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TANTE STORIE DIVERSE MA SEMPRE UGUALI

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

15
APR
2016
Con le note morenti di un temporale ormai lontano mi sono svegliata all’alba. Avevo sonno, ma non riuscendo a riaddormentarmi sono tornata col pensiero alla serata trascorsa con le amiche in pizzeria e poi all’aperto, a un tavolo di un bar,dove abbiamo chiacchierato e riso delle nostre frustrazioni: mal comun mezzo gaudio, recita il detto.
Tutte reduci da storie diverse ma nello stesso tempo analoghe: chi separata da poco, chi già divorziata, chi non riusciva più a rifarsi una storia seria ed io che mi sentivo vittima della famiglia che avrei voluto e che invece non riuscivo ad avere, tutte e cinque tornate single dopo matrimoni o convivenze finite, nei fine settimana ci riuniamo per poi uscire assieme.
Carmen ieri sera era la più abbattuta e continuava a rimuginare su quello sbaglio che aveva fatto due anni prima. Infatti aveva avuto l’infelice idea di confessare al marito un’infatuazione che si era presa per un rappresentante di commercio: un uomo molto elegante e gentile, un po’ più giovane di lei, gli disse. Andava periodicamente a trovarla in negozio e a lei faceva piacere perché le si rivolgeva con voce garbata e suadente e le frasi che diceva erano sì velate, ma piene di significato… e poi quei complimenti che lei apprezzava molto. Gli raccontò, per dimostrare tutta la sua buona fede, che una volta andando via l’abbracciò e invece di baciarla sulle guance, come faceva sempre, le sfiorò le labbra e la strinse forte a sè. Aggiunse che avevano anche preso qualche caffè in un bar vicino e qualche volta, all’ora di pranzo, un toast e una bibita; che prima di ritornare in negozio avevano fatto delle passeggiate e parlato molto; che lui gli aveva anche chiesto se sarebbe riuscita a liberarsi per andare a cena assieme o magari per trascorrere un weekend in un posto tranquillo. Accorgendosi della preoccupazione del marito si premurò subito di rassicurarlo e gli disse che non c’era nulla di cui dovesse allarmarsi, ma voleva farglielo sapere perché si sentiva turbata e in un certo senso attratta da quell’uomo, questo sì. Anche perché, lui, sapeva parlare ma soprattutto sapeva ascoltare. Dopo essersi confidata con il marito si sentì meglio, più sollevata e gli propose, per potersi rasserenare del tutto, di fare un viaggio. Ma gli chiese anche di starle più vicino, di non trascurarla e di dimostrarle più attenzioni. Il marito la lasciò parlare e poi la fece parlare ancora e anche se dubbioso, perché ritenne che non le avesse detto tutto, la rassicurò comunque sul suo affetto e le promise che le sarebbe stato vicino e che si sarebbe interessato per organizzare il viaggio. Lei, finito di confidarsi, come se si fosse tolta un peso si sentì sollevata e si abbandonò tra le sue braccia. Ma una settimana dopo, al rientro dal lavoro, trovò la casa vuota e tutto in disordine: cassetti e ante degli armadi aperti e la roba del marito sparita. Era evidente che non potevano essere stati i ladri e allora lo chiamò per chiedergli spiegazioni ma non ebbe risposta. Ricevette solo un sms in cui l’informava che a giorni avrebbe avuto sue notizie. E le notizie arrivarono una settimana dopo sotto forma di una lettera di un avvocato che, avendo avuto mandato dal marito, l’informava di aver depositato gli atti per la separazione. Con il marito non si parlarono più e lo rivide solo una volta, quando si trovarono davanti al giudice per formalizzare la loro separazione. Ora era sola e usciva con noi, ma era depressa e continuava a ripeterci di non fare lo stesso errore che aveva fatto lei: “ …perché con gli uomini bisogna tacere o, se proprio messe alle strette, mentire.”
Anna, l’altra amica, era la più preparata in fatto di matrimoni andati in malora. Ne aveva due alle spalle e tutti e due erano sfumati nel breve volgere di qualche stagione ed ora viveva da sola nell’appartamento che il tribunale gli aveva assegnato assieme agli alimenti. Sola, ma ancora fiduciosa, perché diceva di sentirsi ancora giovane, in forma e piena di vitalità e che dietro l’angolo c’era sicuramente l’uomo giusto che l’aspettava. Doveva solo avere pazienza.
Dora, contrariamente alle altre, era sempre molto riservata, ma quando sentiva il bisogno di sfogarsi cominciava a piangere e non la smetteva più: “Ne ero innamorata follemente. E’ stato il grande amore della mia vita, ma evidentemente per lui era diverso. Per lui prima di tutto veniva la carriera, poi il lavoro e l’amante. Io ero solo la moglie che doveva aspettarlo a casa e con cui lui, la sera, scambiava qualche frase a fine servizio e prima di andare il libera uscita con la sua collega”. Era stata sposata sei anni con un ufficiale dell’esercito, sempre in missione in zone calde. Da prima cominciò a preoccuparsi, poi a chiedersi perché dovesse toccare sempre a lui, e alla fine sospettò che oltre al dovere ci fosse qualche altro motivo, più personale, che lo teneva sempre lontano. Ma quando glielo chiedeva lui la rassicurava dicendole che quello era il suo lavoro, che sarebbe rientrato presto; ancora un po’ di pazienza perché lo faceva anche per togliersi di dosso quel peso del mutuo che sentiva sulle spalle come un masso. Ma le missioni continuarono a susseguirsi, di sei mesi in sei mesi, e lei a sentirsi sempre più sola. E tutto questo durò sino al giorno che scoprì, attraverso delle email inviate dal marito, ma non dirette a lei, che la stava tradendo con una sua collega, ufficiale di carriera come lui. Forse perché già lo sospettava, forse perché si era stancata, Dora non fece drammi e gli augurò tutto il bene del mondo e con lo stesso mezzo lo informò che aveva deciso di lasciarlo e riprendere il controllo della sua vita. Poi fece le valige e cambiò anche città.
Olga invece, la mia più cara amica, non si era mai sposata ed è passata da una convivenza all’altra senza grosse emozioni. Poi arrivò il giorno in cui decise di dare un taglio netto a quel modo di vivere che lei stessa considerava disordinato e che l’aveva messa in contatto solo con uomini che si erano rivelati quello che erano: “dei mascalzoni”, diceva. E se qualcuno le chiedeva se ora fosse felice, lei, facendo spalluccia, troncava la discussione dicendo che preferiva così. Essere tornata a vivere da sola le aveva permesso di riappropiarsi del suo tempo, dei suoi spazi. Solo una volta si lasciò andare col dire che le mancava l’amore, ma subito si affrettò ad aggiungere che le succedeva di rado e solo in certe notti stellate e quando era da sola nella sua vecchia cameretta, a casa dei suoi. I genitori vivevano in campagna, dove coltivavano la vigna e dei terreni di loro proprietà, ed essendo da sempre appassionati di cavalli avevano messo su anche un maneggio con tanto di scuola d’equitazione dove Olga, sin da piccola, aveva imparato ad amare i cavalli e a montare in sella. E adesso, quando tornava, non tralasciava mai di farsi una lunga passeggiata con il suo cavallo preferito: Enigma, che aveva chiamato così perché il cavallo era buonissimo ma aveva due vizi: quello di scalciare se gli si toccava la coda e mordere quando gli veniva messo il morso e i finimenti, ma una volta in sella diventava docile e non dava più segni di insofferenza. Da qui il nome Enigma.
E anch’io non posso dire di essere stata fortunata con gli uomini. La mia storia con Dino era iniziata con l’aiutarci a lavare i piatti ed era finita tirandoceli addosso. Che delusione. Per me era stato amore a prima vista, ma poi tutto si era trasformato in un disastro, in uno sfacelo. Avevamo convissuto quattro anni e messo su casa con tanti sacrifici, ma un bel giorno, quando gli chiesi se potevamo cominciare a pensare al matrimonio e ad avere dei figli, lui mi rispose che non si sentiva pronto per quel passo, né per avere figlie nemmeno per continuare la convivenza. Io pensai stesse scherzando, ma quando lo guardai capii che stava parlando seriamente e allora gli chiesi spiegazioni, ma lui cominciò a snocciolare tutta una serie di motivazioni: sempre le stesse quelle che gli uomini usano quando non sanno nemmeno prendersi la responsabilità di dire quello che pensano. E così lo sentii dire che aveva bisogno di guardarsi dentro; che non era sicuro di quello che stava provando per me; che aveva bisogno di tempo per pensarci… eccetera, eccetera. Quella sera stessa, terminata la discussione, me ne andai di casa con l’umore sotto i piedi, ma senza versare una lacrima perché non gli volevo dare la soddisfazione di vedermi piangere: lo avrei fatto in seguito, da sola e per parecchi giorni, perché sentivo d’amarlo e le parole che mi aveva detto erano state come un pugno nello stomaco.
Ero ancora a letto e stavo provando ancora tanta rabbia e delusione quando sentii arrivare un messaggio sul cellulare: “Barbara sei sveglia? Se si, ti chiedo se vuoi venire in campagna con me, dai miei? Facciamo una passeggiata a cavallo, pranziamo all’aperto e poi in serata torniamo. Se ti va, chiamami.”
Io a cavallo ci ero andata due o tre volte e proprio perché spinta da lei, ma considerato che quella domenica non avevo nulla da fare, che stando a casa mi sarei intristita ancora di più, visto che l’umore era già a pezzi, la chiamai e le dissi di passarmi a prendere.
Arrivati al maneggio Olga parcheggiò la macchina e mi accompagnò alle scuderie. Li incontrammo delle persone che conosceva e prima di allontanarsi, per andare a salutare i genitori, chiese al vecchio aiutante del padre:
«Mauro, mentre vado a salutare i miei, per favore mi fa sellare Enigma e poi Fedora per la mia amica Barbara? Ah senta, se ci sono in programma delle passeggiate ci accodiamo a loro.»
Rimasta sola mi stavo aggirando tra i box per guardare le giumente con i puledrini nati da poco,quando sentii una voce che mi avvertiva:
«Non avvicinarti troppo, e non accarezzarla. Le madri sono sospettose quando hanno i puledrini, e potrebbero farti del male se non ti conoscono.»
Mi girai e dietro di me vidi un ragazzo già in perfetta tenuta da cavallerizzo, con i pantaloni bianchi infilati negli stivali. 
«Scusami. Non lo sapevo.»
Gli risposi, mentre Olga si stava avvicinando. 
«Ciao Massimo, come stai. Che bello, anche tu qui oggi.»
E poi senza porre tempo in mezzo aggiunse:
«Massimo questa e Barbara. Barbara questo è Massimo, un mio caro e vecchio amico.»
Noi ci sorridemmo e stringendoci le mani ci scambiammo un banale: “piacere”.
Tornati ai cavalli montammo in sella e, con Olga che faceva da battistrada, uscimmo dal maneggio per incamminarcisul sentiero che costeggiando il ruscello portava in collina.
Per un po’ procedemmo in fila indiana, ma quando il sentiero si allargò in un più ampio passaggio Massimo mi raggiunse e affiancatosi il mio cavallo continuò a cavalcarmi a fianco. Era piacevole sia quell’andatura al passo, essere avvolti dalla natura, che parlare con quel ragazzo gradevole. 
Stavamo proseguendoda qualche minuto così, quando Olga girò il cavallo e tirando le redini si fermò per aspettarci:
«Ho voglia di fare una galoppata e vado avanti a vedere se riesco a trovare gli altri. Stalle vicino tu Massimo, non è esperta, perciò mantieni i cavalli al passo. Ci vediamo dopo.»
Detto così Olga spronò Enigma, il quale non sembrava aspettare altro per potersi lasciare in un galoppo sfrenato.
Rimasti indietro proseguimmo ancora per un po’ affiancati e poi Massimo mi chiese se mi andava di fare una passeggiata.
«E questa cos’è?»
Gli chiesi stupita e sorridendo.
«Volevo dire, se ti va di scendere da cavallo e fare un tratto di strada a piedi. Una passeggiata insomma.»
Mi rispose. Io gli dissi di sì e così scendemmo da cavallo e proseguimmo tenendo le bestie all’esterno e noi procedendo tra loro. Stavo provando una sensazione lontana, di estrema serenità e mi stavo chiedendo se Olga lo avesse fatto apposta a galoppare via e lasciandoci soli.
Massimo mi disse che era un musicista, suonava il violino e in serata si sarebbe dovuto esibirsi con l’orchestra  nel teatro comunale.
«Ti piace la musica classica? La musica operistica?»
Mi chiese, mentre stavamo oltrepassando una casa diroccata. Io gli risposi d’impulso di sì, anche se non ne avevo la minima idea perché non ne avevo mai ascoltata.
«Allora, se ti va, puoi venire a sentirmi questa sera. Ho un assolo nel trillo del diavolo di Tartini, questa sera. Ci verresti a sentirmi?»
Non so nemmeno io perché, ma ero contenta di avergli detto di sì. La musica classica non mi aveva mai attirata, ma ero felice di poterlo rivedere ancora e curiosa di sentirlo suonare o forse, inconsciamente, era perché cercavo di prolungare il nostro incontro.
 
 
 


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