L’attrice romana in toccata e fuga a Martina Franca ci racconta gioie, dolori e i trucchi per trasformare una barzelletta in arte recitativa: studiare danza classica per vent’anni, per esempio, e sognare un ruolo drammatico
Prendete una barzelletta, una qualsiasi, anche la più comune. Fatela raccontare a qualcuno, uno a caso. Forse farà ridere, forse poteva essere raccontata meglio, forse no. Poi, quella stessa storiella fatela raccontare a una romana dai capelli rossi che risponde al nome di Valentina Persia. Bene, quella barzelletta diventerà in men che non si dica una delle storie più esilaranti che voi abbiate mai ascoltato. E già, perché secondo Valentina, che per anni ci ha fatto sbellicare dalle risate in “La sai l’ultima”, per poter fare una buona battuta non bastano le parole, e non serve ricercatezza nel testo. Affinché faccia ridere occorre una certa gestualità, un’espressività fuori dal comune e una padronanza del corpo che lei ha conquistato con oltre vent’anni di danza classica.
È così che anche una semplice barzelletta, diventa arte recitativa. E lei, di quest’arte ne ha da vendere. Ma guai a ingabbiarla in ruoli comici. L’attrice, che per anni ha lavorato in teatro, ha saputo offrire un’altra versione di sé in diverse fiction tv, e sogna di potersi cimentare un giorno in un ruolo altamente drammatico.
Dopo aver intrattenuto il pubblico martinese alla sedicesima edizione del Festival del Cabaret, Valentina Persia ci racconta quali sono le sue ambizioni, e indovinate un po’? Si ride anche durante l’intervista, perché come ci racconta, una risata per lei è il modo migliore per affrontare la vita.
L’abbiamo vista nei giorni scorsi a Martina Franca, ospite del Festival del Cabaret. Era la prima volta che veniva in Puglia?
«In Puglia no, ma a Martina Franca sì, e l’ho trovata meravigliosa. Ne sono rimasta piacevolmente colpita, soprattutto per la splendida accoglienza e per il calore della gente. Ho avuto anche qui la conferma della straordinaria ospitalità che la Puglia offre ai suoi visitatori. Mi è dispiaciuto solo non poterla scoprire più a fondo, poiché non sono potuta rimanere molto. Ma ciò che ho visto mi è davvero piaciuto.»
Ho letto nella Sua biografia che Lei non nasce come attrice e comica, bensì come ballerina. A cosa si deve questo cambio di rotta?
«A mia madre. È una cuoca, quindi ho dovuto scegliere: danzare o mangiare. E a me piace troppo mangiare. Sono un’amante dei piaceri della tavola e con i manicaretti di mia madre non sarebbe potuto essere diversamente. La vita della ballerina, invece, ti porta a fare una serie di sacrifici che non sentivo di poter più compiere. Ho studiato danza classica per ben ventiquattro anni, una vita praticamente, e alla fine si è avverato ciò che un noto e bravissimo coreografo col quale ho avuto l’onore di lavorare, mi aveva predetto. Dovete sapere che già allora mi divertivo a fare la parodia dei più famosi balletti di repertorio e tendevo ad animare la sala prove e a divertire gli altri ballerini con le mie battute e i miei giochi; per questo lui una volta mi disse: “Valentina, tu avrai un futuro come attrice comica”. E così è stato. L’ho rincontrato di recente e gli ho detto che ha avuto ragione.»
Il balletto, in ogni caso, l’ha molto aiutata anche nell’avere consapevolezza scenica del proprio corpo, suppongo.
«Assolutamente. Io ritengo che ideare delle battute divertenti e sapersi muovere su un palco siano due aspetti complementari nel mio mestiere. Quando ho lasciato la danza temevo di aver buttato via ventiquattro anni della mia vita, e invece devo ammettere che mi è servito molto in quello che è diventato il mio mestiere. Alla fine la danza non l’ho persa, la ritrovo sempre, in ogni cosa che faccio.»
L’esordio televisivo lo si deve invece a “La sai l’ultima”. Cosa ricorda di quell’esperienza che l’ha lanciata nello show business?
«Beh, ho un ricordo meraviglioso di quel programma. Devo premettere, però, che non ero del tutto profana all’arte dell’intrattenimento, poiché già prima di approdare a “La sai l’ultima” facevo teatro. Quando mi è stato consigliato di partecipare al programma, ero un po’ scettica, temevo che il mondo televisivo non facesse per me, e che ci fossero già regole ben definite, che ci fosse dietro un tentativo di pilotaggio. E invece, mi sono completamente ricreduta. Ho preso parte a una puntata e l’ho vinta; poi a un’altra e ho vinto anche quella… sennonché alla fine gli autori avranno pensato: “Ok, invece di pagare le sue apparizioni di volta in volta, facciamole direttamente un contratto come ospite fisso!”. Ci avranno guadagnato anche loro, immagino (ride, ndr). E poi, in quel periodo mancavano un po’ le donne nel campo della comicità, ce n’erano poche. Era un mondo prevalentemente maschile, perché per parlare in un certo modo serve anche la giusta maschera, la giusta presenza, e forse l’hanno trovata in me.»
Infatti, se mi è permesso dirlo, Lei ha un tipo di umorismo molto maschile, nel senso che riesce a utilizzare lo stesso registro degli uomini pur mantenendo intatta la Sua femminilità.
«E credo che questa sia una grande conquista. Ci tenevo a essere divertente, ma mai volgare. E spero di esserci riuscita.»
Indubbiamente. E proprio questa sua simpatia prorompente Le ha fatto ottenere diversi riconoscimenti. Ricordo, a tal proposito, che ha vinto il Premio Simpatia nel 2003 e il Premio Collalti per i due anni successivi. Una risata come metafora della vita, quindi?
«Decisamente, è proprio così. Sapete quella cosa che si dice degli attori comici, quella secondo cui ogni artista ha una vena triste? Beh, a me questa affermazione non appartiene per nulla. Nella mia vita, come in quella di tutti, ci sono stati dei momenti più difficili, non è sempre stato tutto bello e semplice. Ho avuto, insomma, alti e bassi, così come tante altre persone. Però ho cercato di affrontare tutto con il sorriso sulle labbra. Quando qualcosa non andava per il verso giusto, io trovavo sempre il modo di sdrammatizzare. E non mi sono certo mancate le difficoltà.»
Quali sono le cose che La fanno ridere?
«Quelle più semplici: uno scivolone su una buccia di banana, per esempio; o il sorriso di un bambino. Davvero, le piccole cose quotidiane mi fanno sorridere e mi divertono. Ma anche uno sketch di un bravo comico, o di uno che invece non ci sa proprio fare – ma quello mi fa ridere per il motivo opposto. Ecco, non importa quali siano i motivi, purché sia una risata di cuore, vera, sincera. Non rido mai per finta o per cortesia. Se non mi diverto, preferisco non ridere affatto.»
E cosa invece La rattrista?
«Mi rattrista vedere in un telegiornale un bambino del terzo mondo che muore di fame e che vive tra la miseria e le malattie, e, di contro, essere circondata di gente che fa a gara per avere l’ultimo modello di cellulare. Mi rattrista la disparità che c’è nel mondo, fra la gente. E poi, mi innervosisce fortemente apprendere che esistono delle persone che lavorano nelle case di riposo, ma invece di prendersi cura degli anziani e offrire loro l’aiuto di cui hanno bisogno, pensano bene di prenderli a schiaffi e di impossessarsi dei loro averi. Ecco, vedere esseri orribili che maltrattano individui indifesi mi fa rabbrividire, mi fa infuriare. In questi casi, per la gente senza scrupoli, non mi vergogno ad ammettere che sarei più che favorevole alla pena di morte. La preferisco di gran lunga a un’assenza di pena. Almeno come misura preventiva. Sapere che si rischia di pagare con la propria vita, forse indurrebbe questi individui privi di morale a pensarci più volte prima di compiere gesti efferati. La certezza, invece, di non essere puniti in alcun modo, se non con poche settimane di carcere, dà la libertà a coloro che hanno impiantato nel cervello un seme di demenza e di cattiveria, a fare ciò che vogliono, senza pensarci su. E questo non va affatto bene.»
Tornando alla Sua carriera, Lei ha girato diversi film e avuto ruoli in alcune fiction televisive, ma quasi tutte sul genere della commedia. Se, invece, Le proponessero un film drammatico?
«Bacerei in fronte il regista che me lo proporrebbe, perché per me sarebbe un ritorno alle origini. Fra i ruoli che ho interpretato, quello di Mimì in “L’onore e il rispetto – parte seconda” è stato il più drammatico, quello che mi ha dato la possibilità di far conoscere la pubblico un’altra Valentina. In Italia, purtroppo, c’è quella maledetta tendenza a etichettare gli attori e a ingabbiarli in ruoli prestabiliti: se sei brava a far ridere, farai solo ridere. Non è così. Un attore vive di cambiamenti e ambisce a interpretare le più disparate tipologie di personaggi. Io sogno di fare, nella mia carriera di attrice, due cose: la commedia all’italiana, quella classica, alla Monica Vitti e Anna Magnani (due donne che adoro e ammiro tantissimo), per intenderci; e un bel film drammatico, per sorprendere un po’ il pubblico. Voglio mettermi alla prova. Prendiamo ad esempio il caso di Lino Banfi: ha passato una vita fra “Madonna dell’Incoroneta” e “Porca puttena” e invece, in anni più recenti, ha dato dimostrazione di essere un ottimo attore, anche in ruoli più commoventi e sentimentali. Ecco, spero di poterlo fare anche io e di non aspettare così tanto.»
Di recente ha portato in teatro lo spettacolo “Se quaranta mi dà tanto”. Come vive i suoi anta? Un bilancio?
«Li vivo benissimo. A quarant’anni tutto ciò che era insoluto lo si taglia via. Via i rami secchi. Tutto ciò che a trentanove ci si poteva permettere di rimandare per occuparsene in seguito, a quaranta non lo si fa più. O lo si porta a termine o lo si abbandona. Si eliminano tutte le sovrastrutture. Un bilancio? Non facciamolo fare alla bilancia! Scherzi a parte, non posso dire se sia un bilancio positivo o negativo: è il bilancio di una vita che ha avuto gioie e dolori, com’è giusto che sia.»
Nei Suoi sketch si interroga anche sul Suo essere single. Alla fine lo ha capito se è per scelta o per forza?
«È per scelta, ma degli altri (ride, ndr).»
Non la bevo, non è possibile. Lei è una donna bellissima.
«Diciamo che sono single perché così sono andate le cose. Ho avuto delle parentesi piuttosto dolorose nella mia vita, poiché ho subìto un abbandono. Ho perso, purtroppo, il mio compagno, che è morto prematuramente; il destino ha fatto il suo corso e mi ha portato dove sono ora. Ho avuto l’amore, l’ho avuto per quattro splendidi anni: ho amato tantissimo e sono stata amata, e sono contenta di questo. Lui era una persona fantastica che adorava il mio modo di fare e rideva delle mie battute; e soprattutto gli piaceva che io facessi sorridere la gente. Quindi, continuo con il mio lavoro e lo faccio pensando sempre a lui, lo faccio in suo onore. Ci sono persone che impiegano una vita a dispensare il bene che hanno dentro: lui lo ha fatto tutto in una volta. E io ho avuto la fortuna di incrociare il suo cammino e di condividere una parte della mia vita con lui.»
Sono parole molto belle, le Sue. Valentina, sta per finire l’avventura con Paolo Limiti, che l’ha vista impegnata con “E…state con noi”. Cos’altro l’aspetta?
«Vi piacerebbe saperlo… ma io non ve lo dico. No, no. Vedrete!»
E qualcosa mi dice che ne vedremo delle belle.