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Ezio Sinigaglia / Il secondo esordio, trent'anni dopo

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

1
SET
2016
Lo scrittore, saggista, traduttore milanese, ha preso parte, quest’estate, con il suo romanzo “Eclissi” (Roma, Nutrimenti), al festival “Strani Incontri” di Trani e alla rassegna “Del racconto, il film” di Polignano, e sarà presto ospite dei Presidi del libro a Martina Franca.
Approfittiamo della presenza di Sinigaglia in Puglia per rivolgergli qualche domanda sul suo libro, che i critici hanno salutato come “uno dei casi letterari della nuova annata” (così Panzeri su “Avvenire”), come “un capolavoro di garbo, di intensità affettiva” (Silvia De Laude su “La Provincia”), ecc. Si tratta di una sorta di “secondo esordio”, dopo il debutto vero e proprio, nel 1985, con “Il pantarèi” (Milano, Sapiens), romanzo sul romanzo del Novecento. Comincerei proprio da qui: un anonimo lettore ha consegnato al blog della “Libreria del Mondo offeso” di Milano una suggestiva recensione, che inizia così: “L’autore scrive un libro ogni trent’anni, dedicando a ognuno particolare amore e attenzione”.
 
Ebbene, tempi di gestazione davvero così lunghi, Sinigaglia?
 
《Sarebbe anche benaugurante, non solo suggestivo. La terza gemma arriverebbe a 98-99 anni! Purtroppo però non è così. Nella realtà ho scritto molto di più di un libro ogni 30 anni. Diciamo che ogni 30 anni, a quanto pare, trovo un editore. È qui che sta il prodigio. Un ciclo così lento richiama inevitabilmente i fenomeni astronomici, in particolar modo le comete. Ma una cometa come argomento della mia seconda apparizione avrebbe svelato troppo goffamente il gioco. Meglio un’eclissi. L’eclissi totale non è rara come fenomeno in sé: è rara nell’arco di una vita, sono molto più numerose le persone che non ne vedono mai di quelle cui capita di vederne una. Qualche lettore ha colto nel titolo e nel tema privilegiato del romanzo una possibile metafora del mio destino di scrittore. Naturalmente, ammesso che l’analogia sia consapevole, è solo un gioco di autoironia. I simboli che l’eclissi suggerisce sono ben altri, tutti facilissimi da intendere fin dall’incipit》.
 
Com’è cambiata l’editoria italiana negli ultimi trent’anni? Peraltro, nel tuo romanzo d’esordio il protagonista è un addetto ai lavori che osserva dall’interno questo strano mondo …
 
《Nella prima pagina del “Pantarèi”, Stern, il protagonista, appena giunto nel Tempio della Sapienza, nella Fabbrica Instancabile di Cultura dove è stato convocato per una collaborazione editoriale, produce questo pensiero: “Grande casa editrice, non grande editore”. Sono molto orgoglioso di avere dato fin dal 1976 una definizione così efficace, nella sua feroce ironia, di tutti i nostri cosiddetti grandi editori》.
 
Molti lettori hanno sottolineato, in “Eclissi”, l’importanza del paesaggio, che assurge al ruolo di vero e proprio personaggio; e l’ambientazione è a suo modo esotica. A cosa obbedisce questa scelta? Il tuo editore, Nutrimenti, ha peraltro un catalogo ricco di testi di letteratura di viaggio: è un genere che apprezzi in modo particolare?
 
《Il romanzo è ambientato su un’isola del Nord Europa, molto lontana da ogni altra terra emersa, dove la Natura è sovrana. E, del resto, al centro della vicenda c’è un fenomeno naturale. Inevitabile che il paesaggio rivesta una simile importanza. È nel paesaggio che Akron, il protagonista, si specchia fin dalle prime pagine, ed è proprio da questa anomala intensità del suo rapporto con la Natura che Akron ritiene possa scaturire quella domanda di cui è in cerca. Il paesaggio “doveva” avere un ruolo di primo piano nel mio romanzo. La voce narrante non ha fatto che adattarsi a questa necessità. Per quanto io ami e legga con passione i romanzi e i racconti di viaggio, ne ho scritti ben pochi perché ben poco ho viaggiato. Qui mi sono imposto di andare al di là della mia povera esperienza di viaggiatore, di supplire alle manchevolezze della biografia mettendo le ali all’immaginazione, alla sensibilità, a quella che potremmo definire l’arte del narratore》.
 
Qualche giorno fa, in una rassegna “di fine estate” uscita sul “Fatto quotidiano”, Angelo Molica Franco colloca il tuo libro, insieme ad altri usciti quest’anno (di Tonon, Matteucci, Fortunato, Inglese, Masini, Montemarano, De Pascale), in un corpus di romanzi che “non intrattengono il lettore, ma lo sfidano. Perché attestano che la vera letteratura non consola”; un canone singolare e “minoritario”, in Italia, che configura una “geografia letteraria del dolore del vivere […] da cui si vuole ingenuamente fuggire, dimenticando però che la letteratura è l’unico strumento di conoscenza non ideologico di cui disponiamo”. Sei d’accordo su questa contrapposizione netta e frontale fra intrattenimento e narrazioni che si coagulano intorno al dolore del mondo? 
 
ã€ŠÈ una contrapposizione molto interessante, senza dubbio, anche se il mio caso forse sfugge a questa dicotomia. Nel mio romanzo c’è una “esperienza dolorosa”, ma ci sono anche soluzioni comiche, affidate soprattutto all’invenzione linguistica. Il punto, secondo me, sta piuttosto nell’impegno che certi scrittori pretendono dai loro lettori e che i lettori non sono più abituati ad offrire. Oggi la lettura è diventata un’attività passiva, non molto diversa dalla fruizione dei prodotti televisivi e in genere dal cosiddetto entertainement. Ma purtroppo un lettore passivo è un non-lettore, uno scrittore per lettori passivi è un non-scrittore, l’insieme è non-letteratura, ciò che vorrei appunto combattere》. 


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