimento dell’Italia intera, che per l’ennesima volta decide di non guardare in faccia il problema, girandosi dall’altra parte, così come già successo con il terremoto dell’Aquila?
«Ovviamente a Taranto le istituzioni, sia locali sia nazionali, non hanno esercitato il necessario controllo sulla gestione dell’Ilva, ma in fondo è normale che sia la Magistratura a indagare su irregolarità e reati. A non essere per nulla normale è invece il fatto che, quando la Magistratura ha portato allo scoperto la questione, le istituzioni (in questo caso soprattutto nazionali) anziché collaborare con essa hanno provato a delegittimarla, e l’hanno ripetutamente disinnescata, revocando sequestri e cambiando il quadro legislativo di cui si ipotizzava la violazione».  
 
Alla luce dell’ennesimo Decreto Salva – ILVA, varato la vigilia dell’ultimo Natale e che sembra avrà piena attuazione dal 14 gennaio, come pensa che si evolveranno le cose?
«E’ evidente l’intenzione del Governo di mantenere in vita l’Ilva a tutti i costi. Il decreto prevede risorse esigue e cancella le scadenze più importanti per un’AIA che, se anche venisse applicata in toto, sarebbe comunque insufficiente. Dopo la “nazionalizzazione a tempo”, per attirare gli acquirenti privati li si solleverà da fastidi di natura giudiziaria ed ambientale. Il tutto in un quadro molto grigio per la siderurgia europea. La nota di speranza arriva dalla vivacità con cui la parte più attiva della cittadinanza tarantina ha iniziato a lavorare sulle alternative economiche per la città, nella consapevolezza che – a prescindere dal grave problema dell’inquinamento – sono ormai decenni che di solo acciaio non si vive».
 
“La nota di speranza arriva [..] dalla cittadinanza tarantina che ha cominciato a lavorare sulle alternative economiche per la città”, ci dice l’autore Giuliano Pavone; già... alla fine, se mai ci sarà un cambiamento a Taranto, non potrà che essere un cambiamento “dal basso” , non fosse altro per la secolare  incompetenza, inettitudine e “resistenza” al cambiamento, dimostrate da più di 90 anni di gestione politica sia locale e regionale che statale.
Ma ancora più importante, a mio avviso, è un potere che spesso, come italiani, dimentichiamo di possedere: sto parlando del potere del “voto”.
Siamo noi che, nonostante i vari porcellum, premi di maggioranza, accordi sotto banco, etc., votiamo i nostri amministratori, siano essi locali, regionali o statali. Come ha detto il noto economista sociale, Leonardo Becchetti: "Votate con il portafoglio e decidete voi cos'è l'economia", parole che sono oro colato, soprattutto oggi che, dopo il brusco risveglio dato alle nostre coscienze dalla Crisi del 2008, cominciamo a comprendere quanto sia importante l’economia nelle nostre vite.
 


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