L’abbattimento del muraglione dell’Arsenale militare che costeggia il centro cittadino è un argomento sempre presente nel dibattito politico e civile tarantino. Fattibile o no il progetto, da più parti avanzano pressioni per ridare ai cittadini la vista di uno degli scorci più belli della fascia costiera della città
Spesso il termine “muro” è evocativo di opere storiche, talvolta contraddistinte da un
valore sacro e religioso, quali il Muro del pianto in Gerusa lemme o la Grande Muraglia cinese, o ancora di opere connotate da un tratto per lo più negativo quale il muro di Berlino. Il muro, infatti, è un qualcosa che divide, che difende e che spesso finisce per occultare alla vista quello che c’è al di là di esso. E’ chiusura, separazione: ossia il contrario di integrazione. Nel piccolo della città dei Due mari, non a caso, anche il grande Muraglione dell’Arsenale militare che si erge per le vie del borgo umbertino divide non solo i cittadini da una visuale magni ca sul mare - diversamente fruibile solo dai piani più alti dei palazzi - ma spesso anche gli animi caldi dei sostenitori dell’abbattimento dai sostenitori della tradizione e della sua conservazione.
Quel muro, infatti, è sintesi di una storia straordinaria: quella di un glorioso stabilimento, che ha scritto pagine interessanti della marina militare nazionale, in cui si sono formati, peraltro, migliaia di lavoratori civili come architetti, ingegneri, impiegati, operai altamente qualificati di ogni tipo e mansione. In un secolo e mezzo quelle pietre, estratte durante la fase di sbancamento del Canale e rimodellate a mano, sono rimaste intatte e inalterate, no a costituire oggi - a differenza di quanto può sembrare - un patrimonio architettonico e culturale di notevole rilevanza.
Storicamente, i lavori di costruzione del muro di cinta iniziarono contestualmente alla costruzione dell’Arsenale nel 1883 e terminarono il 21 agosto 1889 quando lo stesso fu inaugurato alla presenza di re Umberto I. Si trattava dunque di uno stabili- mento di importanza strategica (si costruivano navi da combattimento) per la difesa della appena unificata nazione italiana nell’area del Mediterraneo e perciò fortemente voluta da politici nazionali e locali, tra cui il senatore tarantino Cataldo Nitti. Proprio la stessa importanza che rivestì anche successivamente, a cavallo del Novecento, nei due conflitti mondiali. Così ben presto la Direzione Generale - famosa per l’orologio meccanico sulla sua facciata, visibile dall’ingresso principale - fu realizzata a livello urbano parallelamente alle vie principali di Taranto di via D’Aquino e Via Di Palma, favorendo in tal modo anche una assai stretta integrazione tra marina militare e società.
Che all’interno di quell’area di oltre 90 ettari, protetta e circoscritta da quel famoso muro (alto 7 metri e lungo 3250 metri), siano nascosti anche numerosi reperti archeologici, non c’è dubbio, giacché - secondo quanto riportano illustri studiosi di archeologia - i lavori comportarono la demolizione di antichi edifici come la settecentesca villa Capecelatro, che proprio su quell’area si ergeva.
Resta da dire che, ad oggi, spesso si parla di boni ca e riqualificazione di quell’area soprattutto da quando nel giugno 2004 fu inaugurata la nuova Stazione navale nel Mar Grande e nel vecchio Arsenale non restano perciò che le navi in disarmo, i sommergibili e altre unità in manutenzione. Aperto, e certamente tema un po’ caldo, è però anche quello dell’abbattimento dello storico muraglione. Da più parti, soprattutto negli ultimi anni,
sono avanzate pressanti richieste in tal senso (spesso rimaste solo mediatiche): da autorevoli direttori di giornale, da gruppi spontanei di cittadini nati su facebook, da convegni ed anche da alcuni politici locali e regionali - alcuni anche azionisti di maggioranza nella vecchia giunta Stefàno - che talvolta si sono impegnati a presentare mozioni o interrogazioni. Anche se di progetti concreti, nero su bianco s’intende, se ne sono visti ben pochi.
Si tratta quindi di consentire ai tarantini e ai turisti di godere di un meraviglioso affaccio sul Mar Piccolo, oppure solo di creare dei “varchi” di interruzione all’interno di esso, per permettere di fruire di una più ampia vista mare e di nuove zone verdi, anche valorizzando un’area di sicuro interesse archeologico e paesaggistico sconosciuta agli stessi residenti.
Lo scenario è quello di una città “a portata d’uomo”, con un volto completamente nuovo, moderno, e sempre più affollata da scolaresche, stranieri e semplici visitatori attenti alla cultura e attratti dagli sport del mare.
Uno scenario che va oltre la storica necessità di difesa di una zona militare, che altresì risolverebbe – con buona probabilità – anche gran parte dei problemi degli allagamenti in città durante le intemperie piovane.
Nulla di male nel voler far crescere il territorio, por- tarsi avanti con la storia e progettare il futuro. Resta, però, che per altri autorevoli commentatori locali demolire quelle arcate e quei merletti sarebbe invece proprio un crimine storico, che rischia persino di aprire la strada a nuove nefandezze architettoniche e al cemento selvaggio come già accaduto in altre zone ex militari della città (viale Virgilio ad esempio). Ed anche questa “campana” ha le sue ragioni. La verità è che, al momento, non ci sono ancora soluzioni concrete, anche in termini di eco-sostenibilità, per una fruizione alternativa più in generale dell’intero sito navale, né proposte in grado di mettere d’accordo autorità locali e autorità militari; gli stessi pro e contro si equivalgono sul piano della ragione. E le risorse economiche sono sempre quello che sono.
Fare proposte, trattare, muoversi sul piano istituzionale con gli strumenti adeguati per agevolare un percorso di crescita della collettività spetta a chi di competenza. Molto ha fatto però in questi anni an- che la stessa Marina promuovendo e incentivando mostre e visite guidate nell’Arsenale: e questo è sicuramente già un buon punto di partenza per mettere in luce quello che c’è al di là del muraglione.