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OBIETTIVO SENSIBILE/IL MARKETING DELLA TRAGEDIA

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

25
OTT
2018

Ancora sul caso Cucchi: si corre il rischio di idealizzare un ragazzo sfortunato ma pur sempre ai confini della legalità. Una strada intitolata a lui? Non prima di aver intitolato ai morti del ponte di Genova (vere vittime incolpevoli dello Stato) tutta la costiera ligure

Quello degli scribi è un mestiere che in molti si sforzano di codificare ma la verità è che ognuno lo interpreta a modo suo: c’è il lacchè di regime, il campione dell’ovvio, l’allineato sulle posizioni nazional popolari, il diacono che scrive prediche buone per la messa della domenica, il simpatico a tutti i costi, il paladino della banalità luogocomunista, il contro corrente spigoloso, l’acidulo non trombante, il santone che scrive articolesse lunghe quanto la Bibbia, l’ignavo, l’intervistatore compulsivo che scrive solo la verità degli altri, quello che si specchia e trova la sua enorme cultura di un figo fuori dal comune.
Potremmo andare avanti per molto ma, tutto ciò per dire che, in questo variegato mondo, a noi piace stare molto modestamente in un angolino senza disturbare troppo ma comunque dalla parte di chi non ama essere allineato per forza. Proviamo sempre a rispondere solo alla nostra coscienza anche se ciò dovesse risultare scomodo o sgradevole verso chi legge.
Da questo angolino osserviamo ciò che – alla luce della svolta nel caso Cucchi – la stampa più ortodossa sta montando intorno a questa triste vicenda e non ci piace per niente.
Chiariamo immediatamente – a beneficio dei rissosi – quale sia la nostra posizione sull’argomento: Stefano Chucchi è la vittima di una serie di omissioni, depistaggi, insabbiamenti, eccessi di potere e violenza gratuita. Il fatto che dopo il suo arresto per spaccio siano stati trovati in casa sua due panetti di hashish del peso di 905 grammi, un involucro di cocaina di 103 grammi, tre bilancini di precisione, materiale da confezionamento, confezioni di mannite, cellophane e carta di alluminio, altri involucri con hashish sparso per casa lo rende per caso meno vittima? Per niente però lo umanizza fino a non renderlo quell’eroe che vorrebbero dipingerci in questi giorni.
Si tratta di un ragazzo con delle debolezze (come tanti) finito in un giro losco e per giunta ricoverato per ben 17 volte al pronto soccorso a causa di ferite, lesioni, fratture refertate negli anni da decine di medici, tutte subìte nel paludoso mondo che frequentava. Era uno spacciatore e questo la sua famiglia (coraggiosamente) non lo ha mai nascosto dato che è di dominio pubblico il fatto che fosse stato allontanato dai suoi cari.
Che la famiglia abbia lottato per tutti questi anni pretendendo giustizia (e una liquidazione di un milione e 340 mila euro da parte dell’ospedale Sandro Pertini utile a revocare la costituzione di parte civile in Appello nei confronti dei medici) è encomiabile perché tutti meritano giustizia oltre che un trattamento umano.
Tutti meritano di pagare per le colpe di cui si macchiano ma ciò non implica che finire nelle maglie della giustizia possa voler dire che è lecito uscirne morti.
Detto questo sarebbe opportuno fermarsi qui, senza salti in avanti, senza aggiungere a una trafila di bugie di Stato lunga anni una nuova sovrastruttura falsata da bello di mamma che abbraccia la nonna e accarezza i nipotini. Stefano Cucchi non era questo, era un ragazzo problematico molto peggiore di come lo si voglia dipingere da morto.
Stefano Cucchi è stato solo sfortunato come tutti quelli che finiscono nel tunnel maledetto; sfortuna a cui si aggiunge il dramma di aver trovato dei servitori dello Stato che non hanno adempiuto al loro compito macchiandosi di una mostruosità.
Pensare adesso che si possa intitolare una strada a questo ragazzo non rende giustizia a tutte le vittime dello spaccio di stupefacenti oltre che a tutti coloro che sono morti da eroi per poi entrare nella toponomastica cittadina.
Così dopo Via Emanuele Basile, dopo Via Carlo Alberto Dalla Chiesa, dopo Via Giovanni Falcone, dopo Via Paolo Borsellino che senso ha una Via Stefano Cucchi? Ma invece ai morti del ponte di Genova (vere vittime incolpevoli dello Stato) cosa dovremmo intitolare tutta la costiera ligure?
Qual è l’apporto in termini valoriali che questo sventurato ragazzo ha fornito alla società tanto da meritare che gli sia intitolata una strada?
Una simile santificazione ricorda tanto quella di Carlo Giuliani, il black bloc morto a Genova durante il G8 in uno scontro con i Carabinieri.
Al no global in questione fu intitolata un’aula parlamentare oltre a qualche strada in giro per l’Italia come se morire accidentalmente ed ingiustamente dopo aver praticato una violenza inaudita fosse un titolo di merito.
E anche le famiglie in questione, dopo le sacrosante doglianze, dopo le sacrosante richieste di giustizia, dopo tanta encomiabile tenacia e perseveranza dovrebbero fermarsi qui, evitando (nel caso di Carlo Giuliani è già avvenuto) che simili sventure costituiscano il trampolino di lancio per carriere politiche o ruoli pubblici vari in cui l’unico titolo di merito è essere “figlio di, sorella di, mamma di”.
La dignità utilizzata nel chiedere giustizia non deve mai venir meno lasciando il posto alla mitizzazione di eroi inesistenti o alla mercificazione del dramma.
Altrimenti diventa merchandising del dolore, marketing della tragedia, esaltazione di modelli che dovrebbero comunque restare negativi.
 



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