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In attesa/Fra alte e basse maree

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

11
GEN
2013

 

Il nuovo romanzo di MARIA PIA ROMANO, in uscita il 17 gennaio: gocce di miele propiziatorie di bellezza, amore e coraggio per entrare nella vita di una donna.
 
Ci siamo quasi: il 17 prossimo uscirà il secondo romanzo di Maria Pia Romana, scrittrice originaria di Benevento, trasferitasi dapprima nel Salento ed ora residente a Ruvo di Puglia. Insomma, una donna “trasversale”, nel senso che ha finora spalmato i suoi 37 anni sui più intensi territori del nostro Mezzogiorno e si è impregnata, oltre che di terra, soprattutto di mare, di alte e di basse maree, delle “nebbie dello spirito” come scriveva nel suo diario (di recentissima pubblicazione) Virginia Woolf, quando, nel chiuso della sua stanza, stracolma di libri, si chiedeva quali ne fossero le cause. 
“LA CURA DELL’ATTESA” (Lupo editore)  è il titolo di questo suo secondo romanzo, genere letterario al quale la Romano è passata, dopo varie raccolte di poesie, conservando però quella sua cifra stilistica fortemente lirica, e la tendenza innata – come ci dirà l’autrice – ad un fraseggio che qui ci piace definire “mieloso”. Ci sia consentito, a tal proposito,  inserire una nota che, apparentemente, potrebbe aver scarsa attinenza con l’oggetto di cui si discute. 
Nella tradizione ebraica, durante la festa di capodanno, il Rosh hashannà, viene servito in tavola una coppa di miele. Ogni membro della famiglia inzuppa un pezzetto di pane nel miele e lo mangia, stando attento a non far cadere neppure una goccia di quell’alimento che è simbolo della fecondità, della felicità e della prosperità che saranno loro accordate per tutto l’anno.
E torniamo a noi: “La cura dell’attesa”, una lettura che scivola dolcemente, con una storia abbastanza banale: una donna, un primo grande amore con un uomo molto più avanti di lei con gli anni, l’incontro con un altro uomo, questa volta molto più giovane di lei, l’attesa di un figlio, frutto dell’Amore, non importa sapere quale dei due…Tutto qui? Vi starete chiedendo. 
In effetti ce lo siamo chiesti anche noi ma senza storcere il naso, perché in fondo la vicenda costruita nelle circa 150 pagine da Maria Pia Romano, va al di là del plot. Vuol essere a nostro avviso un augurio, proprio come il miele servito durante il capodanno ebraico. Bene faremo, quindi, a leggere questo romanzo e magari a tenerlo accanto, quasi come un talismano, in questo 2013 da Medioevo, naturalmente consapevoli che le storie dei romanzi sono solo storie, che “Ogni libro proviene da un sogno e ogni sogno da un libro”, come si legge nel secondo esergo a firma di Maxence Fermine.
Da cosa nasce questo tuo secondo romanzo? "La cura dell'attesa" già dal titolo sembra voler indicare un percorso. Vuol essere un romanzo didascalico?
«Nasce dalla Vita: da quella che ho osservato e da quella che ho vissuto, anche in sogno.
No, non è un romanzo didascalico. L’attesa del titolo è quella che si svela fin dal primo capitolo: il grembo di Alba custodisce dentro di sé una nuova Vita e lei sfoglia all’indietro le pagine della sua esistenza. E ci vuole cura anche per accarezzare la visita inattesa della felicità…».
La tua è una scrittura sensuale, liquida. Molto poetica. Diremmo seduttiva. E' voluta o è la tua "voce"?
«E’ un marchio, una condanna, una vocazione, non un calcolo. La poesia che vuole farsi prosa de “L’anello inutile”, ne “La cura dell’attesa” cede il passo ad una narrazione che scorre più fluida e diventa poetica, a tratti, semplicemente perché questa è la mia scrittura. Oggi ancora più sensuale che in precedenza, perché volevo dar voce alla bellezza dell’amore».
Un romanzo dedicato alle donne e al loro coraggio. Dimentichi l'altra metà (quasi) del cielo. Spiegaci un po'.
«Sì, un libro dedicato al coraggio delle donne, perché credo che noi donne sappiamo trasformare in bellezza anche la nostra incoerenza, semplicemente con un sorriso. 
La protagonista del libro è una donna forte e determinata solo in apparenza, in realtà la sua vita rivela una fragilità segreta chiusa nel doppiofondo del cuore. Alba possiede la freschezza e l’ingenuità per lasciarsi sorprendere da ciò che le accade. Ed è proprio questo che la rende più umana e vicina ai nostri universi di donne, tremendamente complicate, forse, agli occhi degli uomini.
Ci vuole coraggio per accettare di diventare madri, sempre e comunque. In questo caso, ancora di più. E’ bello che sia l’Amore a guidare ogni scelta, per gli uomini e per le donne, naturalmente». 
Nel romanzo ci sono le letture di Alba, la protagonista. Sono state anche le tue letture? Cos'è per te la lettura? Quali sono state le letture che ti hanno "trasformata".
«La lettura è un rifugio, che mi ha sempre accolta fin da bambina. Ho letto veramente di tutto. Ogni lettura a suo modo ti trasforma. E per fortuna quelle che non sono state capaci di darmi nulla le ho lasciate a metà.
Mi vengono in mente i “miei” libri: “Il danno” di Josephine Hart; “L’Amante” e “L’Amante della Cina del Nord” di Marguerite Duras; “Scritto sul corpo” di Jeanette Winterson. Forse ancor prima, come Alba, Moravia, Vittorini, Maria Corti e Rina Durante. E i poeti salentini: Comi, Bodini, Verri, Pagano, Fiore». 
Alba, la protagonista, è un ingegnere, sospeso tra "numeri" e "parole", tra la solida architettura delle macchine e i contorti  mondi interiori. Alba, attraverso la sua esperienza, in primis l'amore, ha capito che la vita è compromesso. In questo compromesso che ruolo svolge l'amore? 
«“Avrebbe compreso col tempo che l’ingegneria è la scienza del compromesso e la vita in qualche maniera le somiglia”, si legge in quarta di copertina. L’ingegnere, infatti, deve sempre trovare la miglior soluzione possibile in termini di fattibilità: non si può fare una scelta ottimale, ad esempio, se in termini economici non si rivela produttiva. Nella vita di Alba sembra esserci uno stacco tra la professione e la vita privata, nella quale i compromessi non sono tollerati. Col tempo, però, sarà la vita a mostrare che ci sono diverse forme d’amore ed il più grande compromesso lo dobbiamo fare con noi stessi, scegliendo di prendere il bello dalla vita e dall’amore, senza chiedere agli altri quello che non possono darci e senza volerli diversi da come sono». 
Altro personaggio centrale del romanzo è Davide, il professore. Lui "sta dalla parte della pelle". Ti chiedo: sappiamo ascoltare ancora la pelle, in questo mondo smaterializzato e virtuale?
«Vorrei che non si perdesse mai questa capacità. Anche perché la pelle è più dolce del monitor di un pc». 
Tu sei anche una scrittrice dei luoghi. In questo romanzo, oltre al Salento, c'è l'Alta Murgia. Cosa rappresentano per te i luoghi?
«Il Salento è la terra che mi ha adottata e che mi ha vista crescere. L’Alta Murgia è una terra con la quale c’è un rapporto catulliano di odio e amore. C’è anche un accenno alla Campania che è la terra dove sono nata. Per me sono luoghi dell’anima, tutti. Non potrei mai scrivere di posti che non conosco. Ci sono posti che ho amato molto, ad esempio Cuba, sui quali non mi azzardo a scrivere, semplicemente perché credo che lo sguardo del turista non basta. Ne “La cura dell’attesa” c’è Parigi, ma vista, appunto, con gli occhi della prima vacanza di due innamorati». 
Galeotti, fra Alba e il professore, furono i versi del grande poeta Vittorio Bodini. Insomma dobbiamo stare attenti alla poesia, alla scrittura. Alla lettura. Guai a farsi incantare....
«E perché mai? Non ci sono controindicazioni! Tutto quello che ci fa sentire vivi, fa bene al cuore. Anzi, io direi di tenerci stretti gli incanti, per il tempo  giusto, visto che sono così rari…».
"Ognuno ha la sua vita segreta"- afferma la madre ad Alba. Cos'è per te il segreto?
«Quello che non dico qui». 
Dacci tre buone ragioni per leggere questo romanzo.
«Perché l’ingegneria si mischia alla poesia. Perché si entra nella vita di una donna. Perché è una storia d’Amore». 
 


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