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DANIEL PENNAC/SI DIA VOCE AL CORPO

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

23
NOV
2012

Con un taglio netto, senza pudìche omissioni,  ci conduce nella storia di un corpo, dalla pubertà all’invecchiamento, attraverso sesso e malattie, a volte con ironia altre con realismo quasi fastidioso: tocca infatti proprio allo scrittore  il compito di dire la bruta verità

 
“Paura e ignoranza formano un cocktail pericoloso che ci porta a diventare selvaggi”: parola di Daniel Pennac che sabato scorso a Bari, presso la Libreria Feltrinelli, affollatissima, di giovani soprattutto, ha presentato, leggendone molti passaggi, il suo ultimo romanzo: “Storia di un corpo” (Feltrinelli). Decisamente più efficace il titolo originale: "Journal d’un corps", in quanto rende chiaramente il contenuto: l’autore, attraverso il diario del personaggio, racconta la metamorfosi, la trasformazione, l’invecchiamento di un corpo maschile; un lungo percorso, dai dodici agli ottantasette anni di età. Educato come un piccolo intellettuale, dalla mente lucida e dalla fisicità ‘trasparente’, il protagonista sta crescendo con le sue paure: il disagio dinanzi ai coetanei, alla madre, all’incontro con lo specchio, pronto a rivelare l’insignificanza del suo aspetto. “Ma della paura occorre liberarsi – dichiara l’autore – di qui il proposito di scrivere un diario, per annotare le manifestazioni inattese che il corpo riserva, per sorvegliarne le reazioni, di fronte a un’immaginazione che corre veloce.” Un viaggio lungo quanto una vita che il protagonista decide di regalare a sua figlia, alla quale il diario sarà recapitato dopo il funerale del padre. E lo fa perché fino a 12 anni era un bambino come tutti, con un “corpo timido”, quasi trasparente, poi sua madre lo iscrive agli scout e i suoi amici gli fanno un brutto scherzo: lo legano a un pino, lasciandolo nel silenzio del bosco dove per la paura se la fa addosso. Sarà sotto la spinta della vergogna  che comincerà a scrivere il diario che inizia così: “12 anni, 11 mesi, 18 giorni – Lunedì 28 settembre 1936 “Non avrò più paura, non avrò più paura, non avrò più paura, non avrò più paura, non avrò mai più paura.”  
Articolato in paragrafi spesso brevi, identificati dalla data e dall’età del protagonista, “Storia di un corpo” presenta una  prosa asciutta e intelligente con cui l’autore riesce a rendere interessante anche la descrizione di una ferita purulenta.
L’incipit del romanzo ci permette  di trovare la chiave di accesso a questo lungo racconto: il desiderio di tenere sotto controllo, di sorvegliare il corpo per essere preparati alle sorprese che esso ci fa. “Il nostro corpo – ci spiega Pennac – si esprime solo quando ci fa delle sorprese; anche se siamo avvertiti, nel momento in cui ce lo fa, per noi è sempre una sorpresa. Pensiamo alla prima polluzione per un ragazzo e alla prima mestruazione per una ragazza: sarà stata certamente preparata, avvertita, ma la prima volta è sempre una sorpresa. Altro esempio: la carie. Sappiamo cos’è la carie ma quando la vediamo è una sorpresa. Vivere è tenere sotto controllo queste sorprese che ci riserva il corpo ma la nostra fantasia non può essere tenuta sotto controllo ed ecco perciò venir fuori la paura a cui il corpo reagisce a modo suo.”
Un libro coraggioso quello di Pennac, ma scritto con grande naturalezza, senza imbarazzo alcuno. Del resto è naturale invecchiare,  l’invecchiamento, che altro non è che l’ossidazione del corpo (“noi arrugginiamo”, dichiara Pennac) rientra nell’ordine delle cose. Non c’è alcun compiacimento narcisistico nella narrazione dello scrittore francese, il corpo  è  “una macchina”, un “congegno intimo” con cui ognuno ha un rapporto unico ma al tempo stesso universale. E qui ci tornano in mente le osservazioni empiriche dei contadini di un tempo ormai remoto, per i quali il corpo era il punto centrale, generativo della loro enciclopedia. Era un crocevia di saperi, un segmento vivente sentito come parte del tutto, non un oggetto solitario e isolato ma frammento di un sistema complesso, di una organizzazione globale nella quale il vegetale e l’animale, il terrestre e il celeste vivevano in una rete di comunicazioni animate da un respiro cosmico. 
Non così oggi: il corpo venerato come immagine, di fatto è negato, inascoltato, contraffatto. Divenuto oggetto pubblico, viene guardato, spettacolarizzato, mercificato, sessualizzato e questo incide sulle relazioni, sulle abilità cognitive, sulle prestazioni fisiche. Sull’amore. E sì, perché nel diario di Pennac molte pagine sono dedicate all’amore della cui energia il corpo beneficia, tanto da far esclamare: “Per fortuna l’amore riguarda di brutto il corpo!”
“Un romanzo fortemente raccomandato a tutti quelli che hanno un corpo”, si legge sul retro di copertina. Nel caso ce ne fossimo dimenticati.
 


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