Solo pochi giorni fa, in Irlanda, un uomo accusato dello stupro di una ragazza di 17 anni è stato dichiarato non colpevole perché la vittima indossava biancheria intima considerata dai giudici "troppo sexy".
Per quanto altro tempo ancora la colpa di una violenza sarà attribuita alla vittima?
L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha dichiarato, il 25 novembre di ogni anno, Giornata mondiale contro la violenza sulle donne e, come in molte parti del mondo, anche in Italia si sono svolte manifestazioni in favore dell’iniziativa così come sono stati trasmessi diversi slogan in loro difesa. La finalità è quella di sensibilizzare la popolazione mondiale affinché sia combattuta la violenza perpetrata nei confronti delle donne in qualsiasi ambiente sociale esse vivano. L’ONU evidenzia come 1 donna su 3 abbia subito una forma di violenza, che il 71% degli esseri umani soggetti a tratta è costituito da donne che, nel 75% dei casi sono sfruttate o abusate sessualmente. Nello stesso report, risulta che circa il 50% delle donne legate da una relazione con un uomo, non è libera di poter decidere in autonomia della propria sessualità, della contraccezione e della propria salute. Le cause di morte per violenza sulle donne superano quelle dovute a malattia. Dato ancora più allarmante è che, la maggior parte delle morti violente di donne, è causata da un membro della propria famiglia, da un partner o da un conoscente. Evidentemente, parliamo di un grave fenomeno sociale che, a tutt’oggi, non è affrontato in modo concreto e risolutivo. C’è un filo comune che lega i maltrattamenti, le violenze e le morti che le donne subiscono, come se questa fosse una condizione quasi normale anche non essendolo assolutamente. Quali e quante solo le motivazioni che hanno legittimato l’uomo a prevaricare anche violentemente sulle donne? C’è chi lo attribuisce a una condizione naturale che, però, non trova nessun fondamento scientifico, tale da ritenere l’uomo superiore alla donna per capacità, intelligenza, dimorfismo e persino, per diritto. Nella realtà, la scienza e la ragione hanno dimostrato che questo è un postulato di comodo. Fra le forme di prevaricazione sociale, infatti, quella dell’uomo sulla donna è una delle più antiche e che riguarda una vasta sfera della popolazione. Il suggello è stato apposto dalle religioni che, nella quasi totalità, hanno sancito il dominio dell’uomo sulla donna, attribuendo a questa, ataviche colpe da espiare. Questo pone l’accento sulle palesi alterazioni subite dai testi sacri che sono divenuti più consoni all’utilità dell’uomo che alla trasmissione della sacralità. Le conseguenze sono quelle a cui continuiamo ad assistere quasi giornalmente e, nonostante l’evoluzione e il progresso culturale, ci sono ancora uomini convinti che la donna meriti di essere posseduta alla pari di un oggetto. Queste convinzioni non sono riscontrabili soltanto nei substrati sociali del mondo, perché la violenza sulle donne si manifesta in qualsiasi ambito sociale, perfino i più impensabili e dove il livello culturale è medio o alto. Escludendo dalla disamina le patologie psichiatriche, si può affermare che l’atteggiamento maschilista derivi da un retroterra culturale che resta quasi completamente inalterato. In concreto, si sottace e si tollera un andazzo che non trova nessuna giustificazione concreta e che, ad esempio nel nostro Paese, è stato chiaramente precluso dall’articolo 3 della Costituzione. Nel suo primo comma recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”, rilevando proprio l’assenza di differenze sociali in alcuni ambiti (sesso, religione, opinioni politiche ecc.), in cui le discriminazioni sono più diffuse e comuni. Sembrerebbe, quindi, scontato che nella Repubblica Italiana debbano essere impedite le disparità e si debbano “…rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”, così come riporta il secondo comma dello stesso articolo. Com’è possibile che siano attuate ancora così tante prevaricazioni e violenze nei confronti delle donne anche in Italia dove l’uguaglianza è sancita costituzionalmente? La spiegazione risale alla prevalenza che si attribuisce a principi arcaici rispetto alle leggi evolute, civili e lapalissiane. Nel caso specifico degli abusi sulle donne, tutti i casi confluiti in tragedie, sono stati preannunciati da molteplici denunce che, per un’inspiegabile procrastinazione, sono stati affrontati con superficialità e sottovalutazione. Il motivo riguarda la quasi totale mancanza di prevenzione alla violenza privata in genere e sulle donne in modo particolare. Accade spesso che per denunciare una violenza non sia sufficiente una semplice comunicazione di reato come in realtà dovrebbe essere. Questo genera la perdita di fiducia nelle istituzioni, l’inevitabile rassegnazione delle vittime e, persino, un’accettazione della propria condizione specie se la donna è dipendente economicamente dall’uomo o sia stato esercitato su di lei un forzato convincimento che questa sia una situazione normale. Se la violenza è attuata alla presenza di figli, il danno si riflette anche su di essi, alterando la normale immagine del rapporto. Sia i figli sia le figlie tendono a ribaltare la condizione della propria famiglia nella sfera delle loro relazioni sociali con atteggiamenti di rivalsa o distacco dall’altro sesso. Ciò che accade oggi durante un processo per violenza sessuale non differisce molto da ciò che accadeva nel “Processo per stupro” del 1979, dove l’arringa dell’avvocato Tina Lagostena Bassi denunciò pubblicamente, per la prima volta in Italia, come la violenza sessuale di quattro uomini su una ragazza appena diciottenne, non potesse essere imputabile alla vittima ma soltanto ai suoi carnefici. Gli avvocati della difesa, piuttosto che tentare di risollevare le sorti processuali dei loro assistiti, tentarono di attribuire colpe e responsabilità alla vittima. La ragazza fu, perfino, accusata di essere consenziente per non aver morso gli aguzzini durante le fellatia cui era stata costretta. I legali disegnarono la ragazza come una prostituta perché entrava nei bar per consumare e chiacchierava con gli uomini anche essendo fidanzata. Dopo quasi quarant’anni, solo pochi giorni fa, nella città irlandese di Cork, un uomo accusato dello stupro di una ragazza di 17 anni è stato dichiarato non colpevole perché la vittima indossava biancheria intima considerata dai giudici "troppo sexy". L’avvocato difensore dell’imputato aveva convinto la corte esibendo nell’aula di giustizia, il tanga in pizzo della vittima come se quello fosse stato l’esplicito segnale di consenso e richiamo alla violenza. Quanto accaduto in Irlanda e nel processo per stupro del 1979, non differisce molto da quanto è avvenuto a Firenze durante il processo contro due militari dell’Arma accusati di aver violentato due turiste straniere. Quello che emerge è una grande disparità di trattamento fra donne vittime e uomini carnefici e, in taluni casi, di valutazione impari anche se l’accusato sia una donna. La donna è quindi colpevole a prescindere perché genera desiderio come se fosse una colpa. Il 25 novembre scorso è risalito alla cronaca un problema mondiale che, partendo dalle molestie contro le donne, termina frequentemente con il loro omicidio. Soltanto il giorno successivo moriva in Roma Bernardo Bertolucci, uno tra i più rappresentativi registi italiani del Novecento, riconosciuto tale a livello internazionale per aver diretto film di successo come “Il conformista”, “Ultimo tango a Parigi”, “Il tè nel deserto”, “Novecento” e “L'ultimo imperatore”. Sebbene Bertolucci fosse sempre stato impegnato nella lotta contro molti problemi sociali, il film “Ultimo tango a Parigi” da lui diretto nel 1972, rivela una marcata prevaricazione maschile anche sul set cinematografico. Lo attesta un’intervista rilasciata dal maestro in cui ammette di aver concordato con Marlon Brando la scena della sodomizzazione di Maria Schneider senza che l’attrice, appena ventenne, ne fosse stata informata essendo stata, quindi, privata del diritto di scegliere. In meno di 24 ore, proprio in virtù di quella scena rievocata per la morte del regista, l’attenzione dell’opinione pubblica si è spostata dalla difesa delle donne e dei loro diritti, al loro corpo e ai modi per possederlo. Naturalmente fra uomini e donne tutto è lecito a condizione che ci sia uguaglianza e reciproco consenso. Suora o puttana è una scelta che spetta solo alle donne.