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IL TORNEO DI TENNIS

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

12
GEN
2017
Quando Vincenzo uscì dal circolo tennis, poco prima della mezzanotte, fu investito dall’aria pungente della notte e dalle prime gocce di pioggia. Alzò il bavero del giaccone, affondò le mani nelle tasche e si avviò velocemente verso casa. 
Aperta la porta,trovò la moglie che lo stava aspettando ancora alzata e pensò subito che qualcosa dovesse essere successa,ma lui, quando andava al circolo a giocare a tennis e poisi fermavaper una partitina a carte, il telefonino lo spegneva sempre perché non volevaessere disturbato. Figurarsi in quella settimana che si stava preparando per il campionato provinciale.
«Perché sei ancora alzata?» Chiese. Comunque certo che qualcosa fosse nell’aria.
«Ha telefonato Rita, mia sorella». Rispose la moglie.
«Be’, allora, che voleva?»
«Mi ha detto che Alvaro ha avuto un ictuse i dottori gli hanno dato quarantotto ore di vita».
Detto ciò,si sedette, appoggiò i gomiti sul tavolo,si coprì il viso con le mani e cominciò a singhiozzare. 
Vincenzo invece era stato uomo, rimase calmo e in piedi ma non poté fare a meno di tirareun respiro di sollievo al pensieroche non fosse successo nientea Guido, il suo compagno di doppioche quella sera nonsi era vistoal circolo.
La conclusione era stata che se volevano vedere ancora vivo il cognato, insomma, vivo…, dovevano affrettarsi e partire subito.
«Subito, adesso, di notte? Meglio domani. A mente fredda si ragiona meglio». Rispose Vincenzo, dimenticando che la mezzanotte era già passata da un pezzo.
Sapeva che i cognati risiedevano in Sicilia, ma dove non se lo ricordava e allora chiese:
«Ma dove abitano di preciso, ad Acireale?»
«No. A Monreale». Rispose la moglie, scostando per un attimo le mani dal viso e subito dopo riprendendo a gemere.
Acireale o Monreale, che differenza faceva? Sempre in Sicilia si trovavano. E siccome la lagna della moglie non gli permetteva di concentrarsi, si avvicinò e le mise una mano sulla spalla ma lei, appena si sentì sfiorare, prese a singhiozzare ancora più fortee al pianto aggiunseanche delle convulsioni sussultorie.
Il marito si strinse nelle spalle, non sapeva cosa fare e d’altronde l’Alvaro l’aveva visto poche volte, era poco più di un estraneo e forse avrebbe fatto fatica anche a riconoscerlo.
«Al massimo, quarantotto ore di vita, gli restano». Continuava a piagnucolare la moglie, mentre Vincenzostava già con il pensiero rivolto altrove, e più precisamente al campionato provinciale di singolare e doppio maschile che doveva iniziare di lì a sette giorni e che lui non ci avrebbe rinunciato per nessuna ragione al mondo. Maadesso, se le cose stavano così…se i dottori, che erano dottori, avevano dato al cognatoquarantotto ore di vita, significava che la sua partecipazione al torneo poteva essere compromessa, in forse, in bilico.
Erano queste le preoccupazioni di Vincenzo, mentre la moglie non la smetteva di piagnucolare, sobbalzaree tirare su col naso.
«Andiamo in macchina o in treno?» Ma era inutile chiederloa Faustina, che intanto aveva smesso di lacrimare mainiziato a fissare il vuoto e con la mente era già a Monreale.
La macchina non doveva tener conto di orari, ritardi, coincidenze e compagnia bella, quindi:
«Macchina», decise allora Vincenzo.
«Basta che andiamo». Rispose la moglie, uscendo dal vuoto e rientrandoci subito dopo.
«Maprima devo farlacontrollare e cambiare l’olio» Aggiunse Vincenzo.
«Basta che andiamo», replicò Faustina.
Mentre la moglie era rimastain cucinae continuavaa piagnucolare, Vincenzoera andato a letto e si era messo a fare un po’ di calcoli. 
Quanto ci voleva per andare in Sicilia? Ma poi, questa Monreale,in quale parte della Sicilia si trovava? Comunque sia, un giorno di viaggio doveva bastare, anzi, erapiù che sufficiente. E se al cognato avevano dato due giorni di vita, avendo avuto l’ictus domenica,stando a quello che dicevano i medici, martedì doveva essere bello che morto, quindi, mercoledì o giovedì condoglianze efunerali; venerdì saluti e subito rientro. Così sabato, già di ritorno,avrebbe potuto farsi vedere al circolotennis e assistere alla compilazione dei tabelloni, sia del singolaresiadi doppio e domenicamattina iniziare a giocare.
Riuscì a dormicchiare sino alle sette del mattino e alle otto era già lì, davanti alla saracinesca ancora chiusa dell’officina che aspettava il meccanico per far cambiare l’olio alla macchina.
«Torna fra due ore e la trovi pronta». Gli rispose il meccanico, quando Vincenzo gli spiegò cosa voleva e perché avesse tanta fretta.
Lasciata la macchina, adesso doveva pensare al negozio che per forza di cose doveva restare chiuso qualche giorno o addirittura per tutta la settimana. Bisognava avvisare la gentile clientela, anchese lasua non era mai stata poi tanto gentile. 
Si avvisa che questa attività resterà chiusa per… per cosa? Per ferie, era ridicolo; per lutto, era prematuro scriverlo. Allora prese un cartone,ne strappò un lemboeci scarabocchiò sopra: “Questa attività resterà chiusa”, punto. Poi andò a incollare il cartello alla saracinesca e mezz’ora dopo, mentre stava tornando a casa, sentì squillare il cellulare.
«Che significa quel cartello?» Chiese quasi urlando Guido, socio del circolo e suo compagno di doppio.
Vincenzo capì al volo, non bisognava mica essere maghi per intuire che Guido, avendo visto il cartello,si stava preoccupandodi non poter partecipare, per colpa sua, aldoppio maschile. 
«Ti spiego», disse Vincenzo, cercando di riassumere. 
«Sarà meglio», rispose l’altro.
«Non ti devi agitare» e proseguì:«Mio cognato sta male, ma così male che i medici gli hanno dato due giorni di vita, ma non c’è da preoccuparsi». E che comunque si mettesse lui nei suoi panni, che altro poteva fare, se non accompagnare la mogliein Sicilia,dalla sorella.
«A me non interessa sapere perché devi andare in Sicilia, per me puoi anche andarcia cercare l’albero giusto per impiccarti, non so se mi spiego, ma se domenica non sei di ritorno…»
Domenica? Venerdì, se tutto andava per il verso giusto, sarebbe già stato di ritorno.
Chiusa la comunicazione e tornato a casa, trovò la moglie silenziosa come un gatto, pallida, sbattuta e con i capelli che sembravano usciti in quel momento da una centrifuga, ma vestita di tutto punto con l’abitoche pendeva da tutte le parti, cappotto, foulard e valigia pronta ai suoi piedi.
«Non andiamo?» Chiese lei. Impaziente e volendo partire subito per arrivare in tempo.
«Arrivare in tempo per cosa?» Chiese il marito.
Sapeva lei per cosa. Voleva arrivare in tempo per vedere, se possibile, ancora vivo il cognatoe soprattutto per abbracciare l’inconsolabile sorella.
Vincenzo la squadrò lungamente, ma così combinatale sembravaun’extracomunitaria o qualcosa di simile, roba da vergognarsi a portarla in giro, poi, gettando lo sguardo altrove rispose:
«Subito… appena è pronta la macchina».
Partirono verso le undici, ma sette ore non furono sufficienti per arrivare in Sicilia, e dovevano ancora raggiungere Monreale. La Salerno Reggio Calabria, si sapeva, era da sempre un cantiere aperto e poi, altra tribolazione perl’attesa all’imbarco per lo stretto.
E intanto a Vincenzo gli era montata una fame da lupo siberiano, perché era dal pranzo della domenica che non aveva mangiatopiù niente, perciò, quando in autostrada incrociò un cartello che indicava un’area di servizio con annessatavola calda, disse alla moglie che si doveva fermare per fare benzina. 
«Ti va di mangiare qualcosa di caldo. È da ieri che non tocchi cibo». Disse subdolamentealla moglie, mentre si stava fermando. Ma lei, che ormai non aveva altro pensiero se non quello di trovare ancora vivo il cognato e abbracciare la sorella, sbottò con un incontrollato:
«Nooo!» E allora si dovette accontentare di un toast, mangiato in fretta e in piedi.
Verso le otto di sera, dopo aver perso un’altra ora per orientarsi e per chiedere a destra e a manca dove si trovasse via Trinachia,finalmente giunsero a destinazione e suonarono. Il portone si aprì con uno scatto, due rampe di scale e le due sorelle si trovarono una nelle braccia dell’altra.
«Allora?» Chiese Faustina.
La sorella si contrasse in uno spasmo improvviso e rispose:
«È morto due ore fa», poi si lasciò andare su una sedia e iniziò a piangere, seguita dallasorella che subito le face eco.
«E quando sono i funerali?» Buttò lì Vincenzo.
«Dipende». Rispose, tra le lacrime la cognata.
Dipende da cosa, voleva chiedereVincenzo per saperne di più. I dottori comunque non avevano sbagliato, quarantotto ore avevano detto e quarantotto ore erano state. Doveva avvisare subito Guido,il suo compagno di doppio, per dirgli di stare tranquillo perché tutto procedeva per il meglio, e il più era fatto.
Mentre Vincenzo stava tentando mentalmente delle previsioni, le due sorelle, continuando a singhiozzare, si andarono a chiudere nella stanza da letto, ma per lui era logico non riuscire a soffrire come loro, il cognato lo conosceva appena. Il problema serio, quello pressante,era invece la fame,che gli era tornata più incalzanteche mai. Andò in cucina, oddio, cucina, un cucinino e cominciò ad aprire antine e cassetti, ma niente, non trovò nulla di commestibile. 
Sarebbe sceso volentieri a cercare una trattoria ancora aperta, ma non se la sentì di lasciare la moglie e la cognata sole, e allora si accontentò di sbucciare una banana, aprire un vasetto di marmellata e mangiarla condei cracker. D’altra parte, la fame era fame e come diceva il proverbio? Chi muore giace e chi vive…
Quella notte le due sorelle dormirono assieme nel letto matrimoniale, mentre luisi dovette accontentare del divano. Scomodo e corto,tanto che per non lasciar fuori i piedi,dovette rattrappirsi.
Dormito, aveva dormito poco e male, e non per colpa del divano. I pensieri piuttosto. Due in particolare. Uno, la fame. L’altro, invece, il torneo di tennis che doveva iniziare la domenica.
Si era alzato presto e aveva cominciato a girare per casa facendo piccoli rumori, cheprovocava apposta a mo’ di sveglia (spostare qualche sedia, qualche colpetto di tosse), ma le due sorelle tennero duro sino alle settee un quarto.
Quando finalmente dalla camera emerse la cognata, la prima cosa che avrebbe voluto chiederle era di preparare il caffè, ma si trattenne,perché forse, pensò, le donne avevano un’altra tempra, giacché, sia la mogliesiasua sorella, non davano a vedere di avere bisogno né di bere né di mangiare. E allora si appoggiò a un sorriso di circostanza e cercò di far capire alla cognata quello che, secondo lui, avrebbe dovuto comprendere da sola.
Uscirono da casa verso le otto passatee tutti assieme si avviarono verso la sala mortuaria dell’ospedale. Meno male che la bara eragià stata chiusa pensò Vincenzo. Vedere il morto, ne era certo, gli avrebbe dato fastidio, e certamente provocato anche un senso di nausea.
Lasciate le due sorellecon gliocchi arrossati, abiti di circostanza e sedute di fronte al feretro, Vincenzo fece un cenno alla moglie ed uscì per andare alla ricercadi un bar. Quando tornò, dopo essersi bevuto tre cappuccini di fila e mangiato sei cornetti, la moglie gli riferì che i funerali si sarebbero svolti l’indomani. Alle quattro del pomeriggio.
Vincenzo prese subito mentalmente nota di ciò che leaveva dettola moglie e cominciò a rifare i suoi calcoli. Dunque, andando con ordine: domenica l’ictus, lunedì sera dipartita del cognato e loro arrivo in Sicilia; martedì veglia con condoglianze ricevute a sproposito da parenti e amici del defunto; mercoledì pomeriggio funerali, e giovedì? Giovedì al momento era ancora un’incognita e non era sicuro dipotersela svignare. Ma venerdì,salutata la cognata, fosse cascato il mondo, avrebbe preso la moglie e, volente o nolente, l’avrebbe caricata in macchina e sarebbe partito. Così, sabato mattina avrebbe potuto assistere, assieme all’amico Guido, sia alla compilazione del tabellonedel singolare,sia a quello del doppio e poi concordare con il giudice arbitro l’orario delle partite della domenica.
Cronologia perfetta, o quasi, perché nel conteggio aveva dimenticato di inserire, tra le cose che dovevano essere ancora fatte, la tumulazione della salma,che si sarebbe dovuta svolgere il giorno successivo a quello del funerale. 
La sera del giovedì, risolte tutte le incombenze erincasato con moglie e cognata, Vincenzo ebbe un altro motivo per preoccuparsi ulteriormente, e successe quando la moglie chiese alla sorella se magari, per qualche tempo, voleva trasferirsi a casa loro. Partire con loro.
«No. Non me la sento. Ormai ho tutto qui e poi ho ancora tante cose da fare, da definire, sia con le banche, sia con il notaio, e poi ci sonoi parenti di Alvaro, che non vi dico, non sanno cosa vogliono. Lo sapete come si dice, no: parenti? Serpenti».
La cognata aveva declinato e pertanto non c’era stato bisogno di convincerla a rimanere, ma l’idea di trovarsela davanti, in casa sua, con quella testa dacavallo destinato al mattatoio e i capelli uguali alle orecchie di un cocker, lo fece sudare freddo.
«Allora», aggiunse la moglie,rivolgendosi al marito, sempre che non avesse niente in contrario e sela sentisse, potevano ripartire il mattino successivo. 
Macerto, dopo lo scampato pericolo, Vincenzo non solo se la sentiva ed era pronto a partire, ma la strada se la sarebbe fattapurea piedi, da lì fino a casa. 
«Perché non dovrei sentirmela? Certo che me la sento». Ribatté di getto.
Monreale, Palermo, Messina. Un caffè, preso al volo durante la traversata dello stretto. Villa San Giovanni, imbocco autostrada, Cosenza, e ancora avanti sino allo svincolo per la piana di Sibari, prosecuzione sulla ss. 106, Tre Bisacce, Roseto, Nova Siri, Policoro, Scanzano, Metaponto e finalmente arrivo a casa. Tutta una tirata, senza fare rifornimento,néuna sosta. 
«Tu sali che io torno subito». Le disse, mentre la mogliestava scendendo dalla macchina con un unico bisogno impellente, quello di correre in bagno.
Vincenzo, invece, aveva fretta di correre al circolo perdi mostrare a Guido e ai soci che lui le promesse le sapeva mantenere. Ma una volta arrivato, trovò tutto spento, un mortorio. Alloracercò il custode e chiese lumi.
«Ha piovuto tutta la settimana di fila,i campi sono ancora allagati, impraticabili e il torneo è stato posticipato di quindici giorni, tempo permettendo, naturalmente». 
Vincenzo salutò il custode con un grugnito, si rimise in macchina e smoccolando al ritmo delle marce che stava inserendo, si avviò verso casa.
 


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