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Se il Grande Fratello è un fardello

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

17
MAG
2018

Milioni di telespettatori bacchettati perchè guardano il format Mediaset e snobbano prodotti di qualità come la fiction su Moro. La verità è che il GF, che piaccia o no, si basa su principi che hanno animato movimenti culturali e artistici importanti, dando voce e volto a quello che siamo


E’ l’uomo Ken. No, è la bomba sexy, è il festival dello share, con la puntata che va in contemporanea con la fiction che parla della vicenda di Aldo Moro e la straccia, in termini di audience. Il Grande Fratello è uno di quegli appuntamenti che hanno diviso l’Italia, fin dalla sua prima apparizione tra la nostra gente. I protagonisti delle edizioni storiche sono avvolti in una sorta di alone mitologico. Ciclicamente la stampa impegnata ci aggiorna sulle loro vite attuali, con l’immancabile “che fine hanno fatto i protagonisti del Grande Fratello?”, compendio ideale dell’altrettanto classico “VIP degli anni 20: guardali come sono oggi”, e giù foto anatomicamente suggestive, con tanto di comparazione, di vecchi individui, imbottiti di plastica e botulino, che sfidano il tempo e la dignità.
Il Grande Fratello ha rappresentato uno dei più riusciti passi per il riscatto massmediatico dell’uomo qualunque. Il processo è lontano dall’essersi arrestato, si è nutrito dei milionari creati dai quiz di Mike Bongiorno, con tanto di premi gentilmente offerti dalle pelliccerie “Annabella” di Pavia, è continuato con le intuizioni geniali di Gianni Boncompagni, con il suo “Non è la Rai”, che faceva dell’assoluta normalità delle protagoniste l’elemento potentissimo di una morbosa attenzione emulativa verso le giovani fanciulle che spopolavano nel programma da lui ideato.
L’uomo qualunque, l’uomo medio, come la Gialappa’s band soprannominò uno dei personaggi delle edizioni precedenti dello show, facendolo addirittura diventare una sorta di antieroe da fumetto: Medioman, interpretato dal simpaticissimo Fabio De Luigi.
In fondo il Grande Fratello è servito anche a questo, a sviscerare il bisogno collettivo di leggerezza e non senso. Il programma riesce a dar voce a discussioni interminabili, su fatti dal valore pressoché nullo. In tal modo si libera la torrenziale volontà di sentirsi competenti, che anima ciascuno di noi. Naturalmente non mancano i cultori dell’illuminismo, che stroncano il prodotto, relegandolo a forma di svago per una fetta di popolo obnubilata dalla “nostra maestra televisione”.
Andy Warhol, uno dei geniali protagonisti della nascita della Pop art, immaginava una sorta di diritto universale al proprio quarto d’ora di celebrità. Il Grande Fratello, che piaccia o no, si basa su principi che hanno animato movimenti culturali e artistici importanti, dando voce e volto a quello che siamo. Persone comuni, diventate improvvisamente protagoniste. La normalità che si fa attrazione, prendendosi la rivincita sull’unicità.  Il Grande Fardello parla alla pancia della gente, rimbalza sullo schermo tutte le nostre peggiori perversioni, come uno specchio distorto e crudele, da cui vorremmo fuggire, quasi inorriditi.
In tempi di scomparsa della privacy, rincorsa da normative che sanno tanto di farsa, la selezione tra cittadini alti e bassi passa anche da questo spartiacque: quelli che guardano o meno il Grande Fratello. Se lo guardi sei basso, se non lo guardi sei figo. Siamo così entrati nella sfera della clandestinità. Milioni di intellettuali probabilmente sbirciano di nascosto le docce delle maggiorate rifatte ospitate dalle “case” di tutto il mondo, perché il programma spopola ovunque vi sia una platea disposta a guardare.
Già, vogliamo guardare, toccare, sbirciare. Siamo guardoni, pruriginosi, ci piace sguazzare nel fango, rotolandoci un poco, per poi tornare a sentirci migliori degli altri. Ecco perché il Grande Fratello ha vinto: fa leva su meccanismi e bisogni che non passeranno mai di moda. Forse cambieranno format, ma continueranno a dominare le scene ancora per molto tempo.



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