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Ilva / Aspettando l´intervento del governo

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

30
GEN
2015
Continua la mobilitazione dei lavoratori dell'indotto che non percepiscono da mesi lo stipendio e chiedono garanzie per l'occupazione. Strade bloccate, presidi e cortei: la città si divide esprimendo fastidio per i disagi ma anche solidarietà per gli operai
 
“”Per l’insediamento del siderurgico viene scelta Taranto per le sue aree pianeggianti e vicine al mare, la disponibilità di calcare, di manodopera qualificata, nonché per la sua ubicazione nel Mezzogiorno d’Italia e, usufruendo dei contributi statali, per la creazione di nuovi posti di lavoro. Gli impianti di Taranto consentiranno al centro siderurgico una capacità produttiva annua di tre milioni di tonnellate di acciaio.”” 
Queste erano le stringate note che accompagnavano il discorso per l’inaugurazione dello stabilimento ITALSIDER di Taranto il 10 aprile 1965. Lo stabilimento insediatosi a ridosso del quartiere Tamburi ha una superficie complessiva di circa 15.450.000 metri quadrati, quasi il triplo rispetto alla Taranto del 1965.
L’allora Sindaco di Taranto, Angelo Vincenzo Curci, si batté fortemente per portare lo stabilimento siderurgico a Taranto, poiché altre località, come Vado Ligure in Piemonte, erano state scelte per la sua collocazione. La scelta di Taranto, all’epoca, fu salutata dalla città con entusiasmo, in quanto le prospettive di lavoro erano molte, oltre ogni più rosea aspettativa. E le premesse furono mantenute e anche superate, poiché a pieno regime lo stabilimento occupava più di 35.000 unità lavorative: dipendenti diretti, indiretti, trasfertisti, fornitori, trasportatori, uomini per la sicurezza, ditte di manutenzione e pulizie, vigili del fuoco addetti esclusivamente allo stabilimento, ecc..
In una città che basava la propria economia sui pochi pilastri esistenti: Marina Militare, Arsenale militare, pesca, miticultura, e poco altro, l’arrivo dello stabilimento Italsider, venne accolto come una manna dal cielo. In effetti dal suo insediamento l’economia, non solo della città, ma di tutta la provincia e delle zone limitrofe ne ebbe a beneficiare. Lo sviluppo edilizio ebbe un forte impulso. Sorsero nuovi quartieri, come quello di Paolo VI, inaugurato dallo stesso Pontefice il 24 dicembre 1968. Sia sul versante nord di Taranto che in quello meridionale sorsero nuovi palazzi e gli esercizi commerciali si moltiplicarono. Ma ancora prima cominciarono a spuntare come funghi ville e villette sulla litoranea. E per chi preferiva invece la collina si costruì nella zona di Martina Franca.
All’epoca nessuno si lamentava, anzi! Le targhe delle macchine superarono rapidamente le 100.000 unità e le autovetture che si vendevano erano in numero sempre crescente. Tutto sembrava andare per il meglio in quegli anni. Sì, certo, gli scioperi e i cortei di protesta non mancavano, soprattutto quando si accentuavano i dissensi con la direzione, o peggio, quando accadevano dei gravi infortuni, purtroppo anche con vittime. Ma in definitiva in quegli anni, tutti lavoravano: chi per l’Italsider, chi per i fornitori, chi per le ditte collegate o per attività connesse e questo era l’essenziale per la città. 
Poi arrivarono gli anni ’80 e con essi la crisi dell’acciaio che portò, dopo diverse traversie economico-finanziarie, alla liquidazione e alla cessione dello stabilimento alla Finsider. Nasceva così la Nuova Italsider che, con sistemi discutibili, liquidò migliaia di lavoratori specializzati, non ancora cinquantenni, concedendo loro anni di abbuono per il raggiungimento della pensione. Ma le cose non migliorarono. Così nel 1995 lo stabilimento fu messo sul mercato rilevato dal gruppo Riva, prendendo il nome ILVA. L'operazione di cessione a privati dello storico complesso provocò polemiche e perplessità, non ancora assopite, tra la nuova dirigenza industriale, sindacati, amministratori Locali e politici.
Le associazioni ambientaliste cominciarono a far sentire più forte la loro voce e le popolazioni residenti a ridosso dell’insediamento industriale sostennero la protesta in quanto il territorio e l’ambiente circostante risultarono fortemente inquinati.
Da allora la città cominciò a prendere coscienza del problema inquinamento, che per molto, troppo tempo era stato fatto passare sotto silenzio. Le associazioni ambientaliste, sempre attente al problema, provvidero a effettuare verifiche e ispezioni e continuarono a tenere alto il livello di attenzione e di protesta. Successivi controlli ufficiali stabilirono che un vasto territorio circostante lo stabilimento risultava inquinato dalla diossina. Intervenne anche l’ASL verificando lo stato di salute degli animali delle masserie limitrofe e si dovettero abbattere centinaia di capi di ovini perché risultati contaminati. Tutta la città prese coscienza dei danni che stava provocando quel colosso siderurgico; con quelle ciminiere che ventiquattr’ore su ventiquattro spargevano fumi nocivi su tutto il territorio, a seconda della direzione del vento. Poi quei depositi minerali, separati dal rione Tamburi solo dalle doppie corsie della superstrada Taranto Grottaglie, che più grandi di settanta campi di calcio, restano eternamente scoperti ed esposti alle intemperie e al vento, come il Sahara, sollevando nuvole di polveri nocive, che vanno a depositarsi ovunque, anche a chilometri di distanza. 
Ci sono stati decessi, avvenuti in quel quartiere, da prima ritenuti sospetti, poi inequivocabilmente derivanti dall’inquinamento, ma non solo. A bambini ancora in tenera età sono stati diagnosticati mali incurabili ai polmoni: “Come se a dodici anni avesse fumato due pacchetti di sigarette al giorno”, ebbe a commentare un medico che ne tenne in cura uno. 
Allora cosa fare? C’è chi auspica una chiusura totale dello stabilimento. C’è chi non si limita ad auspicarlo, ma lo chiede con forza. Ma bisogna tenere conto che all’interno dell’ILVA attualmente lavorano ancora 12.500 dipendenti più l’indotto, e così si arriva a circa 15.000 persone e più, che se venissero messe in mobilità diventerebbero un problema sociale di estrema gravità. 
L’unica cosa sensata che ci resta da fare credo sia quella di continuare a battersi, affinché si possa arrivare ad un compromesso tra lavoro, sicurezza e ambiente compatibile. A questo, e bisogna darne atto, ci ha pensato prima di tutti la Magistratura, che scrupolosamente e in silenzio ha svolto le proprie indagini e poi è intervenuta laddove, da anni, avrebbero dovuto intervenire altri. Tale autorevole intervento, non solo ha limitato danni maggiori, ma ha fatto sì che si smuovessero le coscienze di chi ancora speculava a spese della salute dei cittadini. Non solo i diretti responsabili, che avranno un bel da fare a dimostrare la loro estraneità ai fatti contestai, ma anche coloro che ritenevano che per sostenere l’occupazione si dovesse continuare ad inquinare, ora dovranno ricredersi e fare ammenda. 
L’azienda, i politici, gli amministratori locali, nonché lo Stato, ora sembrano aver preso coscienza del grave problema che da anni attanaglia Taranto e la sua provincia. Adesso sembrano tutti concordi nel cercare soluzioni efficaci per salvaguardare l’occupazione nel rispetto della sicurezza, non solo dei lavoratori, ma di tutta la comunità ionica, provvedendo al risanamento dell’ambiente e al suo mantenimento. 
Allora tutti d’accordo. Tutto risolto. Tutto sotto controllo. 
Nemmeno per sogno: proprio mentre sto scrivendo giunge notizia che i lavoratori dell’indotto e i sindacati si stanno riunendo in assemblee, sfilano in cortei e formano blocchi stradali sulla statale 106. Operai occupano il municipio e protestano per il ritardo dei pagamenti degli stipendi. Titolari di ditte appaltatrici, che vantano crediti nei confronti dell’Ilva, si stanno riunendo sotto la Prefettura per chiedere allo Stato sicurezza sul pagamento dei crediti vantati. I sindacati sono stati convocati al ministero dello Sviluppo economico per discutere della vicenda ILVA nel suo complesso e affrontare il nodo degli ammortizzatori sociali e delle forniture. 
Forse questo articolo è stato scritto con troppo entusiasmo. Con troppo anticipo sulla definitiva risoluzione dei problemi dell’ILVA. Ma lo lascio così come è stato scritto, senza cambiare una virgola, perché sia d’auspicio a quanti sono impegnati nello sforzo comune  e che si battono per una Taranto migliore e più serena.
 


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