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L´autonomia delle regioni: da espressione democratica a strumento di potere

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

26
OTT
2017

All’indomani del referendum indetto in Catalogna per decretare l’indipendenza di questa regione dalla Spagna, proprio mentre il governo centrale spagnolo decideva di abbandonare il tavolo delle trattative a favore della repressione, in Italia, in Lombardia e Veneto gli elettori sono stati chiamati a esprimere il voto in merito all’autonomia di queste regioni del Nord

Luca Zaia, presidente della Regione Veneto e Roberto Maroni di quella lombarda, hanno portato a termine quello che ritenevano un progetto sostanziale e funzionale alle loro comuni visioni politiche quali esponenti di spicco della Lega Nord-Liga Veneta. Anche avendo abbandonato da qualche tempo le ambizioni propriamente secessioniste, che avevano cavalcato con Umberto Bossi, i due governatori hanno perseguito il loro intento di autonomia del Nord dal governo nazionale sino a confluire nel referendum.
Le regioni a statuto speciale prevedono una particolare forma di governo che consente una maggiore autonomia dallo stato centrale. In Italia ci sono cinque regioni che godono di questo particolare regime sia sotto il profilo finanziario ed erariale che legislativo: Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Sardegna e Sicilia.
Le regioni a statuto speciale godono di autonomia legislativa, detta anche potestà, che può essere di tre tipi: esclusiva, che è la più caratteristica; legislativa concorrente, che incontra gli stessi limiti delle Regioni ordinarie ma si differenzia da esse per le materie elencate; integrativa e attuativa, grazie alla quale le Regioni a statuto speciale possono creare norme su determinate materie, al fine di adeguare la legislazione statale alle esigenze regionali.
Gli articoli 116 e 117 della Costituzione regolano la podestà legislativa dello Stato e quanto delegabile alle regioni a statuto speciale. È appunto questo cui mirano i due governatori che sperano di poter ottenere il maggior numero di deleghe proprio in merito a “… rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale …” come recita l’art 117.
Oltre gli evidenti vantaggi legati a poter legiferare a misura di territorio, favorendo evidentemente interessi specifici, quello che ha indotto verso l’autonomia di Veneto e Lombardia è il privilegio di poter trattenere la maggior parte delle imposte pagate su quei territori. Basti pensare che la Sicilia trattiene il totale delle imposte, Valle d’Aosta e Trentino i nove decimi, la Sardegna i sette decimi, il Friuli i sei decimi. Questo, però, non esclude l’intervento integrativo dello Stato o l’impiego di capitali statali per la realizzazione di grandi opere in queste regioni.  Nonostante la grande discrezionalità di spesa, le cinque regioni autonome sono tutte in deficit finanziario ma mentre Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Aldo Adige e Valle d’Aosta riescono a sostenere un ottimo livello di qualità della vita, avendo adottato politiche di stampo svedese, la Sicilia segna il peggior impiego delle risorse finanziarie anche avendo un debito di 22 miliardi, trascinandosi un sistema governativo ampiamente fallito. Per spiegare questa evidente disparità di trattamento fiscale fra regioni d’Italia, bisogna però dire che quelle autonome sono divenute tali subito dopo la Costituzione o durante la Guerra Fredda, per evitare imminenti azioni secessioniste, separatismi e annessioni o, come nel caso del Friuli-Venezia Giulia nel tentativo di sottrarla alla Jugoslavia. In sostanza L’Italia ha semplicemente riscattato queste regioni allettandone i suoi abitanti. Quale nesso ci sia fra la condizione delle cinque regione autonome del dopoguerra e le due nuove aspiranti, risiede in ciò lamentano da decenni gli scissionisti lombardi e veneti: le regioni del Nord, più di tutte Lombardia e Veneto, anche essendo le più trainanti dell’economia nazionale, sono soggette a una fiscalità elevata che si fa carico delle aree economicamente depresse d’Italia che loro individuano nel Meridione. Sottacciono, però, gli interventi che lo stato italiano ha più volte attuato per salvare dal tracollo, banche e industrie di quelle aree, facendo proprio ricorso alle misure nazionali di tutela delle attività e dei capitali, condizione questa normale in una repubblica dove non vi è distinzione fra cittadini. I facinorosi del Carroccio scordano le cause del grande gap presente fra il Nord e il Sud pagato quale tributo proprio perché l’Italia fosse unita e questo anche non ripercorrendo la Questione Meridionale. Sia Zaia che Maroni hanno deciso di adottare linee politiche morbide e molto diplomatiche tanto da decidere il referendum in concerto con una parte della sinistra e l’aiuto dei pentastellati. Al segretario Matteo Salvini, in cambio del suo blindato rifugio europarlamentare, è lasciato l’onere di imputare le cause dell’arretratezza del Sud alle Mafie, all’incapacità genetica dei meridionali e all’accoglienza dei flussi migratori del Mediterraneo. Motivazioni e soluzioni tanto elementari che sembrerebbero ininfluenti, quanto efficaci sulla popolazione così da procurare ai leghisti un ampio  seguito. Nelle previsioni del presidente Zaia, oltre alla possibilità di gestire in autonomia la sicurezza, l’istruzione, la sanità e i rapporti con l’U.E., c’è la volontà di trattenere i nove decimi delle tasse pagate in Veneto. Anche se Roberto Maroni dichiara di non avere la stessa urgenza di richiedere lo statuto speciale per la Lombardia, in realtà entrambi sono già in trattativa con il governo centrale che potrà soltanto contrattare sulle aliquote tributarie. Anche se il costo dei due referendum è stato elevatissimo, 50 milioni per la Lombardia che ha sperimentato catastroficamente la votazione con l’uso di tablet costati 23 milioni e di 14 milioni per il Veneto, l’esito referendario, notevolmente favorevole all’autonomia, si è rivelato un ottimo investimento per le due regioni. Oltre alle mire meramente fiscali, i due governatori potranno gestire autonomamente il grave problema della migrazione di profughi verso l’Italia. Sostanzialmente la richiesta d’autonomia nasconde la stessa volontà d’indipendenza e l’unica differenza dal passato è che ora nessun leghista penserebbe mai di ripetere il motto “Roma ladrona” o raggiungere Piazza S. Marco con un mezzo blindato. Bene l’hanno compreso Maroni e Zaia che hanno imparato a conoscere l’inconsistenza degli ultimi governi, la semplicità di allettare il popolo pentastellato e l’utilità di mantenere ottimi rapporti con la destra storica e i berlusconiani anche a costo di adulare la loro parte più squallida e decadente.
Il mondo politico non si esprime pienamente su questa svolta amministrativa di Veneto e Lombardia e c’è chi, perfino, ne minimizza gli esiti. Naturalmente il fronte renziano coglie l’occasione per accusare gli italiani di esserne responsabili non avendo aderito al referendum sulla riforma del titolo V della Costituzione. Così come formulato, affiancato a richieste assolutamente improponibili in democrazia e con un prezzo sociale così elevato, un referendum costituzionale non condiviso e sottoposto in forma ricattatoria, non sarebbe mai stato la giusta soluzione al tentativo secessionista che le regioni del Nord stanno tentando.
L’autonomia regionale è uno strumento che incrementa l’espressione democratica dei popoli perché perfeziona l’attuazione corretta della spesa pubblica, che è riferita alle concretezze anche periferiche e riduce la verticalizzazione dello stato che, al contrario, è composto di entità amministrative orizzontali e meglio distribuite sul territorio, quindi, più vicine alle esigenze della popolazione. Solo in Italia l’autonomia permetterà la prevaricazione di alcune regioni su altre, lasciando che queste possano trarre il massimo vantaggio economico, entrare nei meriti decisionali dello stato e, contemporaneamente, ingerire sul governo e la fiscalità delle altre.



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