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MASSIMO GIUNTINI/SOTTO I CIELI D´IRLANDA

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

26
GIU
2015

Da Arezzo alla magica terra del trifoglio, trascinato da un vento di note. Sono quelle di una cornamusa e lui è il guru della musica celtica in Italia. Il leader dei Modena City Ramblers, Ductia e dei Whisky Trail, artista di fama internazionale, ci concede una chiacchierata fra sonorità ancestrali ed elogio del Sogno

Non è uno gnomo e nemmeno tanto verde a vederlo, ma nei suoi polmoni c’è sicuramente traccia dell’aria salmastra delle scogliere in Donegal, del profumo di boschi e muschio di Sligo, dell’odore di pioggia per le strade di Galway… Massimo Giuntini e la sua passione per la musica celtica, così forte da attraversare La Manica e portarcela in Italia, in un susseguirsi di successi internazionali fino al trionfo cinematografico in Gangs of New York di Martin Scorsese. Ma non chiamatelo precursore! E non provateci nemmeno a dargli il merito di averci donato le sonorità perdute dei druidi e delle antiche preghiere gaeliche! Leader dei Modena City Ramblers, Ductia e dei Whisky Trail, non ama titoli che inneggino a una grandezza che, secondo lui, si deve solo a passione e a una gran fortuna. E non sa, il nostro Massimo, che la sua umiltà e signorilità, lo porteranno irrimediabilmente nel pantheon dei grandi fra i grandi… In esclusiva per noi tutti. Buona lettura! 

Da clarinettista appena dodicenne, nella banda del Suo paese Subbiano (AR), a bassista quindicenne sulle orme dei Led Zeppelin, Deep Purple e Pink Floyd. Perché la musica, Massimo? 

«Non saprei cosa rispondere: la musica mi ha dato la possibilità di parlare, cosa che da ragazzo non facevo molto o comunque non con la stessa qualità e profondità. Quando andavo a scuola studiavo sempre con la musica in sottofondo, e non con musica semplice, tutt'altro! Ancora oggi ho sempre bisogno che la musica accompagni qualsiasi cosa faccia, sia che si tratti di cose serie, disimpegnate o altro. Amo viaggiare ascoltando musica, medito tramite la musica, vivo insieme a essa. Tutto qua…».

1990, data del Suo primo viaggio in Irlanda, vero e proprio imprimatur al nuovo capitolo della Sua vita. Quale nuovo Massimo uomo e musicista, è nato quell’anno per le strade di Galway e le scogliere di Sligo? E come è avvenuto il primo incontro “epidermico” con una cornamusa?

«Non è che sia nato un uomo diverso, semplicemente ho trovato un linguaggio, un suono, che mi rappresentava in pieno e mi consentiva di esprimere tutte le sfumature del mio essere musicista. Credo che perfino il modo di imbracciare lo strumento, questo metterselo addosso e “cullarlo” con entrambe le braccia, le mani e tutta la tua persona mi abbia aiutato molto. Sì, perché io cullo lo strumento, ma al tempo stesso sono anche protetto dalla mia cornamusa che si piazza tra me e il pubblico, quasi come un’armatura. Mi piace pensarla un po' così, come uno scambio. L'incontro “epidermico” è avvenuto in un negozio di Dublino, dove io provai a suonarla senza riuscirci perché il commesso mi aveva dato delle dritte sbagliate così, con mio grande imbarazzo, decisi di non acquistarla. Solo dopo qualche giorno il fato mi riportò a casa del costruttore Charles Roberts, il quale mi spiegò come le cose andavano fatte, trasformando così il  mio sogno  in realtà».

Singolare il fatto che Lei poi sia tornato da quel viaggio e abbia portato in Italia la musica celtica, così lontana dalle nostre tradizioni. Quasi un gesto di generosità artistica. Quanto è difficile essere i precursori di un genere così poco noto nel proprio Paese d’origine? Ha mai pensato invece, di continuare la Sua attività di musicista, trasferendosi stabilmente in Irlanda?

«Volendo essere onesti, io non solo non ho compiuto nessun gesto generoso nei confronti di un genere (allora) poco noto in Italia, ma posso dire di avere avuto una fortuna a dir poco sfacciata! A me è successo, nell'ordine: 1 – arrivare in Italia con la cornamusa; 2 – chiudersi in casa e provare a suonarla;  3- fondare il primo gruppo (la Casa Del Vento) con gli amici. Dopo qualche anno entrai nei Modena City Ramblers, e oggi sono considerato un precursore! Ma non c'è stato nessun calcolo dietro, se non quello di appassionarsi visceralmente a una cosa con tutto l’ardore possibile. Quindi sono io a essere in debito con la vita, altro che generosità artistica!».

Lei Massimo, nel corso della Sua carriera, ha collaborato con musicisti del calibro di Vinicio Capossela, degli Chieftains (pietre miliari della celtic music internazionale), e di Paola Turci. Nel 2002 ottiene un cameo nell’epico Gangs of New York di Martin Scorsese, facendo parte inoltre, con due suoi brani, della colonna sonora del film. Come ha saputo che avrebbe fatto parte di un così grande successo cinematografico e cosa ha provato?

«Fu un caro amico, Marcello De Dominicis, provetto cantante tradizionale residente a Latina, che ebbe l'opportunità di costruire il casting musicale del film; gli fu chiesto di trovare musicisti italiani che suonassero musica irlandese, possibilmente bene, e lui pensò a me. Non compresi sulle prime la portata dell'evento, salvo poi entrare in un set cinematografico assolutamente meraviglioso, trasudante professionismo ai massimi livelli, come piace a me. Poi girai lo sguardo e c'era Daniel Day Lewis che mi salutava, insieme a Cameron Diaz, Leonardo Di Caprio e tanti altri nomi del cinema mondiale. Dopo un po' arrivò Scorsese in persona che strinse la mano a ogni singolo componente del set. Sono soddisfazioni... L'anno dopo compresi che il mio nome scritto nei titoli di coda di quel film, aveva impressionato moltissimo soprattutto i miei amici e colleghi stranieri, specie gli irlandesi. Rimane un'esperienza indimenticabile e un motivo di grande soddisfazione avere il proprio nome tra Peter Gabriel e gli U2, nella scaletta di un album».

Nel 2001 decide di intraprendere la carriera solista incidendo, primo fra tutti, l’album Celticaravan a cui seguiranno altre 5 “creature”. Il titolo dell’album è emblematico, e ricorda la surreale e visionaria Planet Caravan, vero e proprio dono per le nostre orecchie, dei Black Sabbath (Album “Paranoid” -1970). È solo una coincidenza o la Sua musica dall’impronta celtica, risente anche di suggestioni rock-metal?

«Nello specifico si tratta di un’assoluta coincidenza, perché potrebbe essere stato l'eco del titolo anche di un brano di Van Morrison o di un gruppo progressive vero e proprio (i Caravan stessi)...scherzi a parte, da qualche anno a questa parte, come succede in tutte le musiche davvero vive, la musica celtica si è sposata con l'hard rock, ma non sono stato io a farlo, piuttosto tanti gruppi di ragazzi più giovani. Alla mia età sto contaminando infatti la musica celtica col jazz, per preservare le orecchie più che altro (ride, ndr). Diciamo, più seriamente, che il mio trascorso di ascolti e background rock possa aver prodotto qualche ambientazione che risente di quegli anni, ma finisce lì».

A maggio di quest’anno, viene pubblicata per la prima volta, la Sua autobiografia dal titolo, Un toscano e l’Irlanda – la mia strana vita con una cornamusa, Editrice ZONA. In cosa una “semplice” cornamusa Le ha cambiato la vita? 

«Come ho già detto in risposta alla prima domanda, le uilleann pipes mi hanno permesso di aprire bocca e cuore. E soprattutto mi hanno consentito di girare il mondo in lungo e in largo, e l'Italia un sacco di volte, compresa la vostra bellissima regione, facendomi capire tante cose che se non le vedi di persona non potrai mai cogliere. E, se permettete, è proprio questa la differenza che passa tra una vita “normale” e una vita “strana”, come l'ho definita nel titolo del libro. Ancora una volta, una gran fortuna la mia».

Come si articolerà il suo tour 2015? Ha pensato anche ad una data in Puglia? Potremmo convincerLa dicendoLe che per esempio San Cataldo, veneratissimo patrono di Taranto, era un vescovo irlandese…

«Complici crisi mondiale ed uscita del nuovo album prevista per il 26 giugno, è tutto ancora in divenire. Ci sono molti appuntamenti già fissati, ce ne sono molti altri ancora in bilico o prossimi, tutto viene chiuso all'ultimo momento. Potete seguire i miei spostamenti su www.massimogiuntini.com, da me aggiornato costantemente. C'è qualcosa in ballo anche per la Puglia, ma per scaramanzia non dirò altro! Non è la prima volta che sento parlare di un vescovo irlandese che diventa veneratissimo in Italia. Pensate a San Frediano a Firenze, anche lui era irlandese, ed è difficile pensare a qualcosa di più fiorentino di San Frediano...davvero sarebbe il caso di approfondire, spero di poterlo fare quanto prima».

Per concludere: a coloro che (e scommetto che ce n’è stato più di qualcuno) non hanno creduto in Lei e nella Sua passione, trasformata in successo tangibile, cosa risponderebbe oggi? Secondo Lei, è ancora lecito sognare?

«Io non devo rispondere a nessuno, non è mai stato un mio problema dimostrare qualcosa agli altri. Io voglio continuare a fare quello che faccio finché avrò idee e voglia di farlo; la musica farà  comunque sempre parte della mia vita a prescindere. Sognare? Mah, il problema non è se è lecito o no. Sognare è NECESSARIO. Sognare è VITALE. Se poi non è lecito perché i tempi non lo consentono fate come me, mettete della bella musica, magari della musica che vi ricordi qualche momento particolare, bello o brutto che sia stato. Così continuerete ad alimentare il vostro sogno, e se rimarrà soltanto tale la vostra personale utopia avrà prodotto, come sempre, un paio d'ore di felicità a un prezzo davvero modico. Così si sopravvive alla barbarie che ci circonda. Posso quindi asserire che per quanto mi riguarda smettere di sognare non solo non è lecito: non è possibile e basta!»

E come scrisse un certo William Butler Yeats, patrimonio della poesia e letteratura irlandese insieme a un altro grande come James Joyce:

“Ho disteso i miei sogni sotto i vostri piedi. Camminate adagio dunque, perché camminate sui miei sogni”.



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