O meglio, lo farà la sua macchina fotografica, con la quale cattura i volti delle persone cercando di cogliere il momento giusto che sveli le loro sensazioni. Così il fotografo stattese si è appassionato a questa sofisticata arte.
Viviamo in un mondo sfuggevole, questo si sa. Un mondo che ci costringe a vivere freneticamente, rincorrendo qualcosa che ben presto sparirà per far posto all’ennesima novità, che a sua volta lascerà il tempo che trova. Un mondo che ci ha abituato al disincanto, dove tutto è già visto, già vissuto. Costretti a seguire i tempi e le mode, ci si muove alla velocità della luce, senza soffermarsi a osservare davvero. Fortunatamente, però, alcuni espedienti ci permettono ancora di fermarci a contemplare. Basta solo che qualcuno ci aiuti a rallentare, mostrandoci le bellezze di un momento e permettendoci un nuovo incanto. È quello che fa Martino Marzella, fotografo stattese, il quale si è appassionato a questa nobile arte proprio grazie a quella voglia di osservare e di catturare un attimo, quell’attimo giusto che esprima un’emozione, una sensazione, e che ci induca a riflettere su qualcosa. Martino Marzella ha iniziato ad approcciarsi alla fotografia immortalando paesaggi e natura. Ma ben presto si è reso conto che non gli bastava più, che aveva bisogno di altro. Di qualcosa in grado di trasmettergli di più. E quel qualcosa lo ha trovato nel teatro, e soprattutto nelle espressioni degli attori.
Martino, come e quando è nata la tua passione per la fotografia?
«Ce l’ho praticamente da sempre. Ricordo che da bambino rimanevo letteralmente affascinato dal cugino di mio padre, che faceva il fotografo di professione e che girava il mondo con la sua macchina fotografica al seguito. Ogni volta che tornava ero incantato dalle foto che aveva scattato in ogni dove. Ho cominciato da piccolo a emularlo e con la mia macchina a rullino scattavo foto nei paesi e ai vari monumenti. Fortunatamente la tecnologia mi è venuta presto in aiuto e quando a vent’anni ho avuto in regalo la mia prima Reflex il mio passatempo ha raggiunto un livello di serietà maggiore. Ho iniziato a frequentare diversi corsi di base per migliorare la mia tecnica e carpire i segreti dei più grandi professionisti. Sostanzialmente, comunque, è stato grazie alla pratica che ho imparato. Si può dire che sono stato quasi un autodidatta.»
C’è stato un momento in particolare in cui hai capito di esser diventato davvero bravo?
«No, non parlerei di un momento in particolare, anche perché non si smette mai di migliorare. Piuttosto mi sono stati di grande aiuto i concorsi fotografici ai quali ho partecipato, poiché mi hanno permesso di confrontarmi con gli altri e capire i miei errori.»
La fotografia è un mondo molto vasto che ha al suo interno diverse sottocategorie. C’è un ambito di cui ti occupi nello specifico?
«Ho cominciato fotografando paesaggi e realizzando alcuni reportage giornalistici; ma ben presto mi sono reso conto che il mio vero interesse andava verso il genere teatrale. Fotografare gli attori in scena durante le rappresentazioni mi dava, e mi dà tuttora, delle emozioni incredibili. Questa scoperta è avvenuta grazie a un gruppo teatrale di Statte, “Spazio Teatro”, con il quale ho condiviso alcuni concorsi nazionali. In seguito, tuttavia, mi sono allargato fino a seguire le rappresentazioni di altri gruppi del territorio.»
Come mai proprio la fotografia teatrale?
«Beh, perché sono sempre stato incuriosito dall’espressione dei volti. Quando inizialmente effettuavo escursioni, mi rendevo conto che più che i monumenti o le bellezze del territorio ero attratto dagli sguardi delle persone, di cui cercavo di indovinarne i pensieri e il vissuto. Per questo, quando sono approdato alla fotografia teatrale, ho trovato un terreno particolarmente fertile, poiché è proprio compito dell’attore lasciar trasparire le proprie emozioni e sensazioni dal volto. E io, dal mio canto, cerco di catturare quel momento.»
E dunque ti sei specializzato in quel campo.
«Sì, esatto. Non appena ho capito che era quella la mia vera passione mi ci sono buttato anima e corpo. Al momento seguo diversi gruppi amatoriali e con ognuno di loro vi è un’emozione sempre diversa. Grazie a questo lavoro, inoltre, ho avuto l’opportunità di incontrare e conoscere diverse personalità rilevanti nel mondo dello spettacolo, tra cui Gino Paoli, con il quale ho instaurato un ottimo rapporto, Ottavia Piccolo e tantissimi altri.»
Cosa ti affascina maggiormente?
«Rimango colpito dalla storia che ogni volto racconta. Durante uno spettacolo, oltre agli attori in scena, mi diverto a osservare il pubblico. Cerco di cogliere ogni minima espressione e spesso ne intuisco i pensieri, perché se c’è una cosa che la macchina fotografica non sa fare è mentire. Nulla passa inosservato al suo occhio. Quando parliamo faccia a faccia con qualcuno possiamo mascherare alcuni turbamenti, ma all’obiettivo della macchina fotografica non sfugge nulla. Cattura l’istante, blocca il momento e svela la verità. L’altra cosa che amo è il rapporto che si crea con la compagnia e con gli attori. Vi è un vero e proprio scambio fra di noi, poiché io mi impegno sempre di più a cogliere il momento giusto, e loro attraverso le mie foto hanno la possibilità di scrutarsi, di rivedersi ed eventualmente di migliorare. La nostra è una crescita parallela, un percorso che affrontiamo insieme. Infatti ringrazio sempre “Spazio Teatro”, Alfredo Traversa e le altre compagnie teatrali locali che mi danno sempre l’opportunità di seguire le loro performance. »
C’è un attore che prediligi sulla scena?
«Un’attrice, in realtà. Si tratta di Barbara Amodio, un’artista straordinaria. La sua capacità di esprimere emozioni e sensazioni è indescrivibile. È una dote innata, la sua. Ha un volto trasparente, parla attraverso lo sguardo. È eccezionale, davvero.»
Immagino che questo hobby ti sottragga diverso tempo. È piuttosto impegnativo.
«Effettivamente, sì. È un hobby che coltivo a 360°, ogni volta che ho un momento libero. È una passione sana, che ti permette di crescere e di imparare di volta in volta qualcosa di nuovo. Piuttosto che passare del tempo davanti alla tv, preferisco di gran lunga armarmi di macchina fotografica e uscire a fare una passeggiata. Quando si vuole far bene qualcosa è naturale che richieda tempo ed energia. E non è sempre facile, poiché nella vita svolgo un’altra professione, quella ufficiale: lavoro al Ministero della Difesa della Marina Militare, nel reparto di pronto intervento. Mi occupo, in particolare, del supporto tecnico delle navi. Devo dire, tuttavia, che la fotografia era nel mio destino. Intorno al ’95, infatti, sempre a causa del lavoro, ho dovuto recarmi in Africa: ho visitato la Somalia, gli Emirati Arabi e molti altri luoghi. Naturalmente ci sono andato munito di macchina fotografica e ho colto l’occasione di scattare qualche bella foto. Ricordo, a tal proposito, che il comandante a un certo punto mi disse: “Credo che tu abbia sbagliato mestiere: dovresti fare il fotografo”. Insomma, era destino.»
Oltre alla fotografia teatrale, che è la tua più grande passione, ti occupi anche di altro, vero?
«Esatto. Collaboro con alcune testate giornalistiche come fotografo documentarista e tra le altre cose sono stato il responsabile fotografico del “Polis”, il giornale dell’amministrazione comunale di Statte. Inoltre mi interesso di cinematografia, ho preso parte anche ad alcuni cortometraggi. In particolare ricordo quello con Franco Oppini, e più recentemente il corto “Dove il silenzio fa molto rumore” con Lando Buzzanca.»
Immagino sia stata una grande soddisfazione lavorare con artisti di fama internazionale.
«Immensa. La cosa più sorprendente, quella che mi dà più gioia, è essere chiamato da gente che non mi conosce personalmente, ma che ha sentito parlare di me o ha dato un’occhiata ai miei lavori e ha deciso di contattarmi. Ecco, quello credo sia l’orgoglio più grande.»
Ti è capitato con qualcuno in particolare?
«Con Giovanni Amodio, eccezionale critico d’arte, e sua figlia. Qualche tempo fa, vedendo alcune mie foto esposte, hanno deciso di contattarmi. Attraverso Dino Spadaro della compagnia “Spazio Teatro” ho avuto modo di incontrare Amodio nel suo studio e quando gli ho mostrato il mio bigliettino da visita, sul quale mi definivo un fotoamatore, lui mi ha fatto uno dei più bei complimenti che abbia mai ricevuto. Guardandomi, infatti, mi ha detto: “Fotoamatore? Ormai non lo sei più, puoi definirti un professionista!”.»
C’è un fotografo a cui ti ispiri?
«Più di uno. Ammiro molto i lavori di Achille e Pino Le Pera, così come le foto di Maurizio Buscarino. E ancora, mi piace molto lo stile e la tecnica di un grande direttore della fotografia, quale è Giuseppe Tornatore. In “Stanno tutti bene”, per esempio, ogni fotogramma è una fotografia. Stessa cosa per Clint Eastwood e il suo celeberrimo “I ponti di Madison County”.»
Ultima domanda. Parlando di fotografia non posso fare a meno di chiederti: colore o bianco e nero?
«Devo dire che non ho una preferenza.. Ogni foto, ogni immagine ha il suo contesto. Non mi importa se sia a colori o in bianco e nero, purché sia una foto ben riuscita.»