MENU

Grazia Pulito/Alla scoperta di quel granellino di sabbia

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

28
SET
2012

 

In Italia molte persone sono affette da varie forme di disabilità, ma non tutte sono da considerarsi incapaci di intendere e volere: alcuni di loro lavorano, si laureano e in alcuni casi si sposano. L’obiettivo dell’A.I.D.A., Associazione per l’integrazione del diversamente abile, è quello di rispettare il loro diritto alla vita
 
 
…e la mia disabilità?
Microscopica mancanza rispetto a tutto ciò che mi è stato donato,
un granello di sabbia in meno in un’infinita spiaggia!
 
Sembrerebbe paradossale, ma queste parole sono dettate esclusivamente dalla forza e dal coraggio di un uomo gravemente disabile, costretto a vivere costantemente su una sedia a rotelle, senza poter controllare nessuno dei suoi movimenti, privato della parola, ma non della volontà di comunicare: istinto irrefrenabile che affida a una tavoletta di plexiglas. Affetto da tetraparesi spastica, l’uomo in questione è Claudio Imprudente, pietra miliare nel mondo sociale, autore di alcuni libri e direttore della rivista ‘Accaparlante’. Un uomo dotato di un’energia e di una vitalità fuori dal comune che lo innalzano come esempio per tutti, non solo per chi condivide una vita sacrificata da una disabilità come lui, ma soprattutto per noi, che fieri e immersi nella nostra scalata quotidiana non sopportiamo l’idea di sentirci impotenti e rendiamo un dramma, anche i problemi più piccoli. Le sue parole sono diventate il motto principale dell’A.I.D.A. Associazione per l’integrazione del diversamente abile, costituitasi nel 2005 a Martina Franca, dalla volontà di un gruppo di genitori decisi a rivendicare il diritto, dei loro bambini disabili, a una vita normale. A parlarci di questa realtà è la Presidente dell’Associazione, Grazia Pulito, fiera delle piccole battaglie vinte e fermamente convinta di dover combatterne ancora molte.
 
Sign.ra Pulito, come e quando è nata l’associazione A.I.D.A.?
«Io sono mamma di una bambina affetta da diparesi spastica, perciò quando è nata mia figlia mi sono sentita in difficoltà, perché non sapevo a chi rivolgermi per avere dei consigli giusti e per poter confrontarmi con altre situazioni simili, e questo è stato un primo disagio che ho dovuto affrontare. Successivamente, nel 2004, mentre mia figlia frequentava la scuola, c’è stato un forte taglio del sostegno e quella è stata l’occasione per accendere l’attenzione su ciò che sarebbe stato uno dei primi sentori di un fenomeno che avrebbe potuto solo peggiorare nel tempo, perciò con l’aiuto di alcuni professori della scuola Battaglini, cercammo di contattare tutti i genitori dei ragazzi disabili che frequentavano la scuola e organizzammo un coordinamento grazie al quale riuscimmo ad avere qualche ora in più di sostegno per i nostri ragazzi. Questo episodio rappresentò un’opportunità per conoscersi con altri genitori di ragazzi disabili e insieme nacque il desiderio di dar vita a un’associazione che ci rappresentasse: così dalla forza dei più volenterosi, è nata l’A.I.D.A., Associazione per l’integrazione del diversamente abile, allo scopo di far capire alla gente che il disabile è una persona che non va emarginata dalla società, ma al contrario, ha il diritto di avere una vita come tutti gli altri, il diritto alla salute, allo studio e al lavoro, dal momento che ci sono tanti disabili che hanno tutte le capacità intellettive per poter svolgere un impiego lavorativo».
 
Chi sono i ragazzi della vostra associazione?
«Ci sono un po’ tutte le fasce di età, dai bambini agli adulti e poi naturalmente genitori e famiglie. Ci sono persone che presentano disabilità sin dalla nascita, ma anche persone che sono diventate disabili col tempo a causa di malattie oppure di drammi che sono capitati nel corso della vita, come incidenti stradali che hanno costretto qualcuno a rimanere sulla sedia a rotelle. Poi c’è anche una coppia di disabili, felicemente sposata, che rappresenta un po’ la forza di questa associazione, perché da un vivido esempio di come la vita possa andare avanti, nonostante tutto».
 
Prima ha parlato di tagli al sostegno scolastico: cosa intende nello specifico?
«L’insegnante di sostegno non deve solamente preoccuparsi di far seguire al ragazzo disabile, un programma specifico che rispetti le sue capacità, ma ha anche il dovere di farlo integrare nella classe, dandogli la possibilità di socializzare con gli altri compagni. Purtroppo, invece, parecchi genitori hanno contestato il fatto che il loro bambino il più delle volte veniva allontanato dalla classe: non si può procedere in questo modo, ma è necessario che anche gli altri alunni capiscano che il bambino con handicap va rispettato e non isolato. Inoltre, per taglio intendo una netta riduzione del personale di sostegno con un inevitabile ridimensionamento delle ore scolastiche per il bambino disabile: il rapporto tra insegnate e alunno diventava di uno a due, ledendo anche la possibilità di apprendimento e di un’evoluzione intellettiva del ragazzo, costretto a seguire solo poche ore di scuola. Tutto questo rappresentava un disagio anche per i genitori, che dovevano organizzarsi per andare a prenderli prima da scuola a seconda delle ore che svolgevano. I nostri ragazzi amano andare a scuola, perché è una delle poche possibilità per svagarsi e relazionarsi con gli altri, così facendo si ostacola anche il loro diritto allo studio».
 
Da un piccolo gruppo di famiglie siete riusciti a organizzare una vera e propria associazione, ma è stato facile muovere i primi passi?
«Non è stato facile iniziare a muovere i primi passi, ma ce l’abbiamo fatta anche grazie alla collaborazione con l’A.M.A.R. Down, che ci ha sempre dato le informazioni giuste per andare avanti e si è resa disponibile per condurre insieme, anche delle piccole battaglie durante le quali abbiamo organizzato convegni e seminari, omaggiati dalla presenza di tante figure importanti. Uno dei momenti più belli è stato l’arrivo di Claudio Imprudente, affetto da una disabilità gravissima che lo compromette seriamente, infatti, lui comunica attraverso una tavoletta di plexiglas sulla quale sono scritte le lettere dell’alfabeto, indica con lo sguardo le singole lettere e chi gli sta accanto, le compone per ricostruire la sua frase. Nonostante tutto, però, è direttore della rivista “Hp-Accaparlante”, ha viaggiato molto e ha sempre espresso il suo pensiero su ogni cosa: per questo l’abbiamo ospitato per due giorni a Martina, perché con il suo esempio ha lanciato un grido di speranza verso molte famiglie, dimostrando che per tutti esiste un modo di comunicare. Molto spesso per i genitori che hanno un figlio disabile con problemi di comunicazione, diventa difficile anche capire dove il bambino avverte un dolore: lo si vede stare male, ma il ragazzo non può indicare il punto che lo fa soffrire, ma urla e piange solamente e questa è una cosa terribile, perché diventa complicatissimo risalire alla causa del problema e aiutarlo in tempo. Queste esperienze sono state davvero importanti e ci hanno aiutato ad avere la fiducia della gente, ma ci tengo a precisare che quando inizialmente ci recavamo spesso al Comune per avere autorizzazioni e informazioni per organizzare le nostre attività, abbiamo sempre scelto la strada più tranquilla senza agitare polemiche o discussioni, perché in fondo noi chiediamo ciò che ci spetta di diritto e che è sancito dalla legge, perciò con la calma è la volontà si ottiene tutto. Adesso grazie alla nuova amministrazione stiamo notando una buona collaborazione tra il CAV, Coordinamento Associazioni di Volontariato, e le istituzioni, che spero porti buoni frutti».
 
Quali sono le battaglie più importanti per le quali avete lottato nel corso di questi anni?
«Abbiamo condotto una battaglia per la sensibilizzazione alla tutela del posto auto, perché a Martina ci sono più di mille tagliandi di posto auto per disabili, ma in alcuni casi sono di gente che se ne approfitta: sicuramente non abbiamo più di mille disabili nel nostro paese, quindi qualche posto auto sarà di famiglie con parenti allettati o affetti da malattie che compromettono seriamente la loro mobilità, ma oltre questi casi spesso accade che qualcuno se ne impropri illegalmente, perciò per contrastare questo fenomeno abbiamo provveduto anche alle cosiddette ‘multe morali’ che abbiamo sparso per la città. Qualche anno fa, abbiamo anche chiamato “Striscia la Notizia” per evidenziare alcune barriere architettoniche o degli scivoli pericolosi che terminavano con un gradino, non adatto per chi si sposta su una carrozzella. Oltre tutto questo, nei primi anni dell’associazione abbiamo sostenuto il gruppo dei ‘Genitori tosti in tutti i posti’: il loro nome fa ridere, ma sottolinea la loro tenacia nel perseguire alcune battaglie importanti. Noi li abbiamo sostenuti per una giusta causa, a proposito dell’approvazione di una legge riguardante il prepensionamento dei genitori dei ragazzi disabili gravissimi, in modo tale che potessero assisterli a casa senza rinchiuderli in nessun istituto: si tratta di un aspetto importantissimo se si pensa che il ruolo svolto da un genitore del genere sia stato equiparato a un lavoro usurante, perché i bambini crescono, quindi da dover sollevare un bambino ci ritroviamo a dover sollevare un uomo, in un momento in cui anche il nostro corpo avrà ceduto gran parte delle sue forze».
 
Viene rabbia quando la cronaca ci documenta sui casi di persone che vivono normalmente senza nessuna disabilità, ma si fingono invalide per percepire pensioni e sussidi economici?
«Viene tantissima rabbia, perché nelle associazioni ci sono persone che hanno il diritto a quei sussidi, eppure non li ricevono. In queste circostanze la responsabilità è di chi seduto al tavolo stabilisce a chi debba andare la pensione di invalidità e quindi i medici dell’Asl. Quando i nostri ragazzi vengono chiamati per le visite che valuteranno il loro diritto o meno ad avere alcune forme di sostegno economico, si vede solo il cartaceo, danno un’occhiata alla cartella clinica, pensano alla patologia, ma non approfondiscono quali possano essere i disagi fisici contro i quali si è costretti a combattere quotidianamente. Inoltre dobbiamo pensare che si tratta di sussidi minimi, rispetto a tutte le spese necessarie per i casi più gravi. Purtroppo la nostra associazione non ci permette di garantire questi servizi, anche perché in qualità di genitori noi non miriamo solo all’assistenzialismo, ma alla loro integrazione, ma è naturale che di queste cose se ne debba occupare chi ne è competente».
 
Se dovessimo lanciare un breve messaggio ai nostri lettori, potremmo parlare di integrazione e rispetto?
«Assolutamente sì, ci vuole l’integrazione e il rispetto della legge da entrambe le parti, perché è necessaria una maturità di tutti. A volte il disabile tende a diventare egoista a causa della condizione che vive e di un mancato rispetto nei suoi confronti, ma dobbiamo fare in modo che questo non accada, affinché nessuno si approfitti di queste situazioni».


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor