Le cure dei dottori, le conosciamo ampiamente. Ma la cura per un giornalista? Verità, sempre e comunque. Quella verità scomoda che inevitabilmente, ti crea del vuoto attorno. Ma niente paura! Un vuoto assolutamente colmabile con altre anime votate all’unica divinità concessa: la comunicazione realmente libera dal qualunquismo e dal servilismo politico.
Incontriamo il giornalista e scrittore tarantino, anzi ionizzato come afferma lui stesso, Angelo Di Leo, per una chiacchierata senza “recinzioni”. Una lezione buona e priva di egocentrismi provinciali, sul vero giornalismo.
Dalla clamorosa chiusura del Corriere del Giorno al primo vagito de La Ringhiera. Come riesce un giornalista a reinventarsi dopo uno stop del genere, e da quale reale sentimento nasce la tua nuova testata?
«Un giornalista fa sempre lo stesso mestiere, ovunque e a prescindere dal mezzo a sua disposizione. Il Corriere ha pubblicato il suo ultimo numero il 29 marzo del 2014. Poi mi sono tuffato anima e corpo nella campagna elettorale, curando la comunicazione di una mia amica candidata. Credevo di distrarmi, invece no. La notizia chiama. È una malattia. Non se ne esce. L'unica cura è dare altre notizie. Io, Michele Tursi e lo studio Capera (esperti di web in tutte le sue angolazioni) ci stiamo inventando La Ringhiera, una pagina FB che sta per trasformarsi in tanto altro, visto il numero altissimo di adesioni in soli quattro mesi. Quindi, la cura continua...».
La breve descrizione della pagina facebook de La Ringhiera, cita: “Oltre i fatti, al di là dei fatti. Confronto aperto sui retroscena. La Ringhiera tarantina da cui osservare il mondo”. E ancora: “Non veniamo dalla fine del mondo. Non siamo la fine del mondo… ma lo guardiamo senza confini”. Questo carattere di osservazione cosmopolita della tua rivista, viene da una delusione rispetto al locale o dall’impossibilità di ignorare gli odierni eventi nel mondo?
«Ne' dall'una né dall'altra parte. Si tratta di leggere i fatti tarantini con una lente di ingrandimento che sia la meno provinciale possibile. Taranto e' strategica per il Governo e per l'Europa? Allora raccontiamola questa centralità così pregnante, che a noi sembra anche opprimente. Un giudizio sociale e politico che castra le ambizioni di Taranto, soffocandola (e' proprio il caso di dirlo) e reprimendone le aspettative popolari.
Noi vogliamo incarnare il sentimento di rivalsa e riscatto, denunciando ma senza trascurare la promozione della bellezza territoriale. La Ringhiera non sarà un'altra bacheca di copia e incolla. Abbiamo la presunzione necessaria per guardare, capire e spiegare. Veniamo da anni di storie, racconti e notizie. Ne abbiamo scritte di tutti i colori. Con i nostri limiti vogliamo continuare, ci proveremo. È o non è il compito di un giornalista quello di rilevare i fatti e di analizzarli? Noi pensiamo di sì.
Se la notizia risponde ancora a cinque domande.... ecco, noi crediamo che tra queste il PERCHÉ delle cose, da tempo, non stia trovando risposta adeguata. Noi lavoriamo su quel PERCHÉ».
Ironica in maniera sagace, la pagina de La Ringhiera annunciava qualche giorno fa: “Taranto, il governo… il sindaco… e le cose serie. Stefàno presenterà la nuova Giunta comunale il 19 ottobre alle 17:30. Passando alle cose serie, domani comincerà il processo Ilva”. Siamo davvero senza speranza? La politica, dal locale al nazionale, è ormai solo ludibrio alla maniera delle vignette di Forattini?
«Quel post era volutamente sferzante. È lo stile Ringhiera, informiamo dicendo contestualmente come la pensiamo. Sovvertiamo la vecchia regola della separazione tra notizia e commento. Ma sul web tutto scorre veloce. La teoria degli spazi tipografici non può reggere più. Sul web tutto transita e bisogna che informazioni e commenti viaggino rapidamente.
Quel post non è un monito verso la politica. Quel post implora Politica. Dio solo sa quanto serva oggi la Politica, proprio come il Giornalismo».
Tanti elencano quante cose manchino a Taranto: un apparato universitario degno della cittadinanza; un classe dirigenziale preparata e onesta; un mercato turistico che non ha il genio della lampada del vicino Salento per esempio. Ma a parte tanto fumo, ceneri e diossina, di cosa la nostra città è troppo piena per ripartire in qualche modo?
«La città è troppo piena di sé . A caccia di una vera identità, Taranto si sta ritrovando sola e ammalata ma sempre, drammaticamente, autoreferenziale. È il suo più grande difetto. L'altro difetto è quello di innamorarsi sempre di chi urla troppo, come se fosse incapace di avvertire i sussurri positivi di tanti. Tanti ormai stanchi, temo.
Taranto, e comunque le nuove generazioni credo lo stiamo facendo, ha il dovere di guardarsi attorno e guardare oltre i suoi tre ponti. Io non credo che la classe politica sia tutta da buttar via. Qualcosa si salva e spero trovi la strada dell'affermazione. Ma dovrà essere convincente. A Taranto mezza città non vota più da anni. Serve un progetto per convincere 100 mila persone a tornare a votare. Servono idee e uomini e donne seri e preparati. E serve una stampa economicamente forte per essere effettivamente libera. A Taranto la chiusura del Corriere ha generato solo lacrime di coccodrillo. Nessuno ha mosso un dito per salvare concretamente la testata tarantina. Temo, e non solo il solo, che non sia stato casuale».
Di recente, mi sono personalmente trovata ad assistere a cori musicati da parte di una band che inneggiavano contro il “fascista”, contro il “padrone”. La folla, eterogenea per età e per estrazione sociale, acclamava i rockettari. Ma basta veramente questo per una politica partecipata? O tener vivi alcuni principi tra la gente è giusto a prescindere, anche se a farlo sono aizzatori improvvisati?
«Credo di aver già risposto...».
Scrivi di te su un popolare social network: “Ateo per pigrizia” . Godibile ironia che la dice lunga sul tuo modo di essere uomo e professionista. Ritieni che il vero cancro della nostra regione e della provincia sia un altro tipo di pigrizia? E se sì, come debellarla?
«Sì. Io sono ateo perché non ho la capacità e il tempo di cercare altro. Una pigrizia che mi rende povero rispetto a chi invece ha una fede. Mi piacerebbe ogni tanto votarmi a una effige o potermi dare adeguata consolazione. Ma non ci riesco. Credo sia faticoso. Preferisco credere che non esista nulla che non sia tangibile e osservabile. Ma non attendo che sia sempre qualcun altro a decidere per me. In questo caso, è solo in questo, mi sento poco tarantino. Per il resto sono ionizzato a dovere. E me ne vanto».
Per concludere: scrivi ancora di te (ebbene sì, ti si osserva da un po’ ma tranquillo, nulla a che fare con lo stalkeraggio!) , “Se rinasco faccio il giornalista”. È molto bello ciò che dici e sa di speranza, di piacevole coraggio del proprio ruolo. Ma esiste ancora la figura del giornalista in Italia? Per te chi è il vero giornalista?
«Chi non si accontenta di ciò che vede e che sente. Per il resto, siamo solo presone che hanno due doveri: conoscere i fatti di rilevanza pubblica e divulgarli. Tutto qua, senza prendersi tanto sul serio».