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Giardino radicale - Gap: la vita ricomincia dal carcere

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

5
GIU
2015
Chi l’ha detto che il carcere è il luogo che segna la fine della vita di un uomo? Il progetto, finanziato da Fondazione con il Sud, vede protagonisti i detenuti di Borgo San Nicola a Lecce
 
 
Stereotipi e pregiudizi a parte, anche uno spazio angusto delimitato da chiavistelli, sbarre e secondini può essere l’inizio di qualcosa, una nuova stagione. A fare la differenza è la concezione del tempo dentro: vacuo “parcheggio” o spazio “bianco”, opportunità di conoscersi e prepararsi a una rinascita fuori?  “Giardino radicale”, progetto di design finanziato da Fondazione con il Sud all’interno della struttura detentiva di Borgo San Nicola (Lecce), ha deciso di puntare sulla seconda opzione.  Il prossimo 23 giugno, infatti, debutterà la Cucina, realizzata nell’ambito di “Gap, il territorio come galleria d’arte partecipata”.
Tutto è cominciato circa un anno fa, quando, grazie al coinvolgimento attivo dei soggetti che vivono nel carcere, si è avviato il processo di trasformazione del settore maschile R2. Parola d’ordine: riappropriazione dello spazio “vitale”. Così, quaranta detenuti, coordinati da Francesca Marconi (Gap) e dalla regista teatrale Paola Leone, hanno ideato e concretizzato il restyling delle aree comuni, supportati da addetti ai lavori come Maurizio Buttazzo e Roberto dell’Orco. Il loro impegno, la voglia di proiettarsi in un altrove, fuori, ha dato vita a “Barberia”, “Sala telefono”, “Sala ginnastica” e a numerosi complementi d’arredo (tavoli, sedie, librerie).
«Il bianco e il nero fanno venire brutti pensieri, invece con il rosso e il giallo pensi all’amore e all’amicizia». In questo commento, espresso da uno dei detenuti, è racchiuso l’intero spirito, la “vocazione”, del progetto.
Cucina costituisce la seconda fase dell’iniziativa, incentrata sul rapporto con l’alimentazione, in senso letterale e metaforico. D’ora in poi, quindi, i detenuti potranno cucinare insieme, nei giorni di festa. Un modo, questo, per condividere, mettere in comune e (ri) assaporare gusti che sembravano dimenticati
«Il carcere come luogo di possibilità mancate, di mondi inesplorati, mondi immaginari che prendono vita e diventano abitabili nella vita concreta, questo è stato per me il lavoro sulle ricette. Ci siamo divertiti, abbiamo fatto il possibile per fare nel poco tempo a disposizione del nostro meglio, per cercare qualcosa di noi, dentro una cucina appena costruita ma le nostre tutte evocate, non ci importava far venire fuori la ricetta, ma ci importava venisse fuori qualcosa che ci appartenesse». Così Paola Leone presenta il progetto. «Volevamo far emergere qualcosa che era prima della detenzione, che durante questo periodo si è sfocata o assolutamente mantenuta intatta, qualcosa che appartenesse all’uomo in quanto tale, spogliato dal fare e abitato dall’essere. Ci siamo addentrati nei piccoli ricordi, nelle passioni che animavano le loro vite, è bastato questo perché si aprissero davanti ai nostri occhi degli scenari, ecco comparire un paio di pattini, l’amore per il canto, la fede, la cura, la passione calcistica».
 


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