Uscito dal lavoro, volevo dare un’occhiata al nostro vecchio appartamento. Dentro avevamo lasciato l’arredamento così com’era: cucina, salotto, qualche armadio e la vecchia camera da letto. Quando ci siamo trasferiti, l’appartamento lo abbiamo messo in vendita ma a causa della crisi le offerte si sono rivelate scarse e da due anni il cartello vendesi è ancora lì e fa ancora bella mostra di se sul portone.
Era un venerdì pomeriggio e, parcheggiato la macchina, stavo per attraversare la strada quando dal portone del palazzo ho visto uscire Lisa, mia moglie, in compagnia di uno sconosciuto. Pensai che magari avesse accompagnato un probabile acquirente a visitare l’appartamento e che una volta a casa me ne avrebbe parlato, e stavo per allungare il passo e raggiungerla, quando gli ho visti darsi un bacio sulle labbra e poi separarsi.
Io non sono mai stato geloso, e so bene che con gli anni i rapporti possono cambiare o alterarsi, ma vedendo mia moglie che baciava un altro uomo, non ho potuto fare a meno di sentire un’improvvisa fitta al cuore, Ma la cosa assurda, l’aspetto che mi ha fatto più male e che ancora mi fa ribollire il sangue, è che quel tizio è un uomo banale e non ha niente di straordinario. È più basso di me, poco attraente, scialbo, insignificante e veste sempre nello stesso modo: abito grigio di dieci anni fa e una cravatta in lanetta marrone, e poi è abitudinario e fa sempre le stesse cose. Per la pausa pranzo va tutti i giorni nello stesso bar-tavola calda. Esce dal lavoro sempre alla stessa ora, puntuale attraversa la strada e va a prendere la macchina nel parcheggio dell’azienda. È un uomo banale, e persino la sua macchina è banale quanto lui. Solo il venerdì pomeriggio, e non sgarra di un secondo, anticipa l’uscita di un’ora. E la cosa che mi meraviglia di più, è che mia moglie si sia invaghita di uno come lui, che mi tradisca con un tipo simile. Ma chissà, forse mia moglie si è lasciata abbindolare da quel tipo proprio perché è così diverso da me.
Tornato a casa, speravo che Lisa me ne parlasse, che inventasse qualcosa, che mi dicesse che era andata a mostrare l’appartamento a quell’uomo, che magari mi mentisse, che dicesse che era un suo vecchio amico, un parente. Invece niente. Non una parola, e allora ho cominciato a indagare, a seguirla e ho seguito anche quell’uomo, e così ho scoperto che almeno una volta alla settimana, il venerdì pomeriggio, si incontrano nel nostro vecchio appartamento.
E ora sono qui, seduto in macchina, nel parcheggio dell’azienda dove lavora quel tizio e lo sto aspettando. Sto aspettando colui che sta tentando di portarmi via la moglie, ma ancora non so cosa farò e cosa gli dirò.
Certo, è la gelosia, la voglia di rivalsa, il desiderio di fargliela pagare che mi spinge a tutto questo, e adesso mi trovo qui nel parcheggio, tra le altre macchine, con le spalle addossate allo schienale del sedile e con lo sguardo fisso sulla porta scorrevole dell’azienda che aspetto di vederlo uscire. Sono tre settimane che lo sto seguendo, che faccio sopralluoghi, che cerco di saperne di più sul suo conto. Ormai conosco tutte le sue abitudini, dove abita, con chi vive, dove lavora, dove parcheggia e so anche dove e quando si incontra con Lisa. E vederli darsi quel bacio sulle labbra prima di separarsi, fa sprigionare in me tutto un mondo d’amarezza, un senso di fallimento e vorrei rimediare, ma per ora ho collezionato solo ferite e cicatrici.
Penso a Lisa nel nostro vecchio appartamento, e la immagino mentre si spogliano, mentre si abbracciano e si baciano, e ogni volta sento come una pungente pugnalata al cuore che mi fa mancare il respiro, perché sento di amarla ancora, anche se lei ormai non ama più me ma quel coso insignificante che ha quel sorriso da ebete e che porta sempre lo stesso abito e la stessa cravatta. Provo rabbia e sconcerto, ma intanto mi vergogno a stare qui ad aspettarlo.
Tra non molto lo vedrò arrivare, attraverserà la strada con il suo passo flemmatico e salirà in macchina. La parcheggia sempre nello stesso posto, in quell’angolo remoto e poco illuminato.
Ecco, la porta a vetri si apre e lo vedo uscire. È lui, nel suo solito abito triste. Cammina come una marionetta, facendo oscillare la borsa che tiene nella mano destra e seguendo il ritmo dei suoi passi. Attraversa la strada, ed io non smetto di fissarlo mentre viene verso di me.
Temo che possa vedermi e allora mi abbasso, ma lui non sta guardando verso di me, tiene gli occhi fissi sul display del suo cellulare. Probabilmente sta avvisando Lisa che tra poco la raggiungerà. Le starà scrivendo che la desidera, le dirà di prepararsi o qualcosa del genere. Le starà mandando un messaggino lussurioso e immorale.
Si avvicina e passa accanto alla mia macchina. Potrei afferrarlo per un braccio e bloccarlo, ma aspetto che vada oltre e mi dia le spalle. Allunga la mano, aziona il telecomando e i lampeggianti della sua macchina si illuminano. Apre la portiera posteriore, lo fa sempre, e posa la sua borsa in finta pelle nera sul sedile, poi richiude la portiera e si sposta su quella anteriore e si siede al volante.
Gli sono dietro e ormai l’ho raggiunto. Con una mossa fulminea mi siedo dietro di lui e richiudo lo sportello. Il tizio sobbalza per lo spavento ed emette un gridolino da donnetta spaventata. Riderei se ci fosse qualcosa per cui ridere, ma è tutto così assurdo e tragicamente serio: le mie azioni per prime. Si gira verso di me e sta per dire qualcosa, ma io lo anticipo.
«Sai chi sono io, vero?»
Scuote la testa. È disorientato, impaurito, poi si gira quasi su se stesso per guardarmi meglio e balbetta:
«Sì. Sì lo so chi sei».
Allungo le braccia, gli metto le mani al collo e lo scuoto. La sua testa sembra un palloncino che ondeggia tra le mani di un bambino. Sbatte la testa contro il finestrino e sul volante, geme e un rivolo di sangue comincia a colargli dal naso e nei suoi occhi compare un lampo di terrore. Ma dopo un attimo si riprende, si svincola e sembra recuperare la padronanza di se e mi chiede cosa sto facendo, mi prega di smetterla, mi urla di calmarmi, mi supplica di ragionare. Mi chiede di parlarne civilmente.
Mi guarda. Ha una mano a mezz’aria, la chiave della macchina ancora stretta nel suo pugno ed è tornato fin troppo calmo. Forse ho esagerato, forse sto sbagliando tutto e allora gli chiedo se mi conosce, gli domando se sa chi sono, ma lui mi sorprende e con la sua vocina in farsetto lo sento dire:
«Possiamo, per favore, comportarci civilmente?» E lo dice scandendo lentamente le parole e intanto apre lo sportello per scendere dalla macchina.
«Civilmente un corno». Gli rispondo, e schizzo fuori dalla macchina dietro di lui. Ma intanto ho il sospetto che lui si aspettasse questo momento, che non sia del tutto sorpreso della mia reazione. Adesso sembra calmo e sorride. Sapeva che prima o dopo ci saremmo dovuti incontrare. Forse non sapeva il giorno, ma sapeva che prima o poi questo momento sarebbe arrivato e allora, forse, lo aveva messa in conto e si era preparato.
È ritto di fronte a me, non muove un muscolo, mi fissa e non reagisce, e il fatto che sorrida mi fa esasperare ancora di più e lo detesto.
Mentre io vorrei tanto che reagisse per poterlo riempire di botte, lui mi fissa e basta. Aspetta. Questa situazione mi disorienta, lui allunga una mano, forse vuole stringere la mia, ma io gliela schiaffeggio e faccio volare lontano le chiavi. Il suo sorriso è scomparso ma la mano torna ad allungarsi verso di me, come a dire: “Stai calmo, ragioniamo”. Ci guardiamo negli occhi finché lui, dopo un po’ distoglie lo sguardo da me e mette le mani in tasca. Il suo cellulare squilla. È il suo, ma lui non lo prende e lo lascia squillare. Siamo uno di fronte all’altro, immobili e non so più cosa fare e allora sento la mia voce che dice:
«Perché proprio Lisa. Perché ti sei messo proprio con mia moglie?» E le mie parole mi fanno montare ancora di più la rabbia che mi sta devastando dentro. Per un tempo che a me sembra interminabile, non risponde, poi scuote leggermente la testa e dice:
«Non c’è un perché. È successo…»
Lo guardo e mi torna la voglia di mettergli le mani addosso. Lui non lo capisce e commette l’errore di aggiungere:
«Lisa è una donna meravigliosa a cui non ho saputo resistere».
«Ma cosa stai dicendo?» Ribatto, e con uno spintone lo faccio appiattire contro la fiancata della macchina e gli metto le mani al collo. Lui cerca di svincolarsi, è diventato paonazzo, respira a fatica, rantola e sta per scivolare a terra, ma qualcuno mi mette le mani sulle spalle e cerca di trattenermi. Mi volto e lì, in piedi, dietro di me, c’è Lisa, elegantissima e bellissima, truccata e pettinata con cura. Come non l’ho vista mai prima. Come non è mai successo quando usciva con me.
«Lascialo stare Aldo. Per favore, smettila». E la sua voce è pacata, poco più che un sussurro.
Improvvisamente mi è tutto chiaro, è venerdì e come ogni venerdì si dovevano incontrare. Poi l’ha chiamato, lui non ha risposto e allora è venuta nel parcheggio per vedere perché tardava, perché non la raggiungeva. La guardo sbigottito e incredulo. Gli occhi chiari di mia moglie sono carichi d’inquietudine e di lacrime, e le sue mani tremano.
È sconvolta? Soffre? Forse si sente in colpa? Non lo so, ma cosa dovrei dire io che sono stato tradito dalla donna che aveva giurato di amarmi per tutta la vita?
Dietro di noi il tizio rimane appoggiato alla portiera della macchina e ci guarda. Io non so più cosa fare e in me nasce un’infinita tristezza. Guardo mia moglie e le dico:
«È per questo tipo qui che stai mandando tutto all’aria? Famiglia e matrimonio?»
Lei abbassa lo sguardo, sospira, rilassa le spalle, lascia scivolare le braccia lungo i fianchi e in un sussurro risponde:
«Lo sai anche tu che fra noi è tutto finito. Lo sappiamo entrambi, e da un pezzo, Aldo. Se non l’hai ancora capito, vuol dire che sei cieco. È più di un anno che non siamo più noi, che tra noi è tutto finito. Quante volte ho cercato di farti ragionare, di dirti che mi sentivo trascurata, sola, e ti chiedevo cosa provassi ancora per me? Ma tu facevi spalluccia, ti irritavi e non mi hai mai risposto, né ascoltato».
Lo so, le cose tra me e Lisa erano da tempo che non filavano più come prima, ma per me ammetterlo sarebbe stato impossibile. Pensavo che dopo anni di matrimonio fosse normale adagiarsi su ritmi e situazioni ormai consolidate. E solo ora, dopo aver visto con che tipo d’uomo si è andata a impelagare mia moglie, mi rendo conto del contrario.
Lei guarda prima il tizio, poi abbassa la testa e aggiunge che le dispiace, che non avrebbe mai voluto arrivare a questo, a doverci separare, a dovermi lasciare, a tradirmi, e aggiunge che non sapeva più come fare, come dirmelo, e allora ha lasciato che le cose facessero il loro corso.
Guardo incredulo mia moglie e poi rivolgo lo sguardo verso il tizio che poco prima avrei voluto fare a pezzi. È ancora appiccicato alla sua macchina, in mano ha un fazzoletto e con quello cerca di tamponare il sangue che gli cola dal naso. Non si muove, non dice niente e sembra una statua di cera.
Potrei pestarlo a sangue, ma alla fine non avrei risolto nulla. Ormai niente potrebbe più cambiare. Peggiorerei soltanto la situazione. Non so più cosa fare, mi ritrovo senza forze e senza parole. Non so cosa rispondere e allora rivolgo un’ultima occhiata a mia moglie, giro le spalle e me ne vado.
Attraversando il parcheggio, ormai deserto, sento i miei passi riecheggiare sull’asfalto. Cammino a testa bassa, certo che mia moglie mi sta seguendo con lo sguardo. Mi volto e la vedo. Il tizio le si è avvicinato e le ha messo un braccio attorno alla vita e mi stanno guardando.
L’ho persa, e forse è tutta colpa mia. Ora mi rendo conto di aver sbagliato, che sono stato un egoista e soprattutto un ingenuo a credere che bastasse avere la fede al dito per trattenere mia moglie. E questa sera ho fatto anche una figura penosa, quella d’un uomo geloso e patetico che fa la sua sfuriata e poi se ne va via con la coda tra le gambe.
Risalgo in macchina e vado via. Per questa notte dormirò nel nostro vecchio appartamento e da domani comincerò a pensare a come organizzarmi, ma per il momento sono troppo confuso e stravolto per riuscire a concentrarmi su ciò che sarà il mio futuro.