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Nel santuario dei delfini

Pubblicato da: Categoria: LA MIA TAZZA VEGANA

26
OTT
2017

Dopo il “suicidio” del delfino che addestrava, il più famoso ricercatore in materia ha cambiato radicalmente vita e la sua missione ora è difendere i cetacei. E’ stato ospitato a Taranto per far conoscere meglio questi straordinari mammiferi


Culla della Magna Grecia, Taranto è spesso ricordata per i suoi disastri ambientali e, in tal modo, il suo mare, il suo patrimonio archeologico e la sua voglia di riscatto sociale, passano in secondo piano.
Ma, questa volta, a guardare nella profondità del suo mare ha provveduto un noto premio Oscar, Richard O’Barry, il più famoso ricercatore sulla vita dei delfini, che è stato in Puglia per studiare, con i ricercatori della Jonian Dolphin Conservation, le colonie stanziali di delfini presenti nel Golfo di Taranto.
Sono state effettuate cinque uscite in mare a bordo dei due catamarani da ricerca scientifica della JDC e sono state organizzate anche attività di sensibilizzazione della cittadinanza sulla necessità di tutelare i cetacei e tutte le forme di vita marine, attraverso due proiezioni, a Taranto e Bari, del documentario “The Cove” sul massacro dei delfini in Giappone e un dibattito pubblico sul tema “Golfo di Taranto e santuario dei cetacei”.
La storia di Richard O’Barry è raccontata in “The Cove”, straordinario documentario vincitore del premio Oscar nel 2010. Il ricercatore ha dedicato tutta la sua vita ai delfini, ma all’inizio in modo diverso. Negli anni ’60, infatti, li catturava e addestrava; era l’addestratore di Flipper, il delfino protagonista di una serie televisiva americana che fece nascere il business dei delfinari, permettendo di vedere i delfini dal vivo, ma rinchiudendoli in spazi ristretti. A quel tempo O’Barry non si curava dei risvolti etici del suo lavoro. Viveva nel set del telefilm, e tutto il giorno era a contatto con Flipper, o meglio con i cinque delfini-attori che si alternavano nel ruolo. Un giorno Kathy, il delfino femmina che interpretava Flipper, si inabissò davanti ai suoi occhi e smise di respirare. O’Barry per raccontarlo utilizzò la parola “suicidio”: era ciò che aveva fatto l’animale, essendo i delfini capaci di smettere volontariamente di respirare. Questo fu il momento della svolta, una nuova fase nella vita di O’Barry, il quale abbandonò il suo lavoro, dedicando gran parte della sua vita  alla protezione dei delfini: comprese che catturare animali intelligenti e costringerli a eseguire giochi per gli uomini fosse eticamente sbagliato.
I delfini sono mammiferi dotati di un’intelligenza straordinaria, sono animali sociali che vivono in gruppo e che percorrono decine di miglia tutti i giorni. Aver costretto Kathy a vivere in minuscole vasche l’aveva portata al suicidio.
Nel 1970 fonda il “Dolphin Project”, il cui obiettivo è impedire la cattura di delfini in libertà e, soprattutto, far capire alla gente che dietro ai loro suoni emessi e ai giochi che apparentemente esprimono felicità, si nascondono dolore e sofferenza. Divenne, così, nemico  pubblico numero uno di delfinari e flotte di pescatori. In particolar modo, la battaglia più importante fu quella in Giappone. Ogni anno in Giappone, flotte di pescatori catturano migliaia di delfini da mandare nei delfinari. Quelli scartati vengono uccisi in una vera e propria mattanza per essere destinati al mercato alimentare tradizionale giapponese.
Sino ad allora nessuno ero stato capace di documentare il massacro che avveniva in una baia protetta e segreta. Finchè O’Barry, assieme al regista e fotografo naturalista Louie Psihoyos riescono a mostrare al mondo intero le immagini terrificanti del crimine ecologico che sta dietro alla musica, acrobazie e finti sorrisi dei delfinari. Realizzano “The Cove” il documentario che gli farà vincere il premio Oscar nel 2010.
Un premio Oscar nella città di Taranto mette in evidenza quanto il nostro mare sia davvero speciale e quanto meriti attenzione e protezione, comprese le specie animali che lo abitano.

 



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