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LUCREZIA MAGGI /Almeno una decina da leggere

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

5
GIU
2015
Nella sua penna entra tutta la vita nei molteplici aspetti: l’amore, gli affetti, la lotta, il dolore lacerante per chi è diviso tra passato e presente. E intanto riempie di pagine, come una medicina, le sue giornate
 
Lucrezia Maggi, poetessa e narratrice  tarantina, ci presenta la sua ultima fatica letteraria  “Come solo le parole (Sei la storia)”. Un romanzo delicato sui rapporti umani che intreccia storie di uomini e donne del nostro tempo, tracciando abilmente i confini dell’animo che oscillano tra ricordi, nostalgie, desideri anelati,  attese, amori. Un profondo sentire femminile quello che anima  Lucrezia, una manifestazione del suo mondo interiore che prende forma generando parole e magia, utilizzando  un linguaggio ricercato, incisivo, di forte impatto e profonda capacità descrittiva ed evocativa. 
   
Cosa rappresenta  l'esperienza della  scrittura per Lucrezia e cosa significa essere scrittrice oggi? 
«Ho iniziato a scrivere prima e, principalmente per me, nel segreto delle mie ore libere. Scrittura privata, intima, che accompagnava i pensieri. Ho scritto quasi tutta una vita senza sentire il desiderio di pubblicare. Poi, un giorno, ho sentito un inconscio desiderio di ascolto e di avere anche un giudizio, un confronto. Qualcuno mi incoraggiò a farlo e inviai a una rivista letteraria il mio primo racconto. Avevo sedici anni quando lo pubblicai. Anche se, a dire il vero, un piccolo premio e una pubblicazione su un quotidiano locale li avevo già vinti a otto anni per un componimento poetico in gara a un concorso letterario. Per il mio primo, vero manoscritto ci volle un po' più di tempo, stesure sopra stesure, opera intensa di autoconvincimento ma, poi, il gran salto. Da oltre un decennio sono un'autrice, pubblico ciò che scrivo, forse ho pure un paio di lettori a cui piacciono le cose che scrivo. Amo però sottolineare spesso che mi considero solo "una donna che scrive", ho troppa cura delle parole per buttarle giù a caso. "Essere scrittori oggi" è uguale a come lo era ieri, non credo ci sia differenza, nulla è cambiato, è l'uso e l'abuso che oggi se ne fa che è diverso. Del termine e del "mestiere", intendo. Da osservatrice e lettrice mi rendo conto che la crisi di mercato nel settore, ha portato alla ricerca del libro rivelazione, al successo di vendite che salva il bilancio delle case editrici, piuttosto che alla qualità dei contenuti. Ma questa, è un'altra storia e neppure tanto bella da raccontare...».
“Come solo le parole (Sei la storia)” è il tuo ultimo lavoro, edito da Edizioni Opposto, che racconta storie di uomini e donne del nostro tempo e le loro  aspettative del quotidiano vivere, tracciando abilmente i confini dell’animo che oscillano tra ricordi, nostalgie, desideri anelati e mai raggiunti, attese, amori e quel terribile senso di vuoto di chi ha smesso di attenderla. Parlaci di come nasce questa tua nuova opera. Tu scrivi per amore, per necessità o per l'impulso di addentrarti nella felicità o nel male di vivere?
«”Come solo le parole (Sei la storia)” nasce dal mio desiderio di sperimentarmi in una scrittura differente, nuova, in cui anche la mia poetica avesse il suo bel dire. Sono 17 racconti che raccontano 17 storie completamente diverse tra loro, ho scelto di narrarle cimentandomi in espedienti narrativi e stili completamente diversi tra loro. Mi sono svestita della mia identità di autrice per lasciare fiato e spazio unicamente ai miei personaggi e alle loro storie. Mi piacerebbe che il lettore non si limitasse a “intrattenersi” con loro ma, il mio desiderio è che possa riuscire a penetrarle e a farsi penetrare da ognuna, che le possa fare sue, fino in fondo. Forse potrebbe infine scoprire che, ognuno di noi, nessuno escluso, può essere “la storia”. Mi chiedi "perché mai scrivo", è così? In realtà scrivere "mi viene naturale". Così come respirare, nutrirmi e fare l'amore. Sono una creatura profonda e inquieta, forse la scrittura mi aiuta a tenere a bada il demone che mi abita interiormente ma, credo fortemente che questo, sia infine, "un dono" che mi tengo stretto, che è parte di me. Coabitiamo in perfetta simbiosi un'unica anima che come unica ambizione ha solo il desiderio di continuare ad essere semplicemente se stessa e a esprimersi come meglio sa fare». 
 
 
Quando nasce in te l’esigenza di affidare alla scrittura i tuoi pensieri e il tuo sentire più profondo?
«Credo che quella "esigenza" sia nata e cresciuta con me, dono genetico, probabilmente. In verità, non me lo sono mai chiesto veramente. Lei, c'è. Da anni, è "l'esigenza costante" di ogni mio giorno. Ho sempre pensato che la scrittura potesse nascere dall’urgenza. Quell' urgenza di dire qualcosa che si agita dentro, che spinge contro, che non si riesce più a trattenere sotto il pelo-strato dell'apparenza.  L’urgenza di dare corpo a quelle parole che si affollano e ti urlano nella testa. L’urgenza della condivisione e del dono. Si scrive per lasciare una traccia, in fondo. Per dire quello che conta veramente. Per trovare le parole giuste. Per colmare un vuoto, un'assenza. Per meglio comprendere gli altri e se stessi.  Si scrive perché le parole possano dare un senso a quello che si vive e che si percepisce». 
 
Hai  anche pubblicato  un pamphlet di denuncia sulla situazione della malasanità in Italia, dal titolo “Prima che il tempo ne cancelli le orme”. Come nasce questa decisione? Sei riuscita a fare ascoltare la tua rivolta? 
«Quello che io scrivo e denuncio nel mio pamphlet è purtroppo realmente accaduto nell’agosto del 2013. I miei occhi hanno visto la cruda verità e la mia anima ha vissuto il dolore, la rabbia, trovando infine rifugio solo "tra le parole", come nel grembo di una madre. E’ stata una vera e propria urgenza. Ho pensato che forse, la mia penna, potesse essere un mezzo utile a rompere l’assurda cortina di silenzio che aleggia intorno allo scottante argomento che troppi chiamano "malasanità", per portare l'attenzione su quanto nel mio pamphlet denuncio, una piccola cosa che, da sola, sicuramente non potrà nulla, ma la mia speranza è che possa contribuire a "bloccare il sistema", qualcosa che deve cambiare, per il bene di tutti. Con "Prima che il tempo ne cancelli le orme" mi sono avventurata in un vero e proprio tour di "divulgazione", un intero anno su e giù per la penisola italiana per parlarne, moralmente e unicamente sostenuta dal Tribunale dei Diritti del Malato a cui i proventi dei miei diritti di pubblicazione sono e saranno interamente devoluti. In ognuno dei miei incontri, la partecipazione di tanta gente direttamente coinvolta in episodi di malasanità mi ha convinta a perseverare, ad andare avanti, a non mollare. E’ stato difficile, doloroso, tu mi chiedi se sono riuscita a ottenere quello a cui ambivo. In verità, ti dico che sento di non aver fatto ancora abbastanza, quasi niente, a dire il vero. Di conseguenza, credo che la mia “crociata” non sia ancora terminata. I fatti passano, il tempo pure, ma le parole, restano, sono tracce indelebili. La mia denuncia comunque rimane e desidera continuare ad essere "una sferzata per tenerci vigili, svegli; proprio parlando di quel timore di un non-risveglio, che chiuda a ciascuno gli occhi ma, soprattutto, i sogni"».
 
Per diventare un bravo scrittore è necessario essere un avido lettore. Per Lucrezia la scrittura sta alla lettura, come…
«Vediamo un po'… Come la Nutella sul panino al latte o come il cacio sui maccheroni? Io ho letto e leggo tanto. Amo i libri, difficilmente lascio andar via un giorno senza che io abbia letto almeno una decina di pagine di un libro. In questo periodo, la media è di un libro a settimana». 
 
Quali sono state le letture più significative nel tuo percorso di vita?
«Ho iniziato a leggere prestissimo, i libri in casa non mi sono mai mancati, letteratura per lo più di autori stranieri, per ragazzi inizialmente, come le novelle di Hans Christian Andersen poi i racconti di Edgar Allan Poe e Charles Dickens; la poesia di Emily Dickinson, di Walt Whitman e Herman Melville e ancora, più avanti, la narrativa di Oscar Wilde, Virginia Wolf, Ernest Hemingway e il folle innamoramento per la scrittura di Gabriel Garcia Marquez, Louis Ferdinand Céline, Isabelle Allende e la poesia confessional di Anne Sexton. Qualche buon autore italiano, ci sta, è ovvio, Calvino e Pavese ad esempio ma, non solo. Pochi tra i contemporanei dell'attuale mercato editoriale italiano, pochissimi tra i conterranei. Ma ho ancora tanto da imparare e ancora tante buone letture da leggere, mi auguro».
 
Lavorando da anni nel panorama culturale pugliese, quali sono le difficoltà maggiori che incontra chi vuole cimentarsi in attività artistiche e culturali ?
«Forse sarebbe più giusto scrivere "quali difficoltà non incontra"? Fare cultura nel mio territorio è impresa assai ardua. Zero aiuti e zero attenzioni dalle istituzioni in primis. E poi ci sono le famigerate "guerre tra poveri". Le grottesche rivalità tra operatori culturali, librai, artisti, autori. Ognuno sul suo piedistallo, ognuno a capo del proprio orticello e del proprio, modesto numero di "adepti". Le sfide, in Puglia, sono tante. Forse troppe. Quella che più conosco da vicino, che mi coinvolge in prima persona la vivo proprio nella mia città. Taranto è una città difficile, faticosa. E poi c'è la gente, bistrattata nel profondo, disillusa, che non riesce mai veramente a fare, a partecipare, a collaborare attivamente. Fare cultura comporta sicuramente grandi sacrifici, ma se da un parte toglie, dall’altra restituisce, regalando anche immense soddisfazioni, in qualsiasi realtà, grande o piccola che sia. Ma non è semplice. Non lo è mai. Impegno e perseveranza spesso non sono sufficienti e l'eterno interrogativo del "chi me lo fa fare" pende perenne tra testa e labbra».
 
 


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