La presentazione dell’ultimo romanzo dello scrittore “visionario”, “La lucina”, presso la libreria Zaum a Bari, a cura di Enzo Mansueto ed Emanuele Tonon, offre lo spunto per rilanciare il ruolo visionario e di sfondamento della letteratura
“La letteratura deve esplorare, deve sfondare. Lo scrittore non è un pompiere, ma è uno che deve dar fuoco alle polveri: il suo è un atto insurrezionale. La letteratura non deve essere una glassa che contribuisce al mantenimento dello stato comatoso.” Queste sono alcune delle considerazioni di Antonio Moresco, uno dei pochissimi scrittori visionari che l’Italia può vantare, uno scrittore di nicchia per molti anni, del quale ultimamente si sente parlare sempre più spesso. Prossimamente sarà ospite da Fazio. La lettura dei suoi testi non lascia indifferenti; da “Gli esordi” ai “Canti del caos”, da “Gli Incendiati” al suo ultimissimo romanzo “La lucina” (Mondadori- Libellule), gli scritti di Moresco incidono, scuotono. Certo, possono non piacere, come alla critica ufficiale che ha definito questo scrittore “controverso”. Definizione che l’autore respinge: “Cosa significa scrittore controverso? Non mi è mai stato perdonato di non essere un sedativo, di credere in quello che faccio come uomo e come scrittore, di prendermi sul serio. La letteratura non può considerare la vita chiusa: noi siamo dentro qualcosa di infinitamente più grande.” Ed effettivamente la nota che caratterizza la scrittura di Moresco è proprio l’utilizzo della narrazione come sfondamento e sfaldamento dei piani, come creazione di un orizzonte di attesa ampio. Sarà questa la ragione per la quale lo scrittore, originario di Mantova, ma residente a Milano, piace moltissimo ai giovani, cioè a coloro che non hanno paura dello spalancamento dei piani, che rifiutano la concezione della cultura come controllo del territorio, come delimitazione dei confini, che rifuggono dalle gabbie, dai recinti.
Fulcro tematico del suo ultimo romanzo, “La lucina”, scritto di getto in due settimane, è quello della morte. Un romanzo del quale l’autore, ospite nei giorni scorsi a Bari presso la libreria Zaum, con Emanuele Tonon ed Enzo Mansueto, non se l’è sentita di parlare, talmente cocente e intima è la materia della narrazione che rimanda alla sua infanzia, alla solitudine, al suo dolore, al rapporto con i libri e la lettura, con la scuola. “Sono stato un bambino che ha avuto difficoltà ad imparare a leggere, non riuscivo a leggere neppure Topolino e i libri con le pagine grosse. Ad un certo punto, mentre ero in seminario mi sono imbattuto in due poesie: “L’infinito” di Leopardi e “Pianefforte ‘e notte” di Salvatore di Giacomo: mi hanno fatto innamorare e da quel momento ho capito che c’era un territorio nel quale persino io potevo stare.” La scrittura per Moresco è arrivata a trent’anni, dopo una vita molto movimentata (ha fatto il facchino, il portiere di notte, l’operaio): “A trent’anni a Milano ho letto e scritto nel gabinetto, per ore ed ore. A spalancarmi la mente è stata l’Iliade per la sua icasticità, poi sono arrivate tante altre letture: Dostoevskij, Swift, Kafka, Tolstoj….A Milano non conoscevo nessuno, ero tagliato fuori da tutto, ho cominciato a capire chi ero, ero così vicino a me stesso che non mi vedevo. Ora il mio desiderio è tornare a quello stato: vicino a me stesso a tal punto da non vedermi.” Ci sembra che queste parole possano essere considerate la chiave di lettura per accostarsi a “La lucina” (trama nel riquadro), nel quale l’incontro tra il solitario e adulto protagonista e l’altrettanto solitario bambino, che scopriremo essere morto, rimanda alla bisogno di far rivivere dentro ciascuno di noi quell’infanzia che è morta e che è l’unica in grado, leopardianamente, di stupirsi e porsi domande, restando in silenzio a contemplare un qualcosa di immensamente grande di cui noi siamo un minuscolo frammento.
“Bisogna terremotare i piani – conclude Moresco – uscire dalla gabbia, esplorare ed essere in cammino.” E non si tratta di pure affermazioni verbali, metaforiche. Questo straordinario scrittore del “camminare” ha fatto un vero e proprio manifesto politico. Infatti, dopo l’esperienza “Cammina cammina” del 2011 e “Stella d’Italia”, che lo scorso anno lo ha visto, insieme a molti altri, spostarsi a piedi da diverse zone geografiche del nostro Paese, con percorsi che hanno assunto, appunto, la forma dei bracci di una stella per convergere come meta finale a L’Aquila, città-simbolo del bisogno di ricostruzione, quest’anno ha progettato “Freccia d’Europa”, un nuovo cammino a piedi con partenza da Mantova, alle cui porte sono stati scoperti gli scheletri di due ragazzini abbracciati, provenienti dalla preistoria, e arrivo a Strasburgo sede del Parlamento Europeo, seguendo l’antica via Francigena dei pellegrini. “Un percorso - come scrive Antonio Moresco sul sito cammina cammina.wordpress.com - per dire che l’Europa è cominciata prima, prima della sua storia, prima delle sue terribili guerre e dei suoi genocidi. E che può continuare anche dopo. Noi sogniamo un’Europa unita che possa diventare un continente sperimentale ancora capace di grandezza e visione…. Dobbiamo avere il coraggio di compiere gesti autonomi e prefiguranti, di lanciare dei segnali, per dire che i popoli d’Europa vogliono rompere l’incantesimo e rimettersi in movimento, che vogliono contribuire alla nascita di un nuovo continente.”