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Parole che contano

Pubblicato da: Categoria: CULTURA

7
GIU
2013
Accedere al sapere, guardare il mondo, scrutare il dolore, esigere la verità. Le quattro rotte che abbiamo scelto per i lettori di questa settimana.
 
Proponiamo un passaggio, sempre a tema, di Orham Pamuk, premio Nobel 2006 per la letteratura, nato il 7 giugno 1952 a Istanbul. E’ il nostro modo di augurare a  Pamuk buon compleanno e al numero di lettori di moltiplicarsi.
“Talvolta cerco di immaginare, uno a uno, una moltitudine di lettori appartati negli angoli delle loro case, accoccolati nelle loro poltrone, nell’ambiente della loro vita di tutti i giorni…Tutti questi lettori, al pari dello scrittore stesso, usando la fantasia, cercano di mettersi al posto di un altro.” da “La valigia di mio padre” – ORHAN PAMUK
 
NON E’ UN MONDO PER VECCHI
Montaigne in relazione al rapporto insegnante/discente, il primo depositario del sapere, il secondo mosso dal desiderio di apprendere, affermava che è meglio una “testa ben fatta” che una “testa ben piena”, alludendo alla necessità di un approccio critico al sapere. E’ proprio da questa tesi che parte l’ultimo libro dell’originale epistemologo Michel Serres,  “Non è un mondo per vecchi – Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere” (Bollati Boringhieri), dove si affronta il rapporto intergenerazionale alla luce delle tecnologie digitali, con ampi spazi dedicati alla riflessione sulla trasmissione del sapere e sull’apprendimento oggi. L’urgenza educativa contemporanea, sostiene Serres, è quella di confrontarsi con il sapere liquido, diffuso,  contenuto nelle nuove tecnologie digitali che sconvolgono il quadro antropologico finora noto. Virtualità, connettività, universale e libero accesso alle fonti di informazione stanno riplasmando le facoltà cognitive dei ragazzi e dislocando diversamente il sapere. Non è più fuori, remoto, ingabbiato, ordinato, spesso respingente; adesso sta tutto in tasca, a portata di mano, senza mediazione. Mentre i grandi mediatori, in primis la scuola, ma anche la politica e la società dello spettacolo, “si ostinano a brillare “come stelle morte da tempo, ignare della propria fine” L’ultraottantenne Michel Serres registra sereno i cambiamenti in atto, non trema dinanzi al crollo di gerarchie e privilegi secolari, anzi rimane incantato dai suoi effetti e si schiera  dalla parte dei ragazzi. Li chiama Pollicina e Pollicino, alludendo sia alla fiaba ma anche all’abilità di scrivere sui supporti mobili servendosi del pollice. Ora questi ragazzi, accendendo un computer, hanno sia una testa ben piena, per l’enorme riserva di informazioni a cui possono attingere, ma anche una testa ben fatta, per il surplus di intelligenza e velocità che le connessioni permettono, una testa capace di straordinaria inventiva. Serres  ci informa che l’era che spezza le catene è iniziata e lui le porge lieto il suo saluto.
 
GEOGRAFIA COMMOSSA DELL’ITALIA INTERNA
Franco Arminio è uno scrittore e poeta nato in Irpinia, viaggia parecchio: osserva, ascolta e poi racconta di paesi desolati. E’ l’inventore della paesologia, un mix di poesia e geografia. Da pochi giorni è uscito il suo ultimo libro “Geografia commossa dell’Italia interna” (Bruno Mondadori) , un libro per il quale ogni commento sarebbe superfluo e romperebbe quello straordinario incantesimo che sommuove i lettori di Arminio. Nessun commento, quindi, proponiamo un passaggio: “Il mio lavoro è rivolto ai percettivi più che agli opinionisti. Nel mondo dominato dall’attualità, nelle macerie della modernità e dell’autismo corale, la paesologia propone un semplice esercizio per disintossicarsi dalle opinioni, per dare attenzione alle cose usuali, alle cose qualsiasi che nessuno guarda perché ovvie. È un’esperienza per chi ama guardare il mondo, piuttosto che giudicarlo: osservare i luoghi e i modi di abitarli senza ansie di denunce o compiacimento.
Scrivere con la luce che c’è fuori e con il buio che abbiamo dentro. Esercizi di etnologia soggettiva per riattivare la percezione: l’idea guida è che dove si pensa che non c’è niente in realtà c’è sempre qualcosa.
La paesologia va dietro le meraviglie del mondo esterno: scoprire come ci si sente in un paese sapendo che ogni paese è diverso da tutti gli altri, scoprire che il nostro corpo è un estraneo, servire la poesia piuttosto che servirsene, sentire che la vita non è tensione verso un fine trascendente, ma tempo che passa e ci chiama a ritrovarci assieme ad altri gioiosamente, pur sapendo che ognuno è dentro un suo esilio implacabile e ogni lietezza è provvisoria…… Il mio è un cercare casa, sapere che non ne ho una, la casa la cerco in un abbraccio, in una frase….Esco per il sole, per vedere la morte che confeziona il suo vestito sui corpi degli anziani, vedere le panchine, le merendine dentro i bar, la scena del mondo di adesso, quelli che nel bar raschiano i numeri per diventare ricchi.”
 
IL CORPO DOCILE
“Il corpo docile” (Einaudi Stile Libero) è il terzo romanzo di Rosella Pastorino, un grumo di suoni e silenzi, di odori e umori, di esperienze sensoriali molto dense, rese con una scrittura sicura e nitida, una scrittura che rende realisticamente i sentimenti, in una struttura narrativa in cui presente e passato si alternano nei capitoli, collegati da analogie, sensazioni, sinestesie. Lo sfondo è il dramma del carcere femminile di Rebibbia. Qui è nata Milena: sua madre era in cella per aver tentato di uccidere il marito di cui era gelosa. Ora Milena e' una ventenne che si mantiene scrivendo tesi di laurea. Frequenta ancora Rebibbia, fa parte di una cooperativa di volontari che si occupano dei bambini nati e cresciuti dietro le sbarre, li portano a pranzo fuori e in gita. Milena sta da sempre con Eugenio, anche lui figlio di una carcerata. Il loro e' un rapporto di compenetrazione, sono tutt’uno sia fisicamente sia mentalmente; quello che manca e' il brivido, l’emozione. Milena conosce Lou Rizzi, un giornalista svagato che più  che ascoltarla vorrebbe andare a letto con lei. Poi succede che Marlonbrando, il bambino a cui lei e’ più legata, scappi dal carcere con la madre e che i due le chiedano aiuto. 
Attorno alla vicenda la Pastorino scava decine di piccole prigioni del dolore: compleanni dimenticati, parole non dette, terrori, errori, affetti strappati, come l’episodio della neve che Milena bambina mette in tasca per portarla  alla mamma in carcere. Il corpo di Milena è rigido: ha eretto barriere istintive di difesa come le nausee anoressiche o i silenzi impacciati e, soprattutto, il cuore sensibilissimo ma chiuso a chiave, aspetto questo che la scrittrice ha reso attraverso il gioco che Milena ed Eugenio, suo compagno di cella fanno, un gioco che ripeteranno anche una volta usciti dal carcere: rinchiudersi a vicenda in una stanza della casa.
 
POLITICA E MENZOGNA
Siamo pronti alla verità? O piuttosto ci risulta più comodo assecondare una politica  che soddisfi le nostre attese, come in uno spot, una politica d’intrattenimento, seduttiva e  ingannatrice? Sembra ormai scontata quella coppia di parole che, legate da una congiunzione copulativa, rafforzano la convinzione che sia proprio la menzogna il terreno sul quale si è edificata la politica.  Da qui parte l’ultimo saggio di Luciano Violante, “Politica e menzogna” (Einaudi), un testo che con un linguaggio diretto, argomentazioni lucide e incontrovertibili, provoca nel lettore, ed elettore, quindi cittadino,  un certo disagio, quel disagio che si avverte quando si viene colpiti nei punti deboli del nostro agire o pensare. Sempre più spesso, infatti, accade che i cittadini tollerano la menzogna, i teatrini,  la verosimiglianza delle proposte politiche, perché sperano nella tolleranza verso le proprie menzogne. In questo modo la società diventa  complice della cattiva politica. Le manifestazioni di protesta, reali o virtuali, non sono che altrettante messe in scena attraverso cui passano, in veste diversa, cattive abitudini e convinzioni. I cittadini devono sconfiggere la menzogna e i suoi corollari, chiedendo ai politici verità e trasparenza e togliendo la fiducia quando vengono meno agli impegni. In questo libro, che consigliamo caldamente di leggere, a tutti, politici e cittadini, ci è sembrato di scorgere lo stesso messaggio presente nel reportage “Verità e politica”, scritto da Anne Arendt nel 1961 in occasione del processo contro Adolf Eichmann, nel quale l’autrice metteva a nudo l’inclinazione propria del totalitarismo a trascurare il “dato di fatto” e a fabbricare la verità sostituendo alla realtà un mondo fittizio, fatto di menzogne sistematiche. “Anche oggi, in democrazia - sostiene il professor Violante - domina la menzogna ma solo dove è tollerata, per cui bisogna passare a un sistema basato sulla fiducia e sulla  responsabilità che sempre e comunque esigono  verità."  Domani,  8 giugno, alle ore 18.00  nella Sala degli Uccelli del Palazzo Ducale, sarà Franco Cassano che, dialogando con l’autore, presenterà “Politica e menzogna”.
 


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