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SAGGEZZA INFANTILE

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

15
APR
2016
113 minuti per apprezzare e scoprire che i bambini sanno: sanno parlare di argomenti che spessissimo pensiamo prerogativa solo  degli adulti, sanno esprimersi con un linguaggio chiaro, corretto e a volte anche forbito, sanno interloquire con un adulto che  pone loro domande sull’amore, la famiglia, la crisi, Dio, l’omosessualità, senza batter ciglio e, cosa ancor più importante, con una schiettezza e una sincerità che spesso con l’avanzare dell’età viene meno.
Ho inseguito il film di Walter Veltroni, quand’era in programmazione al cinema e quando lo hanno trasmesso in TV, non mi è stato possibile vederlo, così raireplay mi è venuta in aiuto e, in pieno relax, mi sono immersa nella visione di questo film, che considero un capolavoro, che mi ha presa, interessata, divertita e fatto riflettere. 
Ero a conoscenza, anche, delle critiche mosse al regista, appena uscito c’è chi ha scritto che si trattava di una “ veltronata”, patetico e “sensibile”, con tanto di virgolette.
Non condivido tali pareri, temo un non so che di “politicamente” scorretto in questi giudizi. Sì, è vero  la selezione è stata lunga e accurata, i 39 bambini scelti, su più di 300 partecipanti al casting, si sono dimostratisicuramente all’altezza della situazione, capaci di rispondere alla domanda: “Cosa serve per essere felice?” con un secco e convinto “Sognare!” , e ancora: “Che cos’è che i bambini sanno più dei grandi?”, “Inventare le cose!”
Nulla di costruito a tavolino, di imparato a memoria. Trascorro diverse ore ogni giorno con i bambini da più di trent’anni e so benissimo che sono capacissimi di riflessioni di questo livello.
Il tutto pare abbia avuto origine da un’espressione del “Piccolo Principe” di Saint-Exupery: “I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano di spiegargli tutto ogni volta”, non è un segreto la genialità di quest’autore, che ci ha lasciato in eredità un capolavoro, unico nel suo genere.
Avevo ancora in mente i dialoghi veltroniani, i volti dei bambini, le loro voci, la serietà delle loro risposte, quando di  martedì mattina, in una primaverile giornata d’inizio aprile, mi ritrovonella sala del giardino cinese, del palazzo ducale,  con  gli alunni delle classi quarte e quinte delle scuole di Martina, sono lì per incontrare il filosofo Ermanno Bencivenga. Sarà il luogo, sarà l’argomento della conversazione, sarà il fascino della filosofia, ma tutti sono prima molto silenziosi, poi, appena stimolati  cominciano a conversare con sicurezza e perspicacia,  alzano la mano, vogliono esprimersi, le domande poste loro non sono, per contenuto e difficoltà, tanto diverse da quelle che Veltroni pone ai suoi piccoli interlocutori. “Vi piace pensare?” , “Sì, anche immaginare!” risponde un bambino seduto in fondo. “E’ bello pensare – afferma una bambina – la mente quando ragiona, lavora, ma non si stanca”, la conversazione procede, non si distraggono, rispondono a tutte le domande e poi  un bambino: “Tu ti stai interessando delle nostre cose, non solo i bambini devono interessarsi alle cose degli adulti, è bello che oggi avviene il contrario!”. Mi giro, lo guardo, sembra più piccolo della sua età, eppure… ha proprio ragione, è veramente bello quello che sta accadendo qui, questa mattina. “Quello che stiamo facendo è come un puzzle, ognuno mette un pezzo della sua intelligenza”.
Alla domanda:“Cos’è la filosofia?”, un bambino risponde: “Amore per la saggezza”.
I bambini sono attenti e felici,  il filosofo li ascolta, annuisce, sorride e, riprendendo l’ultima affermazione, afferma che è vero, che si tratta anche di una ricerca continua, lo stesso Socrate trascorreva la maggior parte del suo tempo a porre domande a tutte le persone autorevoli, consapevole del suo non sapere. Consiglia loro di essere sempre curiosi e interessati. Una bambina alza la mano “Nel libro Il Piccolo Principe il vecchio era molto curioso,  come un bambino ed era felice, a differenza degli altri adulti sempre cupi e tristi”.
Il bambino, la curiosità, il mettersi in gioco, inevitabile a questo punto il riferimento al meraviglioso libro del professor Bencivenga “ La filosofia in 32 favole”, poi diventato in 52 favole, fino ad arrivare, nell’ultima edizione a 62.
Il libro è nato dalla raccolta di favole raccontate ai propri figli la sera, per farli addormentare, ma erano troppo belle, troppo interessanti per rimanere tra le quattro mura domestiche, e poi, come afferma giustamente il professore  “lafilosofia non deve essere prerogativa di pochi, ma un bene comune, alla portata di tutti”.
Ne ha letta solo una ai bambini martinesi, ma sono rimasti incantati e desiderosi di ascoltarne altre.
La conversazione ha toccato altri argomenti come l’importanza delle regole, ma anche del gioco attivo, dell’essere homo ludens, protagonisti del gioco non semplici “schiacciatori di tasti”.
“Si impara solo e soltanto quel che si fa!”, a queste parole del professore, mi chiama sottovoce il bambino alle mie spalle, è tra quelli che maggiormente ha preso parte alla conversazione, lasciando tutti piacevolmente colpiti per contenuto e proprietà di linguaggio, mi giro e lo vedo preoccupatissimo, mi sembra quasi spaventato “Maestra, devi dire al professore che dobbiamo finire adesso, sono le 11.55, fra cinque minuti devo andare a mensa, dobbiamo tornare subito a scuola”, ho cercato di tranquillizzarlo, ci avviavamo alla conclusione, non potevamo certo fermare il professore che era venuto dalla California, dove insegna in una prestigiosa Università, perché a scuola era già pronto in tavola, e poi c’era sempre il secondo turno. Non mi è sembrato molto convinto, gli ultimi minuti non li ha più seguiti con lo stesso interesse, dando conferma del fatto che l’essere umano è contestualmente mente, anima e… corpo, uniti indissolubilmente e anche questo… i bambini lo sanno.
 


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