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Da sfogliare/La mutevole sorte dei tarantini

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

3
APR
2015
La storia della città nell’opera di Giovan Giovine, riscoperta grazie a una ristampa anastatica, rinsalda il senso di comunità a partire già dal titolo
 
Se Matera è stata già consacrata “Capitale Europea della Cultura per il 2019” , Taranto tenta la carta di farcela almeno nella corsa per un posto che vale come “Capitale Nazionale della Cultura 2016-2017” e per questo motivo certamente non se ne sta a guardare, nel senso che ha pensato a recuperare alla fruizione dei cittadini uno dei più importanti capolavori della sua storia: il “De Antiquitate et Varia Tarentinorum Fortuna” (Antichità e mutevole sorte dei tarantini) in otto libri del tarantino Giovan Giovine, al quale è dedicata una strada del capoluogo ionico.
Il Comune ha pensato di continuare il prezioso recupero di opere storiche di fondamentale importanza per la conoscenza della storia cittadina. E lo ha fatto mettendo fuori dagli scaffali della storica Biblioteca Civica “Acclavio” un esemplare dell’opera già citata del Giovine nel testo originale latino stampato a Napoli presso Orazio Salviano nel 1589 e finanziato dal grande arcivescovo tarantino Lelio Brancaccio al quale l’autore,  doverosamente, dedica l’incipit del suo poderoso lavoro.
Oggi l’opera del Giovine è disponibile sul sito dell’ “Acclaviana” ma è anche acquistabile dai privati cittadini grazie alla ristampa anastatica affidata all’editore Piero Massafra che ha realizzato due tomi, uno nella versione originale latina e l’altro con la traduzione italiana e il relativo commento dei professori Gaetana Abruzzese, Cosimo Damiano Fonseca (curatore dell’opera e autore della traduzione della stessa), di Adolfo Mele e di Francesca Poretti.
Per comprendere l’importanza dell’opera del Giovine hanno relazionato i professori Paolo Fedeli, Accademico dei Lincei; Francesco Panarelli, ordinario di Storia Medievale dell’Università della Basilicata e Francesco Tateo, preside emerito della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari. 
L’incontro, introdotto e moderato dal dirigente scolastico Giovangualberto Carducci, ha visto il coordinamento di Claudio Fabrizio, bibliotecario dell’ “Acclaviana”.
Si diceva che si è trattato di un lavoro di recupero di uno dei capisaldi per meglio conoscere e comprendere la storia antica del capoluogo ionico dalle origini al 1589.
Così, dopo la pubblicazione del 1998 della “Historia tarentina” del Merodio e la pubblicazione dell’opera del Giovine, i tarantini si apprestano a fruire della digitalizzazione del “Libro Rosso” di Taranto (Codice Architiano 1330-1604 volume XXXVIII del Codice Diplomatico Pugliese) contenente i “Privilegi della città”, che sarà presentato a Taranto il prossimo 15 aprile. 
Tutti importanti gli spunti di riflessione emersi nel corso della manifestazione del 26 scorso, come quello che sostiene che i libri sono per l’uso e che una Biblioteca è resa grande non dal numero dei suoi libri, ma dal loro uso.
Altra riflessione fatta dal sindaco tarantino Ippazio Stefàno è che oggi i tarantini si devono sentire orgogliosi della propria storia e guardare con ragionevolezza e fermezza al futuro. E aveva ragione di esprimersi così, visto che i tarantini dal 1986 hanno potuto conoscere da vicino, oltre all’opera della quale ci stiamo occupando, anche la storia di Taranto del De Vincentiis e nel 1991 quella del Merodio rimasta inedita per tre secoli. 
E’ stato anche messo in risalto che la storia patria è un segno di maturità di un popolo.
Grazie al recupero dell’opera del Giovine, finalmente si è appreso che non nacque, come si è scritto fino a ieri, a Grottaglie ma a Taranto nel 1536, che fu sacerdote, membro del Capitolo Metropolitano, che insegnò Letteratura latina e greca nel Seminario di Taranto e ne diventò rettore. Il “De Antiquitate” conobbe due ristampe, nel 1723 e nel 1729. E’ articolato in otto libri che coprono l’arco temporale della storia di Taranto dall’antichità alla fondazione della prima Signoria e del Principato.
L’ottavo libro è dedicato alle origini cristiane di Taranto, alla sua evangelizzazione petrina e al patronato cataldiano della città. Risultano veramente uno più interessante dell’altro gli otto libri e per questo motivo ci riproponiamo di ritornare sull’argomento. Diremo molto sinteticamente che l’autore parla della fertilità del territorio tarantino lodata dagli antichi autori per l’allevamento delle pecore, per i prodotti della terra, quasi tutti abbondanti, come noci, pere, olive, fichi, castagne, frumento, zafferano, miele, porro e per il sale di Taranto e delle sue saline ricordate anche dal Boccaccio.
Il capitolo II del libro IV è dedicato alla pesca dei tarantini, e l’autore elenca mese per mese tutti i pesci catturati nel Golfo di Taranto e di ogni pesce riporta il nome latino e quello greco.
Nell’elenco trovano posto anche i delfini e i coralli.
Un capitolo è dedicato ai vizi e alle virtù dei tarantini e ad alcune leggende di cui parleremo una prossima volta. Ma si fa menzione anche dei quattro pittaggi tarantini, dei tributi e delle tasse pagati al re e al Senato e dell’usanza tarantina di costruire, oltre alle case per sé, anche una cappella sepolcrale in cui essere seppelliti.
Intanto è bello registrare nel capoluogo ionico il ritrovato piacere di riprendere contatto con le opere fondamentali della sua storia.
 


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