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PIERPAOLO, IL VICINO DI CASA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

18
DIC
2015
All’ora di pranzo ero sempre io a rientrare per primo a casa e spesso mi capitava di trovare, seduto sui gradini esterni del portone dello stabile, un ragazzino che stava martoriando la tastiera del suo telefonino. “Devi entrare?” Gli chiesi un giorno, mentre stavo aprendo il portone. Lui alzò un istante lo sguardo, scosse il capo e poi si rituffò sul suo cellulare. La stessa cosa si ripeteva quasi ogni giorno. Io arrivavo, aprivo il portone e chiedevo: “Devi entrare?” E lui mi rispondeva di no con il solito cenno del capo. Finché un giorno, mentre stava piovendo a dirotto, quando gli chiesi se almeno quella volta, per evitare di bagnarsi, volesse entrare, senza dire una parola si alzò e con il suo inseparabile zainetto si andò a sedere sui gradini interni della prima rampa di scale. “Ma perché ogni giorno ti trovo seduto lì fuori?” Gli chiesi, mentre stavo chiamando l’ascensore. “Aspetto mia madre.” Rispose, senza alzare la testa dal suo cellulare. 
Si chiamava Pierpaolo, frequentava la terza media e siccome la madre tornava dal lavoro verso le quattordici, lui l’aspettava seduto fuori dal portone. Non voleva le chiavi perché una volta le aveva perse, o gli erano state rubate, e i ladri avevano svaligiato la loro casa. Questo me lo disse la madre, la signora Chiara, un giorno che rincasando più tardi, l’incontrai assieme a Pierpaolo nel portone. Le proposi di far salire il ragazzo da me, in attesa che lei rientrasse a casa, perché mi dispiaceva vederlo seduto sui gradini, anche nelle giornate di pioggia, fredde e piene di vento. Se lei naturalmente non avesse avuto nulla da obiettare, aggiunsi. “Grazie, ma lasci stare. Non voglio recarle disturbo.” Mi rispose. Ma un pomeriggio sentii suonare il campanello della porta d’ingresso. Era la signora Chiara che, come mi spiegò, ci aveva ripensato e, se ero ancora disposto a trattenere il figlio sino al suo ritorno, sarebbe stata più tranquilla sapendolo a casa mia. Era vedova e faceva la cassiera part-time in un supermercato e per questo non riusciva a tornare a casa prima di quell’ora. Le confermai la mia disponibilità e così, il giorno seguente, appena Pierpaolo mi vide arrivare si alzò e mi seguì nell’ascensore.
 “Ciao. E tu chi sei?” Gli chiese Giuliana quando rincasando lo vide seduto al tavolo della cucina in attesa che scolassi la pasta. “Si chiama Pierpaolo e abita al secondo piano. Sta aspettando la madre che deve ancora tornare dal lavoro e ho pensato di buttare due spaghetti in più, così mangia con noi.” Le risposi. Dopo il pranzo, e dopo che Pierpaolo era andato via, spiegai a Giuliana il motivo per cui l’avevo invitato a salire, ma subito mi chiese il perché di quella decisione. In fondo non erano fatti nostri, concluse. Non avevamo figli e forse per questo mia moglie ebbe quella reazione quando vide per la prima volta Pierpaolo seduto al tavolo della cucina. Ma giorno dopo giorno anche lei si ammorbidì e quando cominciarono a parlare delle materie in cui lui zoppicava, Giuliana gli propose di aiutarlo e così il ragazzo cominciò a trascorrere più tempo a casa nostra che nella sua.
Ogni giorno saliva con me e, finito di pranzare, scendeva un attimo dalla madre e poi, nel pomeriggio, risaliva per farsi aiutare da Giuliana nello studio. Andava bene a scuola e, trimestre dopo trimestre, i risultati lo confermarono. Quando finì l’anno, e venne promosso con ottimi voti, anche la madre volle ringraziarci con le lacrime agli occhi. 
Finite le scuole medie Pierpaolo aveva convinto la madre a lasciargli scegliere l’indirizzo scolastico che preferiva e venne a darci la notizia che si era iscritto all’istituto tecnico per geometri perché, disse, volva fare la mia stessa professione. “Mi piace quando ti vedo intento a disegnare, anche se mia madre avrebbe preferito qualcosa di diverso, di più semplice, magari l’istituto alberghiero”. 
Aveva mantenuto l’abitudine di salire da noi ogni giorno anche d’estate e un pomeriggio, mentre con Giuliana cercavamo su Internet una località turistica dove trascorrere le vacanza e Pierpaolo era nel mio studio a disegnare, Giuliana lo chiamò per chiedergli: “Pierpaolo tu che dici? Dacci un consiglio: mare o montagna?” Lui si affacciò sulla soglia e poi, stringendosi nelle spalle, si limitò a guardarci interdetto. “Su, dicci: mare o monti? Dacci tu un consiglio.” Insistette Giuliana. “Non saprei. Non ci ho mai pensato, per me le vacanze vogliono dire solo non andare a scuola.” Le rispose con un filo di voce Pierpaolo. “Su da bravo: mare o monti?” Lo sollecitò ancora mia moglie, sforzandosi di nascondere l’imbarazzo che le aveva provocato quella domanda. “Mare.” Si limitò a sussurrare il ragazzo prima di salutarci e aprire la porta per andarsene. Andato via Pierpaolo, dopo qualche minuto di silenzio, sorprendendomi, Giuliana buttò li: “E se chiedessimo alla signora Chiara di lasciarlo venire con noi? Tu che ne dici? Hai visto come c’è rimasto male, poverino! Mi sono sentita meschina quando mi sono accorta della stupidità della mia domanda”. Io le dissi di sì, che ci avevo già pensato, ma che ero contento che fosse stata lei a proporlo per prima. Così, dopo aver chiesto alla signora Chiara se potevamo portarlo con noi e lei disse di sì, all’inizio d’agosto facemmo le valige e partimmo tutti e tre per recarci in Puglia.
Dopo i primi due giorni di permanenza al mare, ci rendemmo conto che Pierpaolo non era più il ragazzino che avevamo conosciuto sui gradini del portone di casa. E dovemmo ammetterlo: era diventato proprio un bel ragazzo che si guardava sempre più spesso nello specchio e corteggiava le ragazzine della sua età. Terminata la vacanza, e tornati alle consuete faccende, Pierpaolo riprese a salire da noi per studiare e qualche volta Giuliana, per prenderlo in giro, gli chiedeva: “Beh Pierpaolo, ce l’hai la fidanzatina, o hai ancora in mente le tue amichette di quest’estate?” Ma lui, sempre discreto, si limitava a sorridere, a scuotere il capo e poi si girava per guardare da un’altra parte. 
Poi, un bel giorno e per un certo periodo, improvvisamente sparì dalla circolazione. Non lo vedemmo più in giro, né veniva più a casa nostra. All’inizio non ci facemmo molto caso, perché, pensammo fosse impegnato con lo studio, ma quando un giorno incontrai la madre e le chiesi che fine avesse fatto il figlio, lei scuotendo la  testa sospirò: “Non me ne parli geometra. Sto passando delle giornate d’inferno.” “Come mai signora? Cosa è successo?” Le chiesi quando l’ascensore si fermò davanti alla sua porta. Pierpaolo, mi raccontò, era diventato più taciturno del solito, era depresso, andava a scuola malvolentieri e poi non usciva più di casa. “Si figuri…” aggiunse, “mi aveva confidato che voluto proseguire gli studi per diventare ingegnere e mi chiese anche cosa ne pensassi io e se avessi potuto mantenerlo all’università. Io ero preoccupata per i costi, certo, il lavoro va male e hanno licenziato altre tre dipendenti e ogni volta che vedo scendere il direttore nel supermercato mi viene un colpo, ma stringo i denti e vado avanti. Ero contenta e orgogliosa e farei ancora altri sacrifici pur di accontentarlo. Ma ora non so cosa gli stia capitando. E’ diventato scontroso e se gli chiedo cosa è successo non risponde e se insisto si alza e va a chiudersi in camera sua.”
Quando ne parlai a Giuliana, lei pensò subito ad una cotta non corrisposta, a qualche disavventura amorosa. “Capita alla sua età. Come è capitato a tutti di essere lasciati. Cerca di parlargli e cerca di capire. Poi convincilo che non è la fine del mondo perdere una ragazza”.
A me non era mai capitato di perdere nessuna ragazza, o di essere lasciato, e allora gli detti solo un’occhiata interrogativa senza dirle nulla, ma lei capì e aggiunse: “Capita, capita. Mica possono essere tutti fortunati come te che hai trovato la prima ragazzina ingenua e sprovveduta che si è innamorata di te e poi ti ha sposato”. Non aggiunsi altro per evitare di doverle ricordare che ci eravamo conosciuti quando io avevo ventiquattro anni e lei venti e che qualche esperienza precedente me la doveva pur concedere. 
Un lunedì mattina, prima di uscire per le solite commissioni, bussai alla sua porta e quando Pierpaolo mi venne ad aprire rimasi colpito nel vederlo così trasformato e affranto. Era spettinato, ancora in pigiama. Smagrito e con gli occhi arrossati. “Ciao Pierpaolo. Come stai?” Gli chiesi, per rompere il ghiaccio mentre lui, con un sorriso da funerale, spalancava la porta per farmi entrare. “Pierpaolo ma che hai? Non stai bene? Non ti si vede più in giro. Perché non stai salendo nemmeno più da noi? Hai dei problemi? Ti va di parlarne, anche se non sono fatti miei?” Gli chiesi, sapendo che stavo forzando la sua riservatezza. Eravamo soli in casa e così, dopo le mie ripetute insistenze, piano piano si lasciò andare. Giuliana ci aveva visto giusto: si era innamorato di una ragazza, si erano fidanzati e poi un giorno, per una banale dimenticanza, era stato lasciato. Non si era ricordato di farle gli auguri il giorno del suo onomastico: Santa Annunziata. Ma l’equivoco era nato, come volle precisare, perché la ragazza si faceva chiamare da tutti Azzurra e lui, pur avendo cercato sul calendario, quel nome non lo aveva proprio trovato. “Ma Pierpaolo… ragiona…” Gli dissi, cercando di scuoterlo.  “…Ti sembra una ragione valida per lasciarti? Io credo che sia stata semplicemente una meschina scusa per dare un taglio alla vostra storia. E se si è comportata così, è bene che sia finita subito, credimi.” Poi, visto che aveva voglia di parlarne, mi sedetti sul suo letto e lasciai che si sfogasse. Da ciò che mi aveva detto sembrava che si volessero veramente bene e che tutto stesse filando liscio sino a quel 25 marzo, giorno dell’onomastico della ragazza. E allora perché quell’improvvisa doccia fredda? Lui aveva cercato di scusarsi di ricucire il loro rapporto, ma lei non aveva più risposto alle sue chiamate e si faceva anche negare se lui andava a cercarla.
Seriamente preoccupato nel vederlo in quello stato, gli dissi che non si doveva assolutamente sentire responsabile per quella dimenticanza, perché la reazione della ragazza, se era come mi aveva raccontato, era stata, e doveva capirlo, solo una banale scusa per lasciarlo. “Ma perché?” Mi chiese, quasi gridando. “Perché probabilmente si sarà invaghita di un altro ragazzo. Capita.” Gli risposi. Continuammo a parlare ancora un po’ e prima di andare via mi feci promettere che l’indomani sarebbe tornato a scuola. Ma a scuola il giorno dopo non ci andò e nel pomeriggio la signora Chiara, sempre più preoccupata, perché stava rischiando di perdere l’anno, venne da noi per chiederci un consiglio, un aiuto. “Come possiamo intervenire noi signora nei problemi di cuore e intrometterci tra ragazzi così giovani? Le risposi, non sapendo proprio come avrei potuto aiutarla. “Signora Chiara, me lo mandi su. Con una scusa qualsiasi. Cercherò di parlarci io.” Intervenne, sorprendendomi ancora una volta, Giuliana.
Vedendo la madre così preoccupata, se non addirittura disperata, aveva preso la decisione, da donna, di scuoterlo un po’. Due sere dopo, rientrando a casa e vedendo la tavola imbandita per tre commensali chiesi: “Abbiamo ospiti, Giuliana?” “Pierpaolo è nella mia stanza e sta finendo di studiare. Tra un attimo ceniamo assieme. “Ciao Pierpaolo.” Gli gridai dal corridoio, senza andarlo a disturbare. “Ciao. ” Mi rispose, affacciandosi sull’uscio. 
Quando era salito, Giuliana lo aveva preso dapprima con le buone e poi, stimolandolo e strigliandolo un po’, aveva cercato di farlo ragionare. Gli disse che non poteva ridursi in quello stato per una storia che non era mai cominciata. E che, nella vita, non esistevano solo cotte e frustrazioni amorose, ma bisognava pensare anche allo studio, all’amor proprio, al proprio avvenire e che doveva tener conto anche delle preoccupazioni della madre. Doveva riprendersi da quella delusione, perché non era la fine del mondo. “Animo Pierpaolo. Animo, su. E che diamine, non ti credevo così debole di carattere!” Poi, quando ritenne che le sue parole avessero fatto breccia, dette l’affondo finale: “Ora scendi e ritorna subito qui con i libri, il diario e il programma di studio. Voglio darci un’occhiata. Ti aspetto. E non fare quella faccia Pierpaolo. Sei così un bel ragazzo e il mondo è pieno di ragazze pronte ad innamorarsi di te.” Concluse, mettendogli una mano sulla spalla e aprendogli la porta.
Pierpaolo aveva fatto come gli aveva suggerito Giuliana, o meglio, come gli aveva ordinato, e così, quando rincasai per la cena, lui stava terminando di studiare nella stanza accanto. 
Il mattino successivo lo vedemmo uscire dal cancello e recarsi a scuola e da quel giorno per lui e per Giuliana fu un lungo tour de force per recuperare il tempo perduto, e di quell’Annunziata o Azzurra, come diavolo si chiamava, finalmente non ne sentimmo più parlare.
Dopo qualche mese, ci capitò di vederlo in compagnia di una bella ragazzina e quando salì per farsi aiutare da Giuliana, incuriositi, gli chiedemmo chi fosse.
“Si chiama Bianca, ha un anno più di me e stiamo insieme da un mese. L’ho conosciuta a scuola. L’anno scorso è stata bocciata e ora viene in classe con me. Anzi Giuliana, volevo chiederti, ti dispiace se viene anche lei a studiare qui con me? Sai, è un po’ indietro, anzi siamo tutti e due un tantino in ritardo sul programma, e soprattutto a lei un aiuto le farebbe proprio comodo. Studiare assieme ci aiuterebbe, non credi? Che ne dici? Possiamo?” 
Io e Giuliana ci guardammo e poi scoppiammo a ridere. “Certo che potete. Quando volete salite assieme.” Gli rispose Giuliana.“ Allora vado a chiamarla, perché sta aspettando giù a casa mia. Non voleva salire senza prima avertene parlato.” Rispose sorridendo Pierpaolo, mentre stava già infilando la porta d’ingresso per andare a chiamare Bianca.
 


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