La premessa, per quanto impietosa, è d’obbligo per delineare, prima che sia davvero troppo tardi, le richieste irrinunciabili da portare all’attenzione del Governo per evitare il tracollo di un intero sistema, Ilva e non solo, considerate le già critiche condizioni del tessuto economico, produttivo ed occupazionale jonico: l’effetto trascinatore della crisi del siderurgico porterebbe con sé interi comparti: commercio, artigianato, professioni, e tutto quello che già in passato abbiamo indicato come indotto invisibile, quello delle piccole forniture, spesso neanche monitorate dalle indagini statistiche.
Intanto, ci corre l’obbligo di ringraziare chi, attraverso gli emendamenti fin qui presentati, ha concorso a tenere accesi i riflettori sulla platea delle imprese e quindi dei lavoratori dell’indotto Ilva. Le modifiche proposte al decreto, tuttavia, pur andando nella direzione da noi auspicata, non sciolgono i nodi nevralgici del problema.
Gli aspetti messi in luce, infatti, pur costituendo una traccia preziosa per ricomporre una situazione di per sé molto complessa e diversificata, non sembrano arrivare al “cuore” del problema. E’ bene chiarire, intanto, che il Fondo di Garanzia, contemplato negli emendamenti già presentati, non immette liquidità nelle casse delle aziende, ma consente loro di contrarre ulteriori prestiti con la garanzia del fondo stesso, altrimenti difficilmente ottenibili dalle stesse imprese già abbondantemente indebitate per far fronte alle prestazioni verso Ilva.
Proviamo a capire, pertanto, attraverso pochi passaggi, cosa potrebbe realmente costituire per la platea dei fornitori Ilva la chiave di volta della questione, anche in vista della prossima riunione congiunta delle Commissioni Industria ed Ambiente.
In primis, la definizione di cosa si intende quando si parla di indotto Ilva.
In ordine di importanza, riteniamo che debbano rientrarci le imprese che operano in forma continuativa per il centro siderurgico di Taranto e provincia, nonchè del bacino regionale, e che risultino avere almeno il dieci per cento del loro fatturato riferito alle forniture (intese come interventi, lavorazioni, trasporti) per Ilva negli ultimi tre anni; con gli stessi requisiti, riteniamo che debbano rientrare le imprese operanti in altre Regioni e che abbiano assunto una significativa percentuale di lavoratori dipendenti a Taranto.
Alla luce di questa definizione, devono essere considerate fornitrici strategiche tutte le imprese in possesso di tali requisiti.
In quanto tali, avrebbero così accesso alla corresponsione della pressoché totale mole dei crediti pregressi (ovvero maturati prima dell’ingresso in amministrazione straordinaria) in vari modi, e cioè, in assenza di risorse immediate: con un adeguato piano di rientro, nei tempi e modalità da stabilire; attraverso i crediti di imposta; con partecipazioni al capitale della stessa newco; con un mix di queste forme.
Tali fondamentali correttivi al decreto avrebbero l’effetto immediato di riportare le imprese e quindi la produzione Ilva – al momento ai minimi storici – in un regime di attività sufficiente per traghettare un immenso patrimonio fatto di persone, competenze e mezzi fino alla costituzione della new company. Solo in presenza di queste garanzie, infatti, le aziende potrebbero, non senza sacrifici ma almeno confortate da prospettive di segno positivo, assicurare un regime di fornitura tale da consentire alla grande fabbrica di riprendere il cammino, tornare a produrre utili e quindi, come in un giro a 360° che si chiude, soddisfare i crediti pregressi e futuri.
Importante sarà, inoltre, lo sblocco dei 150 milioni di Fintecna e dei fondi sequestrati (1mld 200mln), per garantire allo stabilimento Ilva, e quindi alla platea di grandi e piccole aziende italiane, reali possibilità di rientrare in partita. Ovvero, in questo caso, rientrare nel ciclo produttivo, sul mercato, riprendere il presente e poter ripensare al futuro con una fabbrica resa realmente ecocompatibile. E ci auguriamo davvero che questo possa, e presto, avvenire.
*Presidente Confindustria Taranto