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Aldo Leggieri: «Confesso che ho vissuto»

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

23
MAR
2012

 

Il vivere inquieto, gli studi e la voglia di sapere: un esponente culturale di spicco a Martina Franca ci parla di sé tra le innumerevoli esperienze che hanno contraddistinto la sua vita
 
Una giovinezza vissuta attimo dopo attimo che sferra ancora le sue immagine più belle come flash del passato, una vita scandita da innumerevoli studi mossi soltanto da una sete incontrollata di conoscenza e il desiderio di sostenere il proprio paese con una serie di iniziative e un’associazione di volontariato: si potrebbe sintetizzare così la figura di Aldo Leggieri, impossibile da identificare sotto un’unica veste. Alle prese con una babele di studi e interessi, che a oggi gli vantano titoli e prestigio, non conduce la sua vita in sordina, ma al contrario, preferisce dare libero sfoggio al suo pensiero che tout-court spazia da una questione all’altra, toccando campi del sapere ampi e spesso opposti, impreziositi dalla presenza di qualche citazione presa in prestito da qualche magnanima figura del pensiero libero più antico, sul quale reggere con nonchalance le più svariate argomentazioni. E se ciò non bastasse per fare un quadro della sua personalità, scoprite voi quale sia la veste più adatta da attribuirgli…
Dott. Leggieri cominciamo percorrendo a grandi linee la sua biografia e accennando alle tappe più importanti che l’hanno scandita.
«Come disse Pablo Neruda, “confesso che ho vissuto”. Ho la veneranda età di 36 anni e sono nato e vissuto a Martina fino agli anni del liceo scientifico. Mi sono iscritto alla facoltà di Giurisprudenza a Parma e  dopo una permanenza in Emilia Romagna, dovetti rientrare a Martina: ritorno che fu caratterizzato dalla necessità di trovare un lavoro che mi rendesse autonomo, e dalle prime collaborazioni con varie imprese del nostro territorio. Mi occupavo di risorse umane e nel frattempo a Lecce terminai anche gli studi in Scienze Politiche e Sociologia; tuttavia il mio iter universitario è proseguito con un master all’università Cattolica di Milano in Management d’imprese sociali e attualmente non è ancora concluso perché sono in tesi per Giurisprudenza all’Università di Bari. Sicuramente, stupita, mi chiederà il perché di tutti questi studi: vede, la passione per la lettura, la ricerca, il sapere, lo studio mi mantengono “vivo” e sintonizzato con la realtà.»
Attualmente lavora presso l’Asl di Taranto.
«Esatto. Tre anni fa vinsi un concorso pubblico in amministrazione e finalmente ebbi l’opportunità di lavorare nella mia città, pensi che non era mai successo prima. Cerco di dare il mio contributo in  termini di serietà e professionalità presso il Distretto socio-sanitario locale, si tratta di una dimensione nella quale mi trovo perfettamente a mio agio e con i miei colleghi formiamo una bella squadra. La medicina territoriale in futuro acquisterà sempre più rilevanza per l’utenza, tanto è vero che si sta andando a livello nazionale e regionale verso una sua valorizzazione aziendale e assistenziale.»  
È particolarmente impegnato sul fronte culturale: da dove nasce questo interesse?
«Diciamo che l’arte, le culture, la letteratura, il diritto, le scienze sociali ed economiche, l’antropologia, il teatro, il cinema, la musica “mi hanno sempre frequentato”; sia per storie di vita con persone in gamba con le quali ho condiviso, qui da noi e non solo, esperienze esaltanti, sia per una mia vocazione alla ricerca della verità, della conoscenza e della rielaborazione di “mondi nuovi”. Per dirne una il teatro è sempre stata la mia passione: ricordo un percorso formativo assai interessante organizzato nel 2003 dalla scuola russa di Jurij Alshitz presso la fondazione “Immemoriale”, istituita nel Salento in omaggio al grande e controverso attore pugliese Carmelo Bene. Assieme ad altri giovani vissi dei giorni incredibili presso il castello di Otranto, luogo che ci aveva accolto per introdurci nel “pluriverso” avanguardistico del maestro. Ricordo anche, qualche anno prima, uno stage con il Crest di Taranto presso il chiostro di san Domenico in città: mettemmo in scena il “Titus” di Shakespeare. Insomma, se avessi continuato a vivere con costanza il mondo del teatro, probabilmente la mia vita avrebbe preso altre strade.»
La partecipazione attiva nell’ambito culturale il più delle volte è mossa da meccanismi che si innestano con una assidua lettura, tanta voglia di informazione e di sapere: lei da l’impressione di una persona profondamente radicata in questo mondo.
«Ha ragione. L’anno scorso la Cisl Puglia, l’organizzazione sindacale di cui faccio parte, mi spedì a Firenze al Centro Studi nazionale per un corso “lungo” per nuovi formatori. Lì, precisamente a Fiesole, tra i colli, in una location straordinaria, ho condiviso una delle pagine più belle della mia vita sociale e professionale; interagendo con professori e intellettuali delle università di Torino, Napoli, Roma, Milano, con dirigenti sindacali di primo livello e di varie categorie, ho assorbito “il sentire sociale”. Abbiamo visitato vari campi innovativi della formazione, da quella generativa a quella cooperativa, siamo stati alla scuola di Barbiana di don Milani, lì in zona nel Mugello, un luogo mitico, e grazie al dipartimento della Democrazia economica, abbiamo partecipato ad una retrospettiva su alcuni giuristi ed economisti che hanno fatto grande il nostro Paese: eravamo rintanati per settimane in questo vecchio casolare, non facendo altro che studiare e confrontarci, insomma un’esperienza meravigliosa. Così, una volta terminato il percorso in Toscana, mi sono detto: perché non trasferire questo background nella mia città? Fu così che germogliò il desiderio di fare volontariato e di formare un gruppo con una serie di professionisti stimati dalla città. Da tutto questo nasce l’associazione di volontariato “Cultura per il progresso” che si propone di fare qualcosa di buono per la comunità e di far tornare le persone a dedicarsi attivamente alla vita e alle dinamiche di città.»
Che tipo di iniziative ha promosso questa associazione?
«Abbiamo cominciato a promuovere alcuni convegni medico-scientifici intorno al giugno dell’anno scorso e abbiamo organizzato una giornata di volontariato di grande opportunità per visite mediche gratuite alla popolazione. A dicembre abbiamo allestito due splendide mostre sul presepe d ‘autore, da parte di artisti provenienti da Torre Annunziata e Grottaglie e a fine gennaio 2012 sono partiti i corsi di formazione per i ragazzi dei Licei e gli Istituti tecnici superiori di città,  in merito alle attività extra-scolastiche che studenti di 3° 4° e 5° anno sono tenuti a seguire sulla base di programmi ministeriali per il rilascio dei crediti formativi, utili alla valutazione finale dell’anno scolastico. Per fare ciò abbiamo messo su un corpo docenti di alta qualità e di comprovata esperienza professionale. Ci tengo a sottolineare come tutto questo sia stato fatto senza nessun tipo di contributi economici pubblici o privati, ma soltanto grazie alle idee e alla buona volontà di persone perbene che hanno tra l’altro sottratto del tempo per le loro attività professionali in nome di un impegno sincero e genuino per la comunità. Insomma, volontariato vero.»
L’associazione quest’anno si propone di avvicinarsi sempre di più ai giovani, che idea ha delle nuove generazioni?
«Come le accennavo prima, c’è bisogno di ricominciare a dialogare con la nostra comunità nella sua carne viva, nel suo tessuto sociale, nelle sue articolazioni e le nuovissime generazioni rappresentano il caleidoscopio da dove si sprigioneranno le energie del domani. I corsi sono parecchio innovativi, si spazia dalla bioetica, agli stili di vita, dalla psicologia all’inglese, dalla letteratura alla teologia e scienza, dal giornalismo al movimento musicale, dal primo soccorso all’educazione sanitaria e all’igiene ambientale. Senza dubbio, per l’anno prossimo organizzeremo il percorso in modo più organico e ampio, coinvolgendo tutte le scuole che insistono sul nostro territorio. Il nostro rimane un tentativo di aprire delle finestre, delle opportunità. Penso che in futuro vada fatto un vero e proprio lavoro di analisi e di contesto molto approfondito assieme agli operatori di settore per capire chi sono questi ragazzi, cosa pensano, cosa vogliono dalla vita e cosa la loro città può offrire per le loro necessità.»
Lei invece che tipo di ragazzo è stato?
«Ho tanti straordinari ricordi della mia adolescenza: la passione per lo sport, il calcio, la mia maglia numero 10, le motociclette, la comitiva di amici che si riuniva, come si diceva allora “dietro la villa”, il vivere inquieto che mi ha caratterizzato sin da bambino. Ero un ribelle, ma felice. L’affetto della famiglia, i viaggi in camper attraversando l’Europa: sono tutte sequenze della mia vita che niente e nessuno potrà mai scalfire.»
In vista della situazione piuttosto ardente di Martina, secondo lei qual è il cancro che ha colpito maggiormente la nostra città e come si potrebbe curarlo?
«Ha toccato un tasto davvero dolente. Diciamo che la nostra città non se la passa bene. Come cittadino noto che si è esaurita da molto tempo ormai, quell’atteggiamento dinamico e laborioso della gente martinese. In effetti la crisi economica mondiale, europea e nazionale sta generando delle spirali drammatiche, sia sotto il profilo industriale che sotto il profilo sociale e dei valori. Molti imprese hanno delocalizzato le loro sedi produttive e questo sarebbe anche comprensibile tecnicamente, ma bisognerebbe ripudiare queste tendenze, sulla base di interventi più incisivi che possano arginare queste fughe imprenditoriali. La città sconta dei ritardi quasi endemici a livello infrastrutturale, e di “policy pubbliche”, e addirittura di mancanza di analisi e dibattito. Bisognerebbe ripartire con uno sforzo maggiore, di cui anche la politica  deve farsi carico, c’è bisogno di aria nuova, fresca, di positività e ottimismo. La nostra comunità deve tornare a mettersi in discussione: in questi casi la via maestra è sempre quella del dialogo e del confronto. Il cittadino ha il dovere e tutto il diritto di riappropriarsi della sua funzione e attraverso la sua partecipazione può  modificare lo status quo e riportare la città al suo sviluppo al suo ruolo di capitale della Valle D’Itria e di perla del sud della Puglia.»
Ha delle prospettive future fiduciose?
«Certo! In definitiva penso che la quella piccola borghesia che probabilmente ha smesso di occuparsi dei fatti della città, debba recuperare quella funzione, intrecciando relazioni, legami reciproci. In sintesi la politica con la P maiuscola ha bisogno di riappropriarsi della sua funzione pedagogica per orientare il popolo verso orizzonti migliori. Scriveva Edgar Quintet, storico francese dell’Ottocento: “la borghesia senza il popolo, è la testa senza il braccio. Il popolo senza borghesia è la forza senza la luce”. Spero davvero che ritorni anche un bel po’ di classe operaia dal paradiso e si misuri e partecipi in modo forte e decisivo. Mi ritrovo pienamente nella visone riformista che aveva Federico Caffè quando diceva che il riformista “preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni a una sempre rinviata trasformazione radicale del sistema”. Ci vuole responsabilità, specie adesso che l’amministrazione dell’Ente locale dovrà affrontare qualche nodo al pettine come il federalismo municipale, quello demaniale, l’organizzazione del lavoro e della produttività, per rendere i servizi pubblici efficienti e degni di una città del Mezzogiorno che possa trovarsi a cavalcare il ventunesimo secolo iper-tecnologico in modo adeguato.»


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