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Stefania Castellana/ Il desiderio di cambiare le cose

Pubblicato da: Categoria: EVENTI

31
GEN
2014
L’esperienza di una giovane ricercatrice e scrittrice tarantina che ha deciso di restare: «Per lavorare nella cultura serve pazienza, oltre che motivazione»
 
 
Coniugare passione e lavoro è sempre più difficile, specialmente al Sud e per chi oggi ha trent’anni o giù di lì. A un certo punto è quasi inevitabile fare i conti con l’impulso di mollare tutto, prendere coraggio e tentare il salto all’estero. Eppure non mancano le giovani e promettenti leve che, forse con ancora più coraggio, decidono di mettersi in gioco e restare, tentando di contribuire in prima persona a cambiare lo stato di cose nella loro terra. Stefania Castellana è una di loro. Questo è il suo racconto. 
«Sono nata a Taranto trentun’anni fa e amo l’arte in tutte le sue forme – esordisce - mi sono diplomata nel 2001 al Liceo Artistico Lisippo di Taranto e successivamente mi sono laureata in Beni Culturali a Lecce e ho conseguito, presso lo stesso Ateneo, la laurea magistrale in Storia dell’Arte. Mi sono così innamorata della ricerca e hanno fatto seguito alla laurea diverse esperienze formative in città stimolanti come Firenze, Bologna e, ancora Lecce. Continuo così a occuparmi di ricerca storico-artistica riuscendo a coltivare, tuttavia, una serie di passioni quali la pittura, la politica, l’informazione (sono nella redazione di Siderlandia, una testata online della mia città) e la scrittura creativa». 
La sua ultima fatica, intitolata “Cornici. Racconti ad arte”, è uscita pochi mesi fa per Edit@, Casa Editrice e Libraria. L’opera, una raccolta di racconti brevi ispirati da alcuni dipinti dell’Ottocento e del Novecento, è corredata dall’introduzione della giovane poetessa tarantina Alessia Amato e fa parte di una collana intitolata “I Chicchi del Melograno”. Così Stefania ripercorre gestazione e nascita di “Cornici”: si è trattato di «una bella esperienza che mai avrei immaginato di fare nella vita ma che sono felicissima di aver fatto […] Tutto ha preso le mosse da un esercizio di stile consumato nella solitudine dei momenti di chiusura in me stessa, lontana dalle biblioteche e dal lavoro. Una sorta di “emergenza” diventata libro solo in un secondo momento: racconti nati dal desiderio di provare a guardare l’arte in maniera diversa da come faccio quotidianamente per ragioni professionali; un modo di narrare un dipinto partendo da un antefatto immaginario, una “cornice”, appunto. Non è stato semplice, per me, affrontare una prova del genere: pubblicare un libro come questo, nel quale ci sono molte riflessioni derivate da particolari momenti della mia esistenza, descrizioni di stati d’animo legati a eventi non sempre felici e trasferiti in personaggi immaginari all’interno di situazioni completamente estranee alla mia vita, è un po’ come scoprire il fianco e mettere a nudo la propria anima. Infatti la maggior parte dei racconti ha un retrogusto un po’ amaro. Ci ho pensato molto ma alla fine ho deciso di buttarmi a capofitto in questa esperienza nuova e, a tratti, elettrizzante. L’idea di essere “letti”, al di là del giudizio che il pubblico si può fare del libro, è una sensazione che però devo ancora provare a indagare perché non ho ancora deciso se e quanto mi piaccia».
Inoltre il connubio con Edit@ si è rivelato particolarmente felice e proficuo. Questa infatti, spiega Stefania, è «una realtà consolidata a Taranto da oramai diversi anni e tra le peculiarità credo di poter segnalare la grande fiducia – ma, soprattutto, la serietà – con cui lavora nell’ambito della promozione degli autori locali, oltre all’attenzione dedicata al manufatto libro in sé. Oltre alla pubblicazione di raccolte di racconti, sillogi poetiche, romanzi, Edit@ ha una bella produzione di saggistica legata soprattutto alla storia e alle tradizioni del territorio. E’ inoltre promotrice di iniziative tipo i concorsi letterari: è in occasione di uno di questi che ho potuto conoscere l’editore, Domenico Sellitti. Lui, così come Alessia Amato, ha creduto molto nel progetto Cornici».
Tuttavia, per lavorare nella cultura bisogna possedere una tenacia e forza d’animo almeno pari alla passione: gli ostacoli, infatti, non mancano. Innanzitutto, sottolinea Stefania, bisogna fare i conti con una concezione distorta e ormai ampiamente radicata che equipara la cultura a una qualsiasi fonte di profitto. «Parlare di diffusione della cultura è come parlare di formazione scolastica, con la differenza che la prima non si esaurisce con il conseguimento di un titolo ma va considerato un patrimonio vitale per il cittadino, da mantenere in costante crescita. Tale operazione dovrebbe essere garantita dallo Stato e andrebbe attuata attraverso la valorizzazione delle competenze di chi si è formato come operatore della cultura, quindi garantendogli una gratificazione economica per il lavoro svolto per la società». La realtà, purtroppo, è ben diversa: i tagli alla cultura e alla ricerca sono all’ordine del giorno e troppo spesso ci si ritrova a fare i conti con una concezione erronea di professioni quali l’operatore culturale o il ricercatore in ambito umanistico, visti, non si sa bene per quale motivo, non come figure altamente professionali e specializzate, ma come volontari. «Una cosa impensabile se si considera che fanno un lungo percorso di studi per formarsi in maniera completa e, soprattutto, che esiste un principio fondamentale  della Costituzione – articolo 9 – in cui si promuovono sviluppo culturale e ricerca scientifica, oltre alla tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione (ma qui si andrebbe ad aprire un altro capitolo dolente!). Tornando alle difficoltà, la seconda, diretta conseguenza della prima, è la mortificazione  della figura dell’operatore culturale che pare faccia un mestiere tutti si sentono in grado di poter fare. Quella dell’operatore culturale è una professione come tutte le altre e va riconosciuta e rispettata: l’improvvisazione non è prevista. Passando alle cose belle, se si ha la fortuna di trovare un’occupazione nel campo della cultura, l’opportunità è proprio quella di poter fare della propria passione un lavoro. Ed è un lavoro meraviglioso!».
A questo punto non posso non chiedere a Stefania qual è il suo legame con Taranto. Si tratta, spiega, di un «rapporto un po’ nevrotico, in realtà. A volte desidero andar via, per ragioni soprattutto professionali; altre mi sento legata a doppio filo a questa realtà che, nonostante tolga tanto, fornisce una quantità di stimoli veramente notevole. Il desiderio di cambiare qualcosa, in maniera concreta è stata la molla che mi ha convinto a restare qui dopo aver girovagato un po’ per l’Italia. Non è stata una decisione facile per me, soprattutto nei primi mesi in cui sono tornata: dovevo ricostruire tutto daccapo perché la motivazione non basta se sei solo; si rischia di cadere in quel vortice di protagonismo che è uno dei mali di questa città. Per questo mi ritengo fortunata a avere attorno un gruppo nutrito di persone motivate, competenti in diversi settori e con cui dialogare è sempre un arricchimento. Taranto purtroppo è una città dalle grandi contraddizioni e vive una fase di stordimento: da una parte c’è la questione ambientale, di grandissima importanza, che pone drammatici interrogativi legati alla salute e al lavoro, oltre che all’ambiente; dall’altra c’è una stagnazione culturale che, a mio parere, non permette di ragionare nella prospettiva di un cambiamento reale della città. Credo, però, che ognuno dovrebbe dare un apporto in base al proprio campo d’azione, quello di cui sa e ha competenza, per permettere che anche Taranto – città dove tutti vogliono fare il lavoro di qualcun altro –  cresca sotto tutti i punti di vista. Penso che Taranto non abbia bisogno di slogan ma di un progetto a lungo termine del quale, probabilmente, noi non vedremo i frutti direttamente. Io, per quel che posso, provo a impegnarmi in questo senso, secondo la mia sensibilità e le mie potenzialità. Ma non è semplice e, spesso, un po’ la voglia di lasciar perdere e tornare a dedicarmi esclusivamente alla ricerca mi viene …».
Un percorso, quello di Stefania, che dimostra come impegno e costanza premino, nel lungo periodo, e che una “cornice geografica” ostica e impegnativa può diventare una sfida e uno stimolo, se si hanno le risorse interiori per fronteggiarlo. Ma cosa suggerirebbe oggi lei a un giovane laureato che s’affaccia sul mondo del lavoro in ambito culturale? «Di avere pazienza e mantenersi motivato.  Di fare di tutto per affermare la propria professionalità. Di resistere».
 
 
 


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