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Racconto/Dalla finestra

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

19
GIU
2015
Due sorelle aspettano i loro promessi, in un’attesa fatta di pizzi e lino ricamato
 
Dalla finestra della  piccola casa, fuori le mura, che guardava le vigne della valle, Annina e Rosetta si affacciavano tutti i giorni. Appoggiandosi l’una all’altra scostavano la vecchia tenda di lino e scrutavano, oltre la distesa dei vigneti,  la strada bianca. Spesso, la nebbia rendeva sfumati i contorni delle casedde e i loro pinnacoli bianchi, confondendo i segni scaramantici dipinti sulle chianche con i lembi di nuvole basse fino a farle, improvvisamente, scomparire alla vista. Le due sorelle si chiedevano spesso cosa ci fosse oltre quella distesa verde, perché non si erano mai mosse dal posto in cui erano nate. Uscivano  raramente: nei giorni di mercato o in quelli di festa dedicati al Santo Patrono. E proprio in uno di quei giorni, fra i variopinti banchi degli ambulanti, in piazza, avevano conosciuto due giovani merciai, che vendevano la loro mercanzia accanto ai portici. Annina e Rosa sceglievano fili dorati e nastri di seta e i giovani le incantavano con parole invitanti. Un nastro e un sospiro, un rocchetto di filo e una risata a stento trattenuta. Fu un istante di sguardi prolungati che le scoprì innamorate. Quei giovani, a sera, in partenza per altri paesi lontani, avevano regalato loro una rosa e un fazzoletto di pizzo, abbracci e promesse. Sarebbero tornati al più presto, giusto il tempo di mettere da parte, lavorando sodo, una piccola somma di denaro per poterle sposare nella grande Chiesa del Carmine vicina alla loro casa e il cui suono di campane accompagnava  Annina e Rosa dal risveglio fino all’Ave Maria.
“E ci saranno dolci, frutta e confetti per tutti” dissero i due giovani mentre caricavano il loro carretto prima di ripartire.
“Noi indosseremo i nostri scialli ricamati” aggiunsero le giovani donne mentre li accompagnavano fino a dove poterono arrivare a piedi. Poi si salutarono. Annina e Rosetta sventolavano i loro fazzoletti, i giovani i loro cappelli un po’ sformati.
Da quel giorno sembrò ad Annina e Rosetta che i loro ricami, molto richiesti per lenzuola e paramenti d’altare, fossero intessuti con fili magici tanto erano delicati e lievi. È l’amore - pensavano- che rende le nostre mani così agili e leggere. Ricamavano e contavano i giorni, le settimane, i mesi. Venne l’inverno. La valle appariva essere sempre più lontana, incerta alla vista, nella pioggia che scendeva mentre un vento gelido spazzava via, ad una ad una, tutte le foglie del gracile alberello davanti alla loro piccola casa. La primavera portò tuoni potenti, uccelli neri e gracchianti tornarono da regioni lontane. L’estate le colse di sorpresa, mentre, affacciate alla finestra, sorseggiavano limonate. Pettinarono i capelli in lunghe trecce, indossarono corpetti nuovi, scrutando l’orizzonte, in attesa. “Prima o poi torneranno come hanno promesso” dicevano mentre i ricami sulla tela assumevano, di giorno in giorno, colori più attenuati e il disegno si faceva più incerto. 
Videro passare intere famiglie che si spostavano cariche di masserizie, e poi tanti soldati,  e poi bambini in lacrime e donne vestite di nero,  e poi vecchi stanchi e contadini  senza lavoro. Ad ogni scalpitio di cavalli, muli o asini, l’una o l’altra, o tutte e due ,correvano alla finestra, certe di vedere spuntare, oltre la curva, i loro innamorati. Non ricevettero mai una lettera. Solo una volta, un venditore di fibbie e bottoni  bussò alla loro porta e disse che aveva un messaggio da parte dei due giovani, conosciuti in una città di mare, che le due ragazze non avevano mai sentito nominare. Annina e Rosetta prepararono il latte di mandorle e lo offrirono al vecchio insieme a biscotti e taralli. Il venditore le rassicurò. I due giovani, riferì,  presto sarebbero tornati. Un sospiro fu la loro risposta. 
Appena l’uomo se ne fu andato, con le tasche piene di biscotti, Annina e Rosetta corsero a togliere dalla cassapanca in cui giacevano le lenzuola di lino per lavarle e stirarle di fresco, certe che, presto, le avrebbero usate per la loro prima notte di nozze. Era la fine dell’estate e, quell’anno, non ci fu autunno. Improvviso arrivò il primo nevischio e quasi non se ne accorsero, prese com’erano a rassettare e a sognare il giorno del matrimonio. Un giorno, sollevando la tenda di lino, si accorsero di un piccolo strappo, proprio nel punto in cui veniva sempre scostata per guardare fuori. 
“Dobbiamo rammendarlo” si dissero e sui loro volti si dipinse l’apprensione. La valle, però, sembrava più vicina, le vigne brillavano sotto una guazza d’argento e le casedde sfidavano le nubi con i loro pinnacoli. Era di buon auspicio e di nuovo sorrisero. Era arrivato il momento. Venne la primavera e di nuovo l’estate e alle due sorelle venne anche la voglia di mettersi in viaggio verso la città sconosciuta in cerca dei due giovani.
“E se poi arrivano e non ci trovano?” disse Annina.
“Giusto. E’ meglio aspettare” annuì Rosetta. Faceva caldo e i carri sollevavano nugoli di polvere che ricadeva ovunque. Il sorriso delle due donne andava, di giorno in giorno, spegnendosi. Piccole rughe si formavano ai lati delle bocche. Le pezze di lino, lavate e sbiancate, pronte ad essere ricamate non si ammucchiavano più sul tavolo da lavoro.  Non arrivava più gente, addirittura da paesi più lontani, ad affidare ricami. Annina e Rosetta, senza dirsi nulla, guardavano preoccupate le mani l’una dell’altra. Erano gonfie, le vene in rilievo, le dita avevano nodosità sconosciute che rallentavano l’abituale lavoro dell’ago. Una notte che pioveva a dirotto e la strada era diventata un fiume in piena, sembrò loro di udire bussare alla porta. Si alzarono e in un baleno corsero ad aprire la porta, investite da un turbine di pioggia che le inzuppò dalla testa ai piedi e le costrinse ad accendere il fuoco nel cuore della notte, avvolte nelle coperte, tremanti di freddo e di paura. Solo il vento e i fulmini avevano bussato alla porta e solo la pioggia le aveva toccate e penetrate. Annina e Rosetta non dormirono quella notte e si interrogarono mute. All’alba, quando ancora una pioggia che odorava di carbone e formava pozze melmose nei crateri della strada, scendeva implacabile, si decisero, senza dire una parola, ad aprire la cassapanca. Tolsero febbrilmente le lenzuola, i corpetti gialli con i lacci di seta, le scarpette di pezza ricamate a grandi girasoli, vecchie foto sbiadite, i nastri avvizziti della Cresima, alcune candele profumate, finalmente apparvero due vecchie scatole.  Presero ciascuna la propria scatola e insieme, nello stesso momento, l’aprirono. Le rose adagiate nelle scatole avevano perduto alcuni petali che, come rosse gocce di sangue, erano posati sui fazzoletti di pizzo. Accanto un bigliettino gualcito. Uno per Annina, uno per Rosetta. Parole dolci, tenere promesse. Una firma e una data. Quando le due sorelle lessero la data, le rughe agli angoli della bocca si fecero solchi mesti, crudeli. Dal giorno del mercato erano passati dieci anni.
“Dieci anni!” esclamarono. Senza dire altro riposero tutto con cura e  nello stesso ordine nelle scatole di legno. Chiusero il coperchio della cassapanca e vi si sedettero sopra. Le mani in grembo tremavano un poco, così come la tenda di lino, che il vento, infilandosi tra le fessure degli infissi di legno, sollevava. Un battito accelerato sembrò squarciare il loro petto. Cominciarono a piangere, silenziosamente. La pioggia, fuori, continuava a scendere,  non cessava più. Da quel giorno riposero per sempre i loro abiti della festa, i corpetti e gli scialli colorati e presero a vestirsi di nero. 
 
Per molto tempo le donne del paese si chiesero come mai, da un giorno all’altro, Annina e Rosetta  vestissero a lutto. Fecero mille congetture su lontani parenti morti in guerra oppure per penitenza oppure per  un voto di ringraziamento. Nessuno ebbe mai una risposta certa. E così per tutti diventarono Annina e Rosetta, le vedove sorelle.
 
 
 
                                          
 


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