MENU

Guerra e sport

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

30
AGO
2013
“Lo sport è l’unico modo che gli uomini hanno trovato per regolare i loro rapporti in modo pacifico!”. In questa estate che finalmente, dopo molti anni di meteorologiche anomalie, sembra aver ripreso i ritmi e le rassicuranti normalità che hanno confortato la mia giovinezza, ho assunto volontariamente una overdose di eventi sportivi che mi hanno riportato alla memoria la splendida riflessione di Norberto Bobbio richiamata nell’incipit. Da Barcellona a Mosca, passando per Budapest, ho vissuto un mese a tuffarmi nelle fresche acque delle piscine sulla collina del Monjuic, in faccia alle guglie ardite della Sagrada Familia, ho danzato in punta di fioretto sulle note di un valzer danubiano, ho corso tra la riva della Moscowa e le mura possenti e le leggiadre cupole del Kremlino. I campionati mondiali di nuoto, di scherma e di atletica leggera hanno impegnato migliaia di giovani atleti provenienti da ogni latitudine in una mescolanza di colori, lingue, etnie, razze, religioni, organizzazioni sociali le più diverse tra loro che hanno prodotto, in un laboratorio unico al mondo, un gioiello di rara bellezza. Non mi riferisco tanto ai primati, ai record e alle performance sportive, se pure esaltanti, quanto alla plastica dimostrazione che nessuna forma di discriminazione o di affermazione violenta della propria superiorità può esistere se gli uomini, lottando tra loro, vengono chiamati a raggiungere un obiettivo, un traguardo, partendo dalla stessa start line. Questo è il punto centrale della questione. L’opzione bellica, molto spesso prevalente nel dirimere le divergenze tra singoli stati o tra blocchi contrapposti, trova la sua spiegazione nella palese disparità tra i contendenti: chi presume di partire da una posizione di forza tende inevitabilmente a distruggere definitivamente il nemico, mentre chi avverte il peso della propria inferiorità reagisce con l’aggressività tipica della forza della disperazione. Per parlare solo dei conflitti degli ultimi trenta anni, dalla guerra delle Malvines all’Afganistan, dal Libano all’Iraq, dal Kossovo alla Libia, la disparità delle forze in campo è l’elemento scatenante e se vogliamo fare la prova del nove possiamo pensare alla Cina. Al grande paese asiatico sono addebitate quasi tutte le aberrazioni che hanno scatenato i conflitti di cui sopra, dall’essere un regime totalitario al deficit nel rispetto dei diritti umani, dagli armamenti atomici agli arsenali chimici, al sostegno sistematico del terrorismo in generale e fondamentalista in particolare, al sostegno dei regimi canaglia che sopravvivono sul pianeta. Ebbene a nessuna super potenza o organizzazione internazionale verrebbe mai la tentazione di scatenare un conflitto armato contro i cinesi. Perché? Semplicemente perché i due potenziali contendenti partirebbero da una sostanziale parità di forze. Quando ciò accade si privilegia la via diplomatica, del confronto, del dialogo anche aspro che esclude ogni opzione di belligeranza. Siccome la storia si ripete, questo è quanto è accaduto nella seconda metà del secolo scorso nella contrapposizione tra il blocco occidentale e quello orientale. Penso allora di poter affermare che, fermo restando la genetica attitudine alla competizione della specie umana, la guerra cesserà di essere lo sbocco unico per la soluzione delle controversie quando gli uomini, i popoli, le nazioni accetteranno integralmente il concetto della pari dignità. Solo allora, come accade nello sport, il riconoscimento delle proprie ragioni si fonderà esclusivamente sulla forza delle idee e della verità. Bisogna mettere tutti nella condizione di partire dalla stessa start line. Un evento, un immagine, tra i tanti che hanno caratterizzato i mondiali di atletica leggera a Mosca, ha lasciato un segno profondo nella mia mente e nella mia coscienza. Un giovane e possente atleta egiziano, negli stessi giorni in cui terribili stragi di suoi connazionali si consumavano per le strade del Cairo e dell’intero Egitto, lanciava il suo giavellotto nella storia del suo paese e dello sport mondiale classificandosi ottavo nella finale mondiale di specialità. Primo africano, nella storia moderna dell’atletica, a raggiungere una finale mondiale in una specialità, il giavellotto, quasi esclusivo appannaggio dei popoli del nord del mondo. Intervistato a fine gara, a chi gli chiedeva se avesse paura di ritornare nel suo paese stante la grave situazione, aveva risposto di non avere paura perché convinto che il suo popolo, a cui dava il contributo della sua impresa, avrebbe saputo ritrovare la pacificazione contando sulla forza della propria identità e della solidarietà. Quanto più civili di noi erano i nostri antenati, capaci di cessare ogni conflitto per consentire ai propri giovani migliori di gareggiare durante i giochi olimpici dell’antichità.
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor