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Fabrizio Aiello/IO E LA MIA ARPA

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

10
AGO
2012

 

In una calda e afosa mattinata di agosto la mia continua ricerca di talenti mi ha regalato l'ennesima carica di emozioni. E quando mi capitano questi incontri non posso che ritenermi fortunata. Fortunata quando incontro ragazzi, giovani e talentuosi, come Fabrizio Aiello, protagonista di oggi.
Fabrizio, classe 1988, si è diplomato in arpa con il massimo dei voti lo scorso luglio sotto la guida della professoressa Lucia Bova, presso il Conservatorio “Niccolò Piccinni” di Bari. Questo giovane arpista mi  ha aperto le porte della sua meravigliosa casa, arredata in stile contemporaneo, tanto spaziosa quanto luminosa, e questo gioco tra spazio e luce non ha fatto altro che rendere l'arpa, ancora più bella, già un'opera d'arte come solo strumento. Che dirvi, una continua emozione tra la genuinità e la positività di questo talento che non può non farci riflettere su quanto sia importante anche solo respirare la pura arte. Alla fine della nostra chiacchierata Fabrizio ha suonato  “La Source” di Albert Zabel, il giusto sottofondo per una mattinata di emozioni.
Ti avvicini alla musica da bambino, iniziando con lo studio del pianoforte, per passare poi allo studio dell'arpa presso il Conservatorio di Musica “Niccolò Piccinni” di Bari. Come si sviluppa, in te, questo interesse?
«L'influenza familiare ha contribuito parecchio: mia madre ha studiato pianoforte, mio zio è diplomato sia in viola che in violino, mio padre suona la chitarra, insomma ho sempre respirato musica. Già a otto anni decisi di studiare il pianoforte, che è uno strumento che mi è sempre piaciuto e che tutt'ora amo, ma, verso i quattordici anni l’ho veramente adorato. Ho scelto di studiare arpa, una scelta particolare, soprattutto nel contesto italiano, poiché è uno strumento suonato da pochissimi, a differenza di altri paesi del mondo. Ricordo vagamente che quando ascoltai il “Valzer dei fiori”, dello “Schiaccianoci” di Tchaikovskij, con questa cadenza iniziale dell'arpa, persi completamente la testa. Da qui la mia scelta. Inizialmente una curiosità, poi con il passare del tempo ho capito essere un'esigenza. Sembrerà strano ma venendo dal piano, che ha una scrittura simile, è stato più semplice avvicinarsi all'arpa».
Hai da subito partecipato a numerose rassegne organizzate dalla Salvi Harps a Taranto, Lecce, Novellara, Cosenza. Ti sei esibito in vari concerti tra cui quello per l'inaugurazione dell'Arcivescovado di Taranto, restaurato nel 2007. Sei stato convocato dall'Amministrazione  Comunale per esibirti da solo e in duo di arpe per il concerto inaugurale della stagione concertistica “Note Introduttive” della città di Taranto. Queste sono solo alcune delle tue partecipazioni. Quale ha un valore particolare?
«La prima esperienza veramente importante è stata sicuramente quella dello scorso luglio, 2011, la mia prima collaborazione con il Cantiere D'arte di Montepulciano, che oltre ad essere rinomato a livello internazionale è una realtà musicale davvero interessante. E' stata un'esperienza nuova e anche un po' spiazzante direi. Sono stato chiamato a sostituire la mia insegnante, quindi già questa era una grossa responsabilità, altra cosa particolare ero l'unico componente italiano di un'orchestra di inglesi, una realtà completamente differente dalla nostra perché i ragazzi inglesi, nei loro college studiano la musica ed hanno un approccio con la stessa totalmente diverso da noi, da un punto di vista tecnico hanno un modo di vivere la musica e la disciplina che noi purtroppo non conosciamo. E' stata una bella esperienza perché amo suonare nell'opera ed è quello che vorrei fare. Appena un mese fa, ho avuto l'onore di ripeterla».
Cosa è significato per te il raggiungimento di questo diploma?
«Il settimo anno è per noi già il primo traguardo, abbiamo il compimento inferiore, “il diplomino”, e l'ho vissuto davvero come il primo momento fondamentale durante il mio percorso di studi. Successivamente ci sono i due anni che servono alla preparazione del diploma. Questi due anni sono stati decisamente i più faticosi, i più intensi ma questo mi ha portato a non rendermi conto del diploma stesso. Avevo studiato tanto quindi ero certo che le cose andassero per il verso giusto ma ancora adesso non mi sono reso conto di essermi diplomato».
Tutti noi, cerchiamo nella vita dei punti di riferimento. L'arpa è una di questi, per te in quanto persona?
«Quando hai una qualsiasi passione questa deve essere un punto di riferimento, un sostegno, un modo per estraniarti. L'arpa è tutto questo per me, e inoltre credo che lo studio riesca a farti pensare molto meno a quello che hai intorno».
Quali invece le persone che ti hanno aiutato tanto?
«Sicuramente la mia famiglia che mi ha sempre appoggiato e continua a farlo, il loro sostegno è stato ed è molto importante per me. Anche la mia docente, Lucia Bova, affermata ad alti livelli, unica italiana attualmente ad aver scritto un libro, un lavoro decennale sulla didattica dell'arpa e sui metodi di interpretazione, insomma una guida completa dal punto di vista storico ma anche strutturale, utile sia per chi è nello strumento sia per chi è semplicemente un appassionato e vuole avere un profilo storico dello strumento, è stata un mio punto di riferimento, soprattutto ultimamente. Grazie a lei sono riuscito a raggiungere determinati traguardi e sono contento di poter continuare a studiare con lei».
Quali sono le caratteristiche necessarie per un arpista?
«Credo sia una questione di attitudine. Per fare l'arpista devi essere consapevole di tante cose, sacrifici fisici e non solo. Uno dei primi ostacoli è la difficoltà dello strumento stesso seguito dal fatto di essere soggetto a determinati costi. L'arpa è tanto bella quanto costosa. La manutenzione ha un costo piuttosto elevato come  le corde stesse, e in base ai cambiamenti climatici quelle più acute si rompono spesso, quindi vanno cambiate, inoltre ogni determinato periodo devi effettuare un intervento di registrazione perché l'arpa ha sette pedali, uno per ogni nota e un meccanismo di rotelle e dischetti per le varie alterazioni. Questo meccanismo è costituito da più di 1300 pezzi. Per non parlare dei trasporti. Ma diciamoci la verità quando c'è una passione di mezzo tutto è superabile. Una questione di passione e di attitudine».
Cos'è per te la musica?
«Sicuramente una ragione di vita, anche lavorativa. E' la parte principale della mia giornata, motivo di relax e sfogo».
Cosa ti auguri ci sia nel tuo futuro?
«Nei miei sogni mi auguro di vedermi in un'orchestra importante, non sono interessato alla carriera solista anche perché oggi è un percorso davvero difficile. Tra i miei progetti c'è anche l'insegnamento con la dovuta gavetta, considerando che i conservatori italiani hanno una sola cattedra di arpa a eccezione di Milano che ne ha tre. Oltre ai conservatori però ci sono scuole di musica, istituti privati e soprattutto in questi tempi, per iniziare la gavetta si cerca una di queste realtà».
La realtà tarantina sotto questo punto di vista.
 «Purtroppo morente. Si spera sempre che la situazione possa cambiare ma in realtà la maggior parte delle cose che ho fatto sono state quasi sempre a Bari e nelle vicinanze. Qualcosa c'è ma è sempre  troppo poco per una città che di arte ne avrebbe da vendere». 
Paure per il tuo futuro?
«In realtà come dice sempre una mia cara amica e collega arpista se in Italia ci fosse una testa diversa, ognuno avrebbe una sua dimensione. Quello che mi spaventa è non riuscire a realizzarmi, la musica e l'arpa rimarrebbero sempre nella mia vita, ma rendermi conto di non essere riuscito a inserirmi da nessuna parte sarebbe non tanto una sconfitta ma di sicuro una delusione. Spero che questo non accada, i miei progetti sono chiari nella mia mente».
 


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