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Smart working: i benefici del lavoro agile

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

5
NOV
2020

Con il decreto attuativo del 23 febbraio 2020 n. 6, il Governo, ha previsto “la sospensione delle attività lavorative per le imprese, a esclusione di quelle che erogano servizi essenziali e di pubblica utilità e di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare”. Di conseguenza molte realtà imprenditoriali, con il diffondersi del Coronavirus, per contenere le probabilità di contagio, hanno dovuto ripensare al proprio assetto organizzativo, adottando lo smart working come modello di lavoro e di gestione dei rapporti tra datore e dipendente.

A livello aziendale, tra i benefici derivanti dal lavoro agile si riscontrano il miglioramento della produttività, la riduzione dei costi degli spazi fisici e dell’assenteismo. I lavoratori possono gestire più efficacemente il proprio tempo, limitando la necessità degli spostamenti, e bilanciare in piena libertà la vita professionale con quella privata. Tutto questo impatta positivamente sul grado di motivazione e soddisfazione del lavoratore. E le società, sempre più attente alle questioni ambientali, trovano in tale modello notevoli vantaggi tra cui una concreta riduzione delle emissioni di CO2 e del traffico, nonché un utilizzo migliore dei trasporti pubblici.

Quando si parla di lavoro agile si fa riferimento ad una vera e propria filosofia manageriale basata sul raggiungimento dei risultati invece che sul presenzialismo e che va oltre al concetto di telelavoro. Sono entrambi due modelli di organizzazione del lavoro resi possibili dallo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Ciò che principalmente li differenzia è il loro diverso grado di flessibilità e autonomia. Il telelavoro ha regole più rigide, il lavoratore occupa una postazione fissa, anche se da casa, e segue il consueto orario di lavoro rimanendo legato a vincoli temporali, spaziali e strumentali. Con lo smart working, invece, la persona lavora in completa autonomia gestendo da sola i tempi e gli spazi della propria prestazione lavorativa. L’organizzazione del lavoro avviene per compiti, fasi e obiettivi ed è stabilita da un accordo tra dipendente e datore di lavoro.

Comprendere la differenza tra smart working e telelavoro serve a capire se l’Italia si stia effettivamente muovendo verso lo smart working o se ciò che stiamo vivendo è soprattutto una forma diffusa di telelavoro.

Lo smart working richiede un profondo ripensamento dei rapporti tra datore e dipendente, riguarda un nuovo modo di inquadrare l’organizzazione del lavoro capace di portare importanti benefici alle organizzazioni, ai dipendenti e alla società in generale. In un periodo di grande trasformazione come quello che stiamo vivendo, in cui la maggior parte del lavoro si svolge da remoto, diventa più che mai fondamentale migliorare le proprie skill digitali.

L’attuale emergenza sanitaria ha trasformato l’Italia in un paese digital e connected. Molte attività si svolgono a distanza, a partire da quelle lavorative fino ad arrivare alle lezioni scolastiche e universitarie. Palestre che organizzano sessioni di training online, a enti di formazione che aprono gratuitamente l’accesso ai loro contenuti. Sono tutte risposte di un paese che si non arrende di fronte al difficile momento storico che stiamo vivendo e che ritrova nella tecnologia lo strumento più efficace per affrontare l’isolamento forzato e sconfiggere il senso smarrimento e il rischio di alienazione.

Per l’emergenza Coronavirus, occorre mediare tra la necessità di portare in qualche modo avanti l’economia e quella di implementare soluzioni in grado di limitare i contagi. Le misure prese dal governo hanno permesso di adottare la procedura necessaria per lavorare in smart working, quando in condizioni di normalità servirebbero degli accordi aziendali, chiedendo alle aziende di applicare rapidamente il lavoro agile. Questo sta permettendo alle diverse imprese, anche quelle contrarie, di sperimentare i benefici dello smart working sul lavoro in termini di produttività, competitività e a livello organizzativo. Ci troviamo di fronte a un percorso non privo di ostacoli, anche se il passaggio allo smart working può essere vissuto come forzato e legato al momento, impedendo così alle imprese di coglierne il suo effettivo valore e i suoi vantaggi.

Anche se il concetto di smart working è stato definito e regolamentato nel 2017 dalla Legge sul Lavoro, I’Italia presenta diversi ostacoli e resistenze nel ricorrere a forme di lavoro agile. Il tessuto imprenditoriale italiano, fatto principalmente da piccole e medie imprese, si basa su una cultura che predilige, un modello di organizzazione del lavoro di tipo classico.

Allo stesso modo, anche la Pubblica Amministrazione appare impreparata a differenza delle grandi aziende che per la loro struttura e il loro respiro più internazionale riescono meglio a comprendere l’importanza di adottare forme di smart working all’interno dell’organizzazione. Alle resistenze culturali e alla paura del cambiamento si somma una paralisi digitale legata a insufficienti e inadeguati investimenti che impediscono al paese di stare al passo con le continue evoluzioni tecnologiche.

Il nostro Paese è indietro per quanto riguarda le skill digitali, perché è chiaro come le nostre risorse umane siano più analogiche rispetto a quelle degli altri Stati europei. Inoltre la percentuale di persone che usano la rete per effettuare acquisti online, leggere notizie o svolgere qualsiasi altra attività risulta essere minore rispetto alla maggior parte dei paesi dell’Unione.

È evidente che le misure adottate per affrontare il problema del Coronavirus, potrebbero aver in parte già mutato molte situazioni lavorative in quanto hanno portato persone e aziende a confrontarsi senza mezze misure con le nuove tecnologie.

In questa condizione di instabilità, è difficile stimare l’effettivo impatto che la pandemia avrà sulle nostre vite. Quello che è certo è che subiremo una recessione economica che ci obbligherà a rivisitare i precedenti modelli organizzativi spingendoci ad adottare soluzioni più idonee alla trasformazione in atto per consentire di dotarci degli strumenti necessari a rispondere con maggior prontezza alle emergenze future.

Se le imprese che seguono modelli di business decentrati hanno avuto meno difficoltà ad applicare ed estendere lo smart working, non lo è stato per molte aziende figlie di una cultura organizzativa fondata sul presenzialismo. Le aziende e le persone si sono dovute velocemente riorganizzare di fronte all’emergenza Coronavirus correndo il rischio di trovarsi impreparate ad implementare e gestire in modo corretto lo smart working, obbligando persone e imprese a fare propri gli strumenti del lavoro agile nel modo più rapido.

Per pianificare in maniera efficace il lavoro agile ai tempi del Coronavirus, è necessario assicurarsi che i dipendenti siano dotati dei giusti strumenti per lavorare, o che l’azienda dia loro la possibilità di utilizzare quelli personali. Fondamentale è il costante confronto tra datore di lavoro e collaboratori e la necessità di monitorare i risultati di questo periodo in modo tale che, una volta finita l’emergenza, si possa ripensare più tranquillamente al modo di lavorare e andare sempre più verso un’ottica smart.

La diffusione del Coronavirus ha trasformato l’Italia in un grande esperimento di smart working Da un punto di vista umano, uno dei maggiori problemi a cui si andrà incontro sarà il rischio di associare lo smart working ad un’esperienza negativa della nostra vita che ci ha privato delle relazioni, della pausa caffè, delle chiacchiere tra colleghi e, più in generale, della nostra routine quotidiana. Altra criticità da affrontare con cura sarà quella di non far percepire lo smart working come una soluzione forzata e contingente. Il pericolo è che, superata l’emergenza Coronavirus, si smetta di parlare di lavoro agile e si ritorni, per quanto possibile, alle vecchie abitudini. Non basta lavorare da remoto per urlare al cambiamento.

 



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