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Tiziana Ciavardini / Oltre il velo dell´Islam

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

10
APR
2015
L’antropologa esperta di Medio e Estremo Oriente spiega perché il dialogo tra diverse culture e religioni deve essere visto come una risorsa, arricchimento reciproco e  possibilità di crescita individuale e sociale, mai come minaccia
 
 
In un momento storico come quello attuale, caratterizzato da gravi tensioni politiche, sociali, ideologiche e religiose che attraversano il mondo intero, il bisogno di capire e conoscere meglio l'altro diventa obiettivo primario, soprattutto quando l' altro si chiama Islam, perché è indispensabile instaurare un vero  dialogo tra culture, partendo dal presupposto che l'unico modo per risolvere i conflitti sia armonizzare le verità del Corano alle tradizioni occidentali. Sono tanti i pregiudizi  profondamente radicati nella nostra visione occidentale, a partire dal controverso problema del ruolo della donna nella società islamica, un ruolo trincerato oltre quel muro di intransigenze che ci impedisce di vedere ciò che c'è dietro quel velo femminile, che ci suggerisce solo una figura vestita di pregiudizi e stereotipi. La donna musulmana è da sempre nell 'immaginario collettivo la "velata", vittima di uno stereotipo che la vede succube  di una società alienante e di un marito tiranno, infatti quando  si parla di donne arabe, i primi pensieri che si affacciano alla nostra mente sono quelli della sottomissione agli uomini, della mancanza di diritti civili, dell'islamofobia, della disuguaglianza, del velo islamico e della mancanza di prospettive al femminile, fino a colmare la nostra visione tanto da non riuscire a vedere quale realtà nasconde questa visione occidentale e parziale del mondo musulmano. Tutto questo è realtà innegabile in diversi Paesi arabi ma non è l'unica realtà, sono diverse le sfaccettature, le reali prospettive e realtà  femminili. Tiziana Ciavardini, antropologa culturale, giornalista, Presidente dell’Associazione Ancis Anthropology Forum e studiosa che ben conosce il Medio e l’Estremo Oriente, vivendo nel contesto islamico, ci offrirà una visione più realistica e veritiera dell'Islam e della condizione della donna araba. Il discorso sulle tematiche legate  alla condizione femminile  e al rapporto tra essa e la questione culturale è lungo e complesso e riaffiora ancora oggi, ma un dato di fatto è che proprio nelle mani delle donne arabe  va lasciata la costruzione del loro futuro, soprattutto alla luce delle importanti dichiarazioni rilasciate dalla vicepresidente iraniana, Shahindokht Molaverdi, delegata alle politiche della donna e della famiglia. Con la Dott.ssa Ciavardini tratteremo  inoltre  il tema dell'Università Islamica a Lecce e di come essa possa rappresentare un dialogo tra culture partendo dal presupposto che l'unico modo per risolvere i conflitti sia armonizzare le verità del Corano alle tradizioni occidentali, perché il dialogo tra diverse culture e religioni deve essere visto come una risorsa, arricchimento reciproco e  possibilità di crescita individuale e sociale, mai come minaccia. 
 
Dott.ssa Ciavardini, lei è antropologa, giornalista e studiosa che ben conosce il Medio e l’Estremo Oriente così come il Sud Est Asiatico. Per una donna che arriva dall'Occidente, l’approccio  a questa realtà  è davvero così complicato  oppure spesso queste considerazioni sono frutto di un latente  etnocentrismo e dell' Islamofobia, dovuta ai pregiudizi riguardanti l'associazione Islam uguale terrorismo?
«Le cose complicate nella maggior parte dei casi sono quelle che non riusciamo a comprendere. Spesso questa mancanza di comprensione si traduce nel creare un muro, perché si teme di non essere in grado di poterle capire o non  voler aprirsi a nuove conoscenze. Oggi il vero male del nostro pianeta è la paura di confrontarsi e di essere pronti a considerare superate le nostri precedenti considerazioni. Il pregiudizio ormai ha preso il posto della verità, troppo spesso vediamo politici o personaggi illustri che non hanno alcuna competenza  circa le  differenze all’interno dell’Islam, né l'umiltà di voler studiare o prendere coscienza delle vere realtà, molto spesso lontane dalle loro posizioni. Mi piacerebbe domandare a molti di loro quanti abbiano vissuto un periodo in un paese islamico o messo piede in una moschea. La risposta credo di immaginarla e le riflessioni che ne generano anche. L’approccio con realtà diverse meriterebbe una sorta di ‘osservazione partecipante’ come la chiamava il più grande antropologo di tutti i tempi Broniwlaw Malinowsky. osservando una realtà diversa dalla propria senza appunto caricarla di quell’etnocentrismo che fa della nostra razza una cultura superiore. Credo che proprio in questo momento storico dovremmo tutti fare un passo indietro e rivedere le nostre posizioni in molti ambiti, potremmo tutti scoprire qualcosa di sorprendente. Sull'associazione Islam/terrorismo credo sia evidente quotidianamente che l’islam  sia  solo il pretesto per agire in maniera totalmente diversa da quella che la religione musulmana insegna. Chi vede nell’islam la causa del terrorismo pecca di pressapochismo e presunzione. Occupandomi di Iran ormai da più di un decennio ho trovato molto interessante la lettera che la Guida Suprema Ayathollah  Khamenei ha scritto ai giovani di Europa e del Nord America. Il leader esorta le nuove generazioni a non fidarsi dei mass media ma anzi ad attingere notizie sull’Islam direttamente dalle fonti primarie come il Corano o da scritti scientifici realizzati appositamente per spiegare il senso delle sure del Corano».
 
Quando si parla di donne arabe, i primi pensieri che si affacciano alla nostra mente sono quelli della sottomissione agli uomini, della mancanza di diritti civili, del velo islamico e della mancanza di prospettive al femminile.Tutto questo è realtà innegabile  in diversi Paesi arabi ma non è l'unica realtà. Cosa significa  nascere donna in Iran? Quali sono le reali  prospettive  e com'è  differenziata e sfaccettata la realtà delle donne?
«Secondo  l’art 20 e 21 della Costituzione Iraniana ci dice che ‘Nel rispetto delle norme islamiche tutti gli individui cittadini della nazione, sia uomini sia donne, sono uguali di fronte alla protezione della legge e godono di tutti i diritti umani’ Di fatto le cose non sono proprio così. Oggi la donna costituisce il 60% degli studenti universitari e circa il 90% per cento delle donne iraniane frequenta la scuola. Ancora oggi in Iran una donna non può ottenere un passaporto senza il permesso del marito o di un parente di sesso maschile. Le donne sono escluse dal frequentare determinati spazi pubblici come gli stadi; la violenza domestica rimane generalmente impunita e la testimonianza di una donna in tribunale vale solo la metà di un uomo. A questa iniqua situazione, la scorsa estate il sindaco di Tehran Mohammad Bagher Ghalibaf, dell’ala conservatrice, aveva suggerito un piano per separare i dipendenti pubblici maschili da quelli femminili negli uffici comunali. Successivamente si era parlato della volontà di creare dei parchi per sole donne e di un divieto per le donne di lavorare nei caffè, onde evitare il contatto con uomini che non facciano parte della propria sfera familiare. La legge per l’aumento della fertilità, proibirà la chirurgia per la contraccezione permanente (sia per gli uomini che per le donne) e introdurrà severe punizioni per i medici che si presteranno a queste operazioni. Poche settimane fa si è parlato della proposta di legge che ancora devono essere approvate, secondo la quale le donne iraniane potranno subire importanti limitazioni nell'uso dei contraccettivi. Ancora oggi in Iran alle donne è proibito assistere ad un qualunque evento sportivo in cui vi sia la presenza anche di uomini. Di restrizioni per le donne in Iran ce ne sono fin troppe e bisogna lavorare affinché le cose cambino. Ma se tutto questo è realtà innegabile in diversi Paesi arabi, non è l'unica realtà. Nascere donna in Iran oggi significa dover dimostrare di saper fare il proprio lavoro una, due, tre, volte maggiore rispetto a quello di un uomo. Essere donna in Iran vuol dire avere quella grinta e quella tenacia che spesso manca a noi occidentali. Le donne iraniane di oggi sono e saranno sempre la forza motrice dell’Iran. Sono madri, mogli, figlie che sono passate tempestivamente dalla vita sotto allo Scià di Persia alle restrizioni della Repubblica Islamica. L’Iran si presenta come un paese di contrapposti. Quello che a noi arriva sono le vicende mediatiche a volte drammatiche ma spesso manipolate dai giornali o dalle tv. Vi è però un' altra realtà in Iran, molte donne sono emancipate, viaggiano e cercano un cambiamento ma ci sono anche molte donne che pur studiando ed essendo   plurilaureate  scelgono di pregare,  di essere  religiose e  con immenso  orgoglio scelgono di portare il chador o il velo islamico. Ho sempre dichiarato che il velo dovrebbe essere una scelta come è in altri paesi del Medio Oriente ma sicuramente togliere il velo in Iran oggi non è il problema principale». 
 
La vicepresidente iraniana, Shahindokht Molaverdi, delegata alle politiche della donna e della famiglia, dichiara: "le donne dovrebbero avere la possibilità di decidere come vestire, ciò significa che le nostre figlie devono avere il diritto di scelta in base alle proprie esigenze, alle varietà a loro proposte e al loro senso estetico". Secondo lei, queste parole  sono evidenti segnali di miglioramento per la condizione della donna nei Paesi arabi?
«Non sono solo segnali ma vere e proprie realtà che posso testimoniare personalmente. Nei miei recenti viaggi in Iran ho avuto l’onore di incontrare più volte il vice ministro Shahindoth Molaverdi, delegata dal Presidente Hassan Rohani, alle politiche della donna e della famiglia. Pur essendo una donna religiosa, è anche e soprattutto una donna coraggiosa, più volte  mi sono   meravigliata di fronte alle sue proposte per garantire libertà alle altre  donne. Molaverdi, che è attivista, esperta di diritto e  conosce quindi da vicino i problemi delle donne iraniane, mi ha spiegato che nuove iniziative sono state avviate per migliorare lo status delle donne. Mi ha detto che il Presidente Rohani è sempre stato contrario alla separazione dei sessi e  quindi il governo sosterrà fortemente i diritti delle donne e la nuova amministrazione proporrà importanti  cambiamenti da fissare nella società, che non siano però tali da suscitare ribellioni e problemi a  quella parte più religiosa del paese. Il problema è proprio questo in Iran, vi è oggi un presidente moderato che la maggior parte della popolazione ha votato con grande partecipazione, ma  molte promesse del presidente non vengono messe in pratica poiché ostacolato da una parte di conservatori estremisti iraniani, determinati a non perdere potere all’interno del paese. Dunque il conflitto ideologico e politico tra le due fazioni principali, riformisti e conservatori, sta creando sempre più spaccature all’interno dell’establishment iraniano. La nuova amministrazione Rohani, attraverso l’operato della Molaverdi cerca di farsi strada all’interno di queste impervie vie alla ricerca di programmi volti proprio a migliorare la condizione della donna. Il governo infatti, secondo quanto  dichiarato dalla stessa Molaverdi, ha come primo obiettivo quello di creare posti di lavoro per le stesse. In particolare, l’attenzione sarà rivolta all’emancipazione economica di quelle donne che vivono nelle regioni svantaggiate del paese. I cambiamenti in Iran non saranno immediati, ci vorrà del tempo per cambiare  leggi e mentalità, anche se alcuni miglioramenti sono già avvenuti».
 
Nell'immaginario comune  le donne arabe hanno imparato molto dalle donne Occidentali, secondo lei cosa dovremmo imparare noi donne occidentali da loro?
«Abbiamo sempre da imparare dagli altri, soprattutto da chi è diverso per cultura, storia o religione. Quando parliamo di donne arabe o donne iraniane generalmente tendiamo a generalizzare, lasciando intendere che entrambe appartengono a quel variegato, confuso e spesso complicato mondo islamico. Credo che come donne occidentali dovremmo innanzitutto cogliere quell’umiltà insita per cultura in queste donn.La situazione della donna intesa come condizione sociale varia da paese a paese. In molti paesi musulmani c'è grande disparità tra la condizione maschile e quella femminile, ma si tratta di paesi in cui è da sempre in atto una battaglia contro l'occidentalizzazione della cultura. Sarebbe interessante vedere come questi paesi si stanno  evolvendo, non sarebbe male fare un passo indietro  e chiederci se davvero la loro ‘condizione’ sia davvero così come la pensiamo. Spesso le tematiche di cui dibattiamo sono generate da presupposti e pregiudizi pensando sempre la donna islamica come donna ‘sottomessa’ quando non  è così.Ho seguito dall'inizio  il caso della ragazza anglo-iraniana Ghoncheh Ghavami. Era già uscito un mio articolo su Repubblica.it la settimana precedente che trattava proprio del divieto imposto delle donne iraniane di partecipare ad eventi sportivi. Ghoncheh venne arrestata davanti allo stadio Azadi di Tehran alla fine di giugno durante una protesta, perché voleva assistere alla partita di pallavolo Iran-Italia. In un primo momento venne prelevata, interrogata per quattro ore e successivamente rilasciata. Dopo circa dieci giorni venne arrestata nuovamente e tenuta in detenzione presso il famigerato carcere di Evin a Tehran.
Per la sua liberazione c’è stata una mobilitazione internazionale, molte associazioni per i diritti umani così come i social network hanno contribuito a far conoscere il suo caso. Suo fratello Iman Ghavami aveva lanciato una petizione per il suo rilascio su Twitter con l'hashtag #FreeGhonchehGhavami. Le autorità  iraniane in seguito dissero che la sua detenzione non aveva nulla a che fare con la protesta davanti allo stadio ma era stata accusata di  ‘propaganda contro lo stato’ un reato che prevedeva la condanna a diversi anni di detenzione. dopo cinque mesi di carcerazione,  Ghoncheh, lo scorso dicembre venne liberata  dietro pagamento di una cauzione di 38mila dollari e la garanzia di non lasciare il paese per i prossimi due anni. Si attendeva comunque il verdetto di appello. Qualche settimana fa mentre mi trovavo a Tehran  ho chiesto a suo fratello Iman la possibilità di  incontrare Ghoncheh e lui mi ha risposto  che sarebbe stato più opportuno attendere il verdetto per non creare qualche problema rilasciando dichiarazioni o interviste. Ora a sorpresa, la notizia della sua liberazione definitiva annunciata da un tweet di suo fratello,  in cui ringrazia tutti per aver sostenuto la sua famiglia e Ghoncheh in questo difficile momento della loro vita ormai lasciato alle spalle».
 
Il dialogo tra diverse culture e religioni deve essere visto come una risorsa, arricchimento reciproco e  possibilità di crescita individuale e sociale, mai come minaccia.  Secondo lei l'Università Islamica di Lecce è un passo in più verso un vero dialogo tra culture  partendo dal presupposto che l'unico modo per risolvere i conflitti sia armonizzare le verità del Corano alle tradizioni occidentali?
«Per anni mi sono dedicata al dialogo interreligioso e interculturale perché sono sicura che solo la conoscenza dell’altro sia  la chiave per capire meglio la nostra esistenza. Gran parte della mia vita l’ho trascorsa in paesi esteri e ho avuto la possibilità di conoscere da vicino altre culture, altri popoli, altre religioni. Spesso mi sembra che gli italiani fatichino ad accettare una realtà che è ormai evidente. Che ci piaccia o no, oggi l’Islam fa parte ormai della nostra vita quotidiana, è la seconda religione in Italia, anche se possiamo considerarlo un fenomeno abbastanza recente.  Da qualche decennio, alcuni paesi occidentali, Italia compresa,  sembrano soffrire di una mania persecutoria nei confronti della religione islamica e dei suoi credenti, per cui attribuiscono ad essa le cause della loro progressiva perdita di potere e di identità, sfociando nell'islamofobia.  Attraverso forme di razzismo e di intolleranza religiosa, volte a mascherare una pregiudizievole quanto erronea ideologia, si è arrivati alla creazione del termine Islamofobia per implicare in esso tutte le ansie, le paure e i timori instauratisi in occidente, in particolare dopo i tragici attentati terroristici rivendicati dai fondamentalisti  islamici. Oggi l’Isis  si si è autoproclamato stato islamico, quindi la faccenda si sta complicando e ingarbugliando ancora di più dando vita a nuovi apartheid, ma visto che oggi in Italia l’Islam è la seconda religione, sono favorevole alle moschee e all'università Islamica di Lecce che sin dall’inizio ho trovato una splendida idea. Non capisco questo voler ostacolare in tutti modi un percorso culturale civile e attento al dialogo.  Dobbiamo smettere di pensare che ovunque vi sia la parola ‘islam’ ci sia qualcosa di sbagliato, di non chiaro, di illecito. Torna qui in maniera preponderante il tema del pregiudizio.  In quanti si saranno considerati contrari senza nemmeno sapere di cosa stiamo parlando? Se l’università ha come fine la crescita culturale dell’individuo perché dobbiamo essere contrari? Cosa va a togliere alle nostre università italiane, siano esse statali private o cattoliche?». 
 
Vivendo  nel contesto islamico, secondo lei  l'Iran  di oggi è un paese sicuro e in crescita? Avverte l'inizio di un nuovo corso? Le informazioni sul contesto politico, sociale ed economico iraniano che riceviamo attraverso i media sono spesso manipolate e fuorvianti?
«L’Iran è sempre stato presentato come un paese insicuro e da evitare, caratterizzato da contraddizioni che spesso si traducono in luoghi comuni.La mia esperienza, mi ha portato ad avere una visione della cultura e della società contemporanea spesso in contrasto con quelle che sono le notizie provenienti dai media, il più delle volte capziose e confuse. Certamente non possiamo affermare che il paese non abbia grandi sfide da risolvere sia campo internazionale che nazionale, ma qualcosa sta cambiando. Camminando per le strade, parlando con la gente, si avverte che l’Iran sta attraversando una fase transitoria, forse, l’inizio di un nuovo corso. Attraverso l’esperienza diretta, ho avuto modo di confrontarmi, con una realtà tanto diversa da quella a cui appartengo e che ha forgiato anche la mia personale visione del mondo e dell’essere umano. Accantonati i pregiudizi di sempre, a mio avviso, l’incontro con l’altro deve sempre essere visto come risorsa, mai come minaccia e soprattutto come opportunità di crescita individuale. Oggi, ancora dopo tanti anni, cerco di cogliere in ogni singolo gesto, in ogni occasione, qualche significato nuovo. Se vogliamo coesistere e trovare il dialogo con gli altri dobbiamo conoscerci ed accettare le differenze dell’altro. Dovremmo forse tutti, sforzarci  nel conoscere realtà che non ci appartengono e che spesso contrastano con le nostre idee. Sono proprio queste diversità, che a volte segnano l’animo e aiutano a comprendere meglio la nostra esistenza».
 
 
Quello che è accaduto a Parigi ha sconvolto l’Europa.  Quali sono le sue opinioni in merito alle stragi di Parigi. Si tratta  di atti criminali, alla cui base non ci sono solo motivazioni religiose come potrebbe apparire in un primo momento bensì interessi politici ed economici? Che differenza c’è tra Al Qaeda e l’Isis? 
«Ancora sembra surreale che sia capitato in Francia, in Europa. La mia posizione riguardo questa vicenda è abbastanza scettica, ma credo che chi davvero pensa che  in questi atti barbarici vi siano motivazioni dettate dalla fede Islamica, non può che essere totalmente in errore. L’Isis è una realtà politica che utilizza la fede come motivazione per compiere atti terroristici, quindi è davvero difficile da definire e c'è tanta confusione  che si fa fatica persino a nominarlo in maniera univoca, qualcuno lo chiama Is, Isis, Isil, Stato islamico, Daesh, Califfato. Hanno scelto di farsi chiamare ‘Stato Islamico dell’Iraq e della Siria” ma di islamico hanno davvero poco. L’unica certezza è che ci troviamo di fronte a un movimento nato con lo scopo di terrorizzare alcuni paesi mediorientali e non ultimo anche l’Occidente. Sembra che la strategia generale, le tecniche e le tattiche utilizzate dall’ISIS non siano molto diverse da quelle di al-Qaeda. Le violenze sulle donne, madri, figlie e sorelle, la morte dei  bambini innocenti e i corpi di civili gettati in fosse comuni, la caccia alle minoranze religiose,  l’utilizzo di metodi di morte quale la decapitazione sono realtà atroci alle quali purtroppo abbiamo già assistito. Al Qaeda era fortemente centralizzata, l’ISIS ha invece una organizzazione sia politica che militare decentrata. Gli obiettivi sembrano però essere diversi. Era fondamentale per al-Qaeda colpire il “nemico lontano”, cioè l’Occidente, con azioni terroristiche, mentre vediamo come l’ISIS stia combattendo una guerra a livello regionale e locale. Quello che credo sia evidente è che entrambi i gruppi terroristici sono finanziati da stati che hanno interesse a far apparire l’ISLAM come il nemico numero uno da sconfiggere. Dovremmo tutti meditare e domandarci chi in realtà vuol far apparire l’ISLAM quel mostro capace di uccidere il più alto numero di persone. Davvero vogliamo credere che i giornalisti di Charlie Hebdo siano stati uccisi per aver pubblicato le vignette offensive nei confronti del Profeta? L’unica certezza e amarezza totale in questa vicenda sono le vite umane perse, ma i fatti, la dinamica e le motivazioni sembrano davvero singolari. Vorrei soffermarmi su questo punto e riflettere e far riflettere sul perché sono proprio i giovani ad arruolarsi in questa pazzesca guerra.  Bisogna capire prima di tutto la storia dell’ISIS e quale personaggio reale si cela dietro questa organizzazione. Dobbiamo capire i reali obiettivi che hanno in mente e questo è basilare prima di poter fare valutazioni. Per ora sappiamo che l’ISIS  è  in mano ai sunniti,  Islam sunnita dunque che potrebbe in qualche modo preoccupare anche la Repubblica Islamica dell’IRAN a maggioranza sciita. Forse in troppi abbiamo sottovalutato l’importanza dell’IRAN nella lotta all’ISIS e credo che in un vicino futuro avremo grandi sorprese». 
 
Non vogliamo puntare l'attenzione solo sul lato oscuro dell'Iran, accantonati i pregiudizi di sempre si deve necessariamente puntare sull’incontro con l’altro. Ci parli della bellezza di questi luoghi, della sua cultura contemporanea, la sua a Storia più recente.
«Negli ultimi decenni l’Iran è stato più volte presentato come un paese insicuro e da evitare, caratterizzato da problemi politici interni che le cronache hanno inevitabilmente evidenziato creando un latente pregiudizio ancora oggi difficile da superare. Con l’elezione del Presidente Hassan Rohani, l’Iran sta vivendo però, un cauto cambiamento, non certo uno stravolgimento ma l’ottimismo apportato da un presidente ‘moderato’ certamente ha generato una sensazione di sicurezza e stabilità nel paese. Auspicando una veloce ripresa economica, la nuova amministrazione governativa sta lavorando su più fronti e quello in ascesa è certamente il settore del turismo. A questi visitatori desiderosi di conoscere le bellezze persiane non sembrano inoltre creare difficoltà le restrizioni imposte dal paese a tutta la popolazione, turisti compresi. In Iran vige l’obbligo del velo, l'alcol è proibito, e non sono graditi atteggiamenti che non siano consoni alla dettami islamici. Viaggiando per l’Iran non si può certo non rimanere affascinati dalla popolazione e dall’ospitalità persiana che genera quella sensazione di nostalgia che potremmo chiamare ‘mal di Persia’ che manifesta i suoi sintomi appena si lascia il paese e si attenua solo una volta tornati. Le città più visitate sono la capitale Tehran, la cittá di Esfahan, l'antico centro zoroastriano di Yazd e poi alla città meridionale di Shira. L’iran possiede alcune delle più spettacolari rovine antiche del mondo e dei siti religiosi, tra cui Persepolis il sito Unesco del Patrimonio Mondiale, che risale al 515 a. c. Il turismo inoltre gioca un ruolo fondamentale come mezzo di dialogo tra culture e religioni. Accantonati i pregiudizi si deve necessariamente puntare sull’incontro con l’altro che SEMPRE, in ogni circostanza, deve essere visto come risorsa, mai come minaccia e soprattutto come possibilità di crescita individuale. La campagna di Ali Araghchi vuole soprattutto utilizzare lo scambio di informazioni sull’Iran come veicolo utile a migliorare e rafforzare l'empatia, l'interazione, e l'unità nazionale nonché rafforzare i legami con i paesi stranieri. Il complesso rapporto tra lo sviluppo del turismo e del dialogo tra fedi e culture trova il suo fondamento nella promozione della tolleranza, l'accettazione e l'interscambio culturale. Per anni anni la propaganda mediatica ci ha forgiato le idee dandoci del paese una visione negativa,  lo hanno mostrato come uno ‘stato canaglia’ e in molti casi ci abbiamo creduto. Il conto alla rovescia è però già iniziato. Finalmente oggi si ha la possibilità di constatare in prima persona che l’Iran non  è proprio così come ce lo hanno raccontato ma un paese che ha molto da offrire».  
 
É stato raggiunto da qualche giorno l’accordo sul Nucleare Iraniano, lei che conosce bene la società contemporanea iraniana, può dirci quali ripercussioni avrà questo accordo sulla popolazione?
Forse è ancora troppo presto per delineare un programma di quello che accadrà. Possiamo solo augurarci che vi saranno dei cambiamenti positivi sotto diversi aspetti in Iran. Abbiamo assistito alle celebrazioni per le strade di Tehran subito dopo la conferenza stampa di Losanna e molti iraniani si sono riversati  nelle strade con allegria, soprattutto dopo la conferma della rimozione totale delle sanzioni. Se verranno rimosse le sanzioni, così come detto, probabilmente ci potrebbe essere una cauta ripresa dell’economia, esattamente quello che la maggior parte della popolazione sta attendendo da anni. Le sanzioni economiche all’Iran sono iniziate subito dopo la Rivoluzione Islamica nel 1979, attuate dagli Stati Uniti a seguito dell'attacco all’ambasciata americana. Anche la comunità internazionale e l'Onu si aggiunsero agli Stati Uniti imponendo una serie di sanzioni economiche all’Iran in risposta alla ‘non sospensione’ del programma nucleare. Dal 2006 al 2012 le sanzioni sono state intensificate e benché mirino a colpire la tecnologia nucleare, l'esportazione di armi, conti bancari o organizzazioni legate al nucleare, hanno prostrato l'economia del Paese rendendo impossibile per gli iraniani procurarsi cibi, medicine, tecnologie mediche e altri beni. Le sanzioni hanno contribuito a generare il crollo del valore della moneta iraniana nei confronti delle valute straniere, sconvolgendo la vita quotidiana della popolazione, con un aumento dei prezzi di qualsiasi prodotto a livelli vertiginosi. A causa delle sanzioni oggi in Iran circa 15 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, ovvero il 20% della popolazione. I ricchi sono diventati appartenenti alla media borghesia e la classe di mezzo è ormai diventata povera. La rimozione delle sanzioni sono vitali per il futuro economico dell’Iran. Mi auguro inoltre che le aperture dell’Iran verso l’Occidente possano invece influire sui cambiamenti interni al paese. Sappiamo che l’Iran ha problemi urgenti da risolvere in ambito di Diritti civili e Diritti umani e attendiamo la realizzazione di quelle promesse fatte dal Presidente Hassan Rohani durante la campagna elettorale. 
 


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