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A sud /Santi, intellettuali e imprenditori

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

15
MAG
2015
Il nostro Paese non ha fatto la fine della Grecia solo grazie alla intuizione, alla capacità, tutta italiana, di sapersela cavare da soli e il Meridione, dal Medioevo a oggi, ha saputo con umiltà, dignità e operosità, cavarsela sempre da solo, fronteggiando non solo la crisi, ma anche le critiche e gli abusi
 
“Il Medioevo ha prodotto solo Santi. Il Meridione, da sempre, solo intellettuali. Ecco perché l’economia non decolla, la disoccupazione avanza e il Sud resta sempre arretrato. Dove sono gli imprenditori, artigiani, agricoltori, allevatori, ecc..”
Questa la frase che sentii pronunciare da un signore che con un amico stava prendendo il caffè al bar. Uscito in strada, mi soffermai a riflettere su quella frase: “Il Medioevo ha prodotto solo Santi e il Meridione solo intellettuali…... Sarà vero? Dopo la caduta dell’impero romano (476 d.C.), tra il quinto e il quindicesimo secolo, effettivamente il medioevo ha prodotto ben poco. Petrarca, che visse nel bel mezzo di quegli anni, li definì «Secoli bui». Poi arrivò Colombo e la scoperta dell’America, e il tempo incominciò ad avviarsi verso il progresso e la modernità. 
Riflettendo su quei secoli, oltre ai Santi, il Medioevo, bisogna ammetterlo, ha prodotto anche un buon numero di scrittori, poeti, pittori e scultori. Dante, Petrarca, Boccaccio, Cimabue, Giotto, Brunelleschi e Verrocchio, sono l’esempio storico di quel periodo. Il Vasari, nella sua  «Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti», ne menziona più di 50 di questi “Intellettuali” del Medioevo. E il Meridione? Bisogna dar credito a quel signore che al bar si lamentava con l’amico? Non credo sia così. Il Meridione, proprio per conformazione geografica, si è sempre trovato a dover arrancare per stare al passo con regioni più ricche e geograficamente più avvantaggiate.
Ma il Sud non ha prodotto solo intellettuali, scrittori, pittori e politici, come Croce, Pirandello, Sciascia, Mauro Masi di Potenza, Vitaliano Pizzolante di Lecce o Francesco Nitti e Aldo Moro, per citarne alcuni. Si è rimboccato le maniche e ha dovuto lavorare sodo per uscire da quell’arretratezza in cui era stato abbandonato. In una Europa geograficamente e praticamente circolare, il Meridione d’Italia risultava più o meno come un’appendice, lontano dai flussi economici e finanziari. Dall’inizio degli anni ’50 del ‘900, aziende italiane o straniere che nascevano o volevano insediarsi in Italia, proprio per esigenze geografiche, cercavano siti e luoghi vicini e facilmente raggiungibili dagli altri Paesi europei. Anche il settore turistico ha sempre prediletto e privilegiato territori il più possibile vicini ai confini nazionali. Località e città d’arte del Nord sono sempre state favorite rispetto a quelle del Sud poiché per i turisti austriaci, tedeschi, francesi, bastava scavalcare le Alpi e fermarsi subito dopo sul lago di Garda, visitare Venezia e se proprio volevano il mare, potevano allungarsi fino a Rimini, Riccione o in Versilia. Queste multinazionali del turismo hanno sonnecchiato per anni, aspettando che lo Stato provvedesse a far arrivare autostrade moderne e creare aeroporti anche al Sud, per poi presentarsi come benefattrici. Ora dalla Sicilia alla Puglia, passando per la Calabria e la Basilicata, hanno fatto sorgere villaggi turistici e parchi dei divertimenti, dove la manodopera locale si deve accontentare, sorridendo e ringraziando, di lavorare al massimo quattro mesi l’anno.
Certo, dove il lavoro scarseggia forse si studia di più e lo studio da sempre produce cultura, arte e sapere. Ma se usciamo dagli stereotipi e dai preconcetti e guardiamo oltre, ci accorgiamo che il Meridione ha saputo cavarsela da solo. Le grosse industrie insediatesi sul territorio, a lungo andare hanno dimostrato di aver prodotto più danni che ricchezza. Queste industrie e imprenditori venuti dal Nord o dall’estero che, grazie agli incentivi e aiuti statali, hanno sfruttato la manodopera locale per arricchirsi, poi sono ripartiti, lasciando dietro di sè solo delusione e nuova disoccupazione. 
Invece di imprenditori meridionali che con fatica si sono fatti un nome e hanno esportato e stanno esportando il made in Italy nel mondo, facendo onore non solo al Sud ma all’intera Nazione, ce ne sono e non sono pochi. Non vanno poi dimenticate le piccole aziende e industrie locali che silenziosamente riescono ancora, con straordinario sacrificio, a creare occupazione e a tenere testa alle nuove realtà asiatiche. Poi ci sono i coltivatori e gli agricoltori, questi sempre alle prese con quote europee da rispettare e da onorare, che caparbiamente restano attaccati alla loro terra, al loro territorio, producendo ed esportando nel mondo prodotti riconosciuti universalmente di prima qualità. E ci sono anche i padri di famiglia, quelli che si alzano la mattina senza un lavoro e che se lo devono inventare. Questi sono degli ottimi meccanici, elettricisti, idraulici, falegnami che a causa della crisi hanno perso il posto di lavoro ed ora se lo devono andare a cercare porta a porta, per far crescere dignitosamente i figli e poterli mandare a scuola. Ho conosciuto un signore che faceva, da anni, il commesso in una grande catena di negozi gestita dall’esercito italiano. Tirate giù le saracinesche per sopraggiunta crisi, questo signore, come gli altri dipendenti, si è trovato di punto in bianco a doversi inventare non un lavoro, ma tre. Ora si alza alle due di notte e va a lavorare in un panificio: impasta, inforna e la mattina presto esce con il furgone a consegnare il pane ai clienti. Alle nove, finite le consegne, esce dal forno, sale in macchina e va a sistemare le vetrine nei negozi di abbigliamento, scarpe, ecc.. Torna a casa verso le tredici, mangia e si corica. Alle 16:30 esce di nuovo e va a fare il commesso in un altro negozio. Torna a casa la sera verso le 21:00, cena e si corica e alle due di notte riprende il suo giro infernale. “Non mi vergogno né mi lamento, va bene così. Riesco a mandare all’università il mio figlio grande, e lui mi ricompensa con studio e risultati eccezionali e questo è quello che conta per me”, mi rispose quando un giorno lo incontrai per caso in un negozio di abbigliamento, mentre io stavo provando un cappotto e lui lavava i pavimenti.
No, il Meridione non ha prodotto solo intellettuali, che comunque hanno dato e continuano a dare lustro al Sud, ma ha saputo creare anche attività ed imprenditorialità autonome. La crisi non è partita da questa latitudine, ha avuto inizio molto più a Nord, dove probabilmente pensavano che bastasse continuare a produrre, magari dislocando le aziende all’estero, in Paesi ancora in via di sviluppo, per pagare meno tasse e più bassi salari, per continuare ed arricchirsi. Ma non hanno tenuto conto che la domanda è subordinata, non all’offerta, ma alla possibilità d’acquisto, di guadagno. Se cresce la disoccupazione, inevitabilmente l’offerta resta tale e la domanda un’utopia. 
Da tutte le parti, sia dai governi, dai sindacati, dagli industriali, ci viene detto che l’economia ha bisogno di uno scossone, che l’industria si deve rimettere in moto e creare nuovi posti di lavoro. Ma senza domanda, senza richiesta, cosa serve produrre? Per far crescere i consumi serve creare lavoro nel terziario, dove il dipendente lavora, consuma e logora, ma non produce. Questa, a mio avviso, è la sola via per ridare slancio a una Nazione asfittica, governata da troppo tempo da politici improvvisati. 
 


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