Il nuovo Consiglio provinciale è stato eletto con un complicato meccanismo di rappresentanza legato al numero degli abitanti del comune. Risultato: un simulacro di ente territoriale nel quale trovare una qualche collocazione
Il fatto è noto ai più: domenica 15 gennaio si è andati alle urne per “eleggere” il nuovo Consiglio provinciale. Ho messo tra virgolette il verbo “eleggere” poiché in effetti non si è trattato di vere e proprie elezioni, tipo quelle che conosciamo da oltre mezzo secolo, ovvero un popolo che va alle urne per eleggere i suoi rappresentanti, ma di elezioni di secondo grado. In pratica i consiglieri comunali della città capoluogo e dei comuni della provincia hanno eletto un Consiglio provinciale sulla base di un complicato meccanismo di rappresentanza legato al numero degli abitanti del comune di cui si è rappresentanti, per cui per esempio un consigliere comunale di Taranto o di Manduria o di Martina Franca era portatore di un maggior numero di voti rispetto a un consigliere comunale che votava in rappresentanza del comune di Roccaforzata che ha molti abitanti in meno rispetto ai sopra citati comuni. Personalmente considero queste “elezioni” una farsa inutile (anche se prevista dalla legge) perché è stato eletto un Consiglio provinciale fantasma destinato a scomparire. Di esso si era decretata la fine già col ddl Del Rio dell'8 aprile 2014 sulle città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni. Con quel decreto si ridisegnavano confini e competenze dell'amministrazione locale in attesa della riforma del Titolo V della Costituzione. L’ultimo passo, quello che avrebbe sancito la definitiva sparizione delle province destinate a diventare enti territoriali di area vasta, di secondo grado con i compiti oggi ricoperti dalle province, doveva essere la riforma del Titolo V della Costituzione prevista nella Riforma sottoposta a referendum e che è stata bocciata dagli italiani con la vittoria del no. Quella bocciatura inevitabilmente adesso pone dei seri problemi sulla applicabilità e costituzionalità della legge 56, la cosiddetta Delrio. Intanto le modifiche previste dal nuovo testo alle realtà delle province, al loro ruolo e organizzazione, e che aveva anche introdotto la nuova denominazione di enti territoriali di area vasta saltano poiché con la bocciatura della Riforma salta anche la riforma del titolo V che dava legittimità costituzionale alla legge Delrio. Per questa ragione più di un costituzionalista ha sollevato qualche dubbio sulla sua legittimità costituzionale della legge 56. Come si vede un guazzabuglio di tipo giuridico e un pasticcio sul quale è facile prevedere che pioveranno ricorsi e controricorsi che saranno proposti dalle due opposte fazioni, gli abolizionisti che vogliono le province spazzate vie e i conservatori che invece vogliono che rimangano in piedi. Personalmente io sono un abolizionista poiché ritengo le province dei carrozzoni inutili fonte di spreco e di spesa inutili le cui residuali e modeste competenze (manutenzione stradale, viabilità e scuole superiori) possono benissimo essere espletate dai comuni. Consideravo già una forzatura la legge 56 con la nuova configurazione delle province e la loro trasformazione in aree vaste. Ma quella legge alla fine era accettabile poiché cuciva addosso alle province il nuovo abito di enti intermedi di coordinamento territoriale tra comuni e regioni e quindi in qualche modo era di una qualche utilità. Ma come sempre accade in Italia lobbies, clientele, pressioni di gente che campa di politica e che vuol continuare a vivere di prebende pubbliche hanno fatto sì che rimanesse in piedi un simulacro di ente territoriale nel quale trovare una qualche collocazione. E’ lo stesso meccanismo scattato con il Senato. Ritengo che se il governo Renzi avesse abolito tout court il Senato avrebbe evitato una marea di polemiche e probabilmente avrebbe reso un servigio al Paese in termini si semplificazione istituzionale. A Taranto con l’elezione dell’altro ieri si lasciano in piedi un simulacro di Consiglio provinciale, con un simulacro di Presidente e un simulacro di giunta che avranno scarsissimi poteri e tutti condizionati e serviranno solo al riposizionamenti di qualche politico fallito e a dare una qualche prebenda ai consiglieri e a qualche assessore.